Analizzando i Tasaday
La presente traduzione è autorizzata da Skeptoid Media, Inc. sulla base dell’articolo originale a firma di Brian Dunning, pubblicato su Skeptoid. Copyright Skeptoid Media, Inc. Si ringrazia Paolo Marco Ripamonti per la traduzione.
Dafal era un trapper seminomade nella parte meridionale dell’isola di Mindanao, nelle Filippine. Durante gli anni Sessanta ebbe sporadici contatti con un paio di dozzine di persone che vivevano come all’età della pietra e che conoscevano solamente Dafal, al di fuori della loro tribù. Portò loro coltelli di acciaio e insegnò tecniche di caccia più efficaci. Allertò quindi il governo filippino, che inviò sul luogo il proprio rappresentate speciale per le minoranze etniche nazionali, Manuel Elizalde Jr., il quale restò sbalordito dalle persone che incontrò. Erano completamente isolati e non avevano alcuna conoscenza del mondo esterno. Ne conseguì una vera bomba mediatica. I Tasaday, tribù sconosciuta dell’età della pietra, divennero – nel giro di pochi giorni – delle celebrità mondiali.
Questo nel 1971. Quindici anni più tardi, la vicenda venne completamente ribaltata, quando dei giornalisti svizzeri e tedeschi li sorpresero a vivere in capanne di legno e indossare abiti moderni, mentre si cambiavano in fretta e furia a beneficio delle macchine fotografiche. Cosa ancora peggiore, i Tasaday dissero all’équipe che Elizalde li aveva pagati, nel 1971, per spogliarsi e fingere di essere una tribù dell’età della pietra. Il tema venne discusso a lungo durante un congresso di antropologia nel 1988, in cui emersero moltissime prove che puntavano a una truffa, verosimilmente organizzata dal benestante Elizalde che (come ebbe modo di affermare) sperava di creare una riserva protetta per poter carpire i diritti minerari e di sfruttamento del legname.
Gli scienziati che indagarono nel 1971 erano allibiti, increduli di essere stati truffati. Nessuna delle due “fazioni” voleva cedere di un centimetro. La storia dei Tasaday rimase come una ferita aperta, senza alcun consenso tra le parti. La spaccatura si allargò col passare del tempo, fino a che i Tasaday si furono sostanzialmente integrati con le tribù vicine, impedendo così ogni ulteriore ricerca. Fu proprio allora che, lentamente, si riesaminarono le vecchie prove. Si fecero studi più dettagliati sul loro linguaggio. Oggi abbiamo una teoria plausibile che spiega che cosa sia veramente successo. Sorprenderebbe molte persone.
Proprio il loro linguaggio, infatti, è una delle chiavi di questo mistero. I linguisti stabilirono che quello dei Tasaday era un dialetto unico di una lingua locale, chiamata Cotabato Manobo. A questo punto dobbiamo introdurre una branca delle scienze linguistiche che non conoscevo prima: la glottocronologia. È un modo di misurare l’età di una lingua, contando il numero di cambiamenti che si verificano nel tempo, paragonandola con la lingua da cui ha avuto origine. La glottocronologia ci consente di stimare la durata della separazione. Teodoro Llamzon, uno dei linguisti coinvolti nel 1971, aveva calcolato una separazione di circa 800 anni, che rimase per quindici anni il valore accettato e regolarmente usato per definire la durata dell’isolamento dei Tasaday. Un totale di quattordici scienziati studiarono in prima persona i Tasaday negli anni Settanta – inclusi etnobotanici, linguisti, archeologi ed antropologi – e nessuno di loro mise in dubbio la loro autenticità.
Fino a che il giornalista Oswald Iten colse i Tasaday con le mani nel sacco, anzi nelle tasche dei pantaloni. Due Tasaday, tramite un traduttore di nome Galang, raccontarono a un’équipe della trasmissione televisiva 20/20 che erano stati assunti da due tribù locali, i Blit Manobo e i T’boli, e pagati per fingersi abitatori di caverne. La situazione precipitò rapidamente. Emersero scienziati che erano stati da sempre scettici. Il congresso internazionale di scienze antropologiche e etnologiche di Zagabria, nel 1988, fu l’ultimo atto della tragedia. Da una parte si trovavano gli scienziati del 1971 e i loro sostenitori come John Nance, che aveva scritto I gentili Tasaday; dall’altra produttori televisivi come Judith Moses di 20/20, che aveva appena ultimato il documentario La tribù inesistente, e un gruppo di scienziati di varie discipline, pronti ad evidenziare ogni mancanza della “teoria tradizionale” sui Tasaday. Accuse di inganni e creduloneria monopolizzarono il congresso. Nonostante l’atmosfera incandescente, un gruