Approfondimentistoria

L’idillio marziano di Guglielmo Marconi

Nell’era dell’informazione e delle telecomunicazioni non c’è praticamente persona del mondo sviluppato che non faccia uso ogni giorno, direttamente o indirettamente, delle onde radio. L’Italia, da questo punto di vista, ha dato contributi importanti allo studio delle onde radio e della possibilità di sfruttarle per operare una trasmissione. Negli ultimi anni del XIX secolo molti scienziati si cimentarono nello studio dei metodi di trasmissione e tra di essi fu un italiano a “spuntarla”, una persona che quasi tutti oggi conoscono come l’inventore del telegrafo senza fili: Guglielmo Marconi.

L’8 dicembre 1895 Marconi riuscì a mettere a punto l’apparecchio che lo rese famoso, capace di trasmettere e captare segnali a distanza anche in presenza di ostacoli. Negli stessi anni, altri illustri scienziati (tra tutti, Nikola Tesla e Alksandr Popov) avevano messo a punto metodi di trasmissione analoghi. A differenza di queste ultime sperimentazioni, l’ingegno e l’efficacia dell’apparecchio di Marconi determinarono ben presto una dirompente diffusione dell’invenzione, la cui paternità venne perciò attribuita a lui.

Pochi sanno che, circa 25 anni più tardi, quando oramai il telegrafo senza fili era diventato un mezzo di trasmissione dalle capacità consolidate, Marconi si imbattè in quelle che secondo lui erano potenziali comunicazioni provenienti da entità extraterrestri. Il 29 gennaio 1920 sul New York Times apparve una notizia raccolta dal Daily Mail secondo cui l’inventore italiano sarebbe stato impegnato a investigare su onde radio di origine sconosciuta; citando le parole di Marconi:

Nessuno può ancora affermare se esse abbiano origine sulla Terra o su altri Mondi.

Secondo gli articoli dell’epoca, la vicenda venne ripresa e commentata da diversi organi di stampa in tutto il mondo. Se da un lato c’era chi rimaneva scettico, dall’altro c’era anche chi, invece, era disposto a dar credito alla notizia, pur rimanendo scettico sull’origine extra-terrestre dei segnali captati. Tra questi,  Édouard Branly, fisico ed inventore francese, padre di alcune importanti scoperte nel campo delle onde elettromagnetiche, il quale obiettò:

Se attribuiamo questi fenomeni alle eruzioni solari, come possiamo spiegare il fatto che siano in linguaggio Morse? Se li attribuiamo a sorgenti interplanetarie (ammettendo che i pianeti sono disabitati), dobbiamo assumere che quelle persone abbiano raggiunto un grado di sviluppo paragonabile al nostro e che la loro scienza abbia permesso loro di costruire strumenti simili ai nostri. Questa sarebbe una successione di coincidenze che io definirei improbabile.

Pensieri che dimostrano una prudenza ed una logica scientifica senza tempo e che ben sintetizzano concetti dei quali si è parlato recentemente anche qui su Query.
Molti altri – come il professor Leon Chaffee della Harvard University – attribuirono i segnali che incuriosivano Marconi a fenomeni di disturbo che in gergo venivano definiti “segnali parassiti”, semplici disturbi elettrici di origine atmosferica. M. Baillaud, all’epoca direttore del Observatoire de Paris, affermò che sulla torre Eiffel (monumento che deve proprio alla radiotelegrafia la sua stessa sopravvivenza) non era mai stata riscontrata la presenza dei segnali di cui Marconi parlava (captati a Londra e New York). Venne anche avanzata l’ipotesi che le onde misurate da Marconi altro non fossero che le onde Hertziane provenienti dal Sole, scoperte dal francese Charles Nordman 18 anni prima, nel 1902, presso un osservatorio sul Monte Bianco. Il fenomeno delle onde elettromagnetiche emesse naturalmente dagli astri venne ripreso più tardi da altri scienziati, a partire dal fisico e ingegnere statunitense Karl Guthe Jansk, che nell’agosto del 1931 scoprì le onde elettromagnetiche emesse dalla Via Lattea. Curiosamente, la scoperta avvenne durante uno studio per conto dei Bell Labs, studio volto ad investigare le proprietà dell’atmosfera usando onde corte (di lunghezza pari a 10-20 metri) proprio per possibili applicazioni nelle trasmissioni radio transoceaniche. Una scoperta che può essere considerata la scintilla che ha portato, più tardi, alla nascita della radioastronomia.

L’astronomo Camille Flammarion prese una posizione ancora diversa sulla vicenda di Marconi. Ipotizzò che i segnali fossero originati dall’attività solare ma rincarò la dose sulla teoria dei messaggi provenienti da qualche civiltà extraterrestre. Queste le sue parole:

Marte ci spedisce dei messaggi? Questa è la domanda che ci ha interessato per lungo tempo, fin dalla pubblicazione delle mappe geografiche marziane, sulle quali sono state osservate caratteristiche singolari, le cui origini non sembrano essere dovute al mero caso. Dovremmo essere felici di fare un ulteriore passo verso i nostri vicini nel cielo che, forse, nei secoli hanno a noi indirizzato segnali ai quali non abbiamo mai saputo rispondere, essendo l’umanità terrestre assorbita dalle volgari esigenze degli affari materiali.

Flammarion non era affatto nuovo a dichiarazioni quantomeno stravaganti e giunse anche a ipotizzare la possibilità di comunicare telepaticamente con la fantomatica civiltà marziana. La vicenda della geografia marziana, invece, nacque sull’onda di una scoperta dell’astronomo Giovanni Virgilio Schiaparelli, che individuò sulla superficie del Pianeta Rosso alcuni caratteristici canali (poi rivelatisi frutto d’illusione ottica secondo le teorie di Vincenzo Cerulli, altro eminente astronomo italiano) che vennero ben presto oggetto di speculazioni come quelle teorizzate dallo stesso Flammarion.

L’anno successivo, nel settembre del 1921, la vicenda assunse contorni ancor più incredibili. Secondo una notizia riportata dallo stesso New York Times, J. H. C. Macbeth, manager della sede londinese della Marconi Wireless Telegraph Company Ltd., riportò la convinzione di Marconi sulla natura extraterrestre dei segnali captati. Il tutto venne condito con una certa dose di ottimismo, dichiarando che decifrare i messaggi trasmessi dai marziani era oramai solo questione di tempo. Marconi sembrava basare le sue convinzioni sulla lunghezza d’onda dei segnali registrati, a suo avviso di gran lunga superiore a quella di cui erano capaci gli apparecchi di trasmissione dell’epoca (150000 contro 17000 metri). Questo avrebbe una volta per tutte confutato le ipotesi di disturbi di natura atmosferica. Non solo, Macbeth asserì di aver individuato una lettera dell’alfabeto Morse internazionale che ricorreva durante la trasmissione; si sbilanciò fino a ipotizzare una civiltà più evoluta di quella umana, giacché capace di produrre segnali che richiedevano risorse più avanzate, lasciandosi andare a improbabili descrizioni di scenari di comunicazione tra la sconosciuta forma di vita marziana e l’umanità.

L’esistenza di una civiltà marziana era data per assodata, e la possibilità di comunicare con essa era oramai vista come cosa certa, in un circolo vizioso in cui l’esistenza dei segnali confermava quella dei marziani e viceversa. Anche M. Baillaud, in precedenza dichiaratosi scettico sulla questione, espresse fiducia nella teoria di Marconi. L’inventore del telegrafo, dal canto suo, non cessò mai la ricerca di un contatto con i presunti alieni. Il 15 dicembre 1931, dopo anni di infruttuosa ricerca di prove a supporto della sua teoria, Marconi dichiarò al quotidiano Evening Standard che:

Ammesso che le stelle siano abitate da esseri intelligenti, che abbiano una natura simile alla nostra, non vedo perché non dovremmo comunicare con loro per mezzo delle onde hertziane.

Una posizione, dunque, più prudente di quelle ostentate in precedenza, apparentemente volta a ribadire una possibilità tecnica piuttosto che una convinzione sull’esistenza di una civiltà extraterrestre. Nel frattempo, Tesla aveva imboccato la medesima strada, convinto anch’egli dell’esistenza di civiltà al di fuori della Terra e pronto a scommettere sulla possibilità di poter comunicare con esse, come aveva dichiarato al Time pochi mesi prima, il 20 luglio 1931:

Ho concepito un dispositivo che permetterà all’uomo di trasmettere energia in grandi quantità, migliaia di cavalli, da un pianeta ad un altro, senza alcuna problema di distanza. Penso che nulla sia più importante della comunicazione interplanetaria che di certo un giorno avverrà e la certezza che ci siano altre forme di vita nell’universo, che lavorano, che soffrono, che si struggono, come noi, produrrà un effetto magico sull’umanità, creando una fratellanza universale che durerà finché l’uomo avrà vita.

La storia della ricerca di Tesla si fece molto simile a quella seguita da Marconi. Anche in questo caso, la comunità scientifica accolse con scetticismo tali affermazioni mentre della macchina di cui parlava non è mai stata trovata traccia.

Gli anni Trenta cominciarono ad essere, per Marconi, gli anni di vicinanza al regime fascista. Molte sono le speculazioni che sono state avanzate sul ruolo che lo scienziato ebbe all’interno del regime, ben poche o assenti le prove accertate di un coinvolgimento che andasse oltre il ruolo propagandistico che un premio Nobel di tale fama potesse rivestire. Guglielmo Marconi morì a Roma il 20 luglio 1937, le “sue” onde radio non comunicarono mai ciò che egli cercava su Marte.

Molti anni dopo questi eventi, le informazioni riguardanti le idee di Guglielmo Marconi sull’esistenza di civiltà extraterrestri, e dunque sulla possibilità di comunicare con esse sfruttando le onde radio, sono piuttosto limitate. Non sono nemmeno disponibili registrazioni dei segnali da lui captati e quindi non si può sapere con certezza di che cosa si trattasse: le ipotesi più probabili sono quelle, viste in precedenza, di segnali parassiti o di onde Hertziane proveniente dal Sole o da altri pianeti. Nonostante l’indiscusso genio che lo aveva reso celebre, Marconi prese un abbaglio, complice – forse – il clima di fermento scientifico che all’epoca circondava il Pianeta Rosso. Non c’era, insomma, nessun marziano all’altro capo del telegrafo. Molto probabilmente, l’autosuggestione aveva reso Marconi un’illustre vittima di apofenia, un fenomeno curiosamente ricorrente nell’evoluzione delle conoscenze dell’uomo legate a Marte.

Foto di Planet Volumes da Unsplash

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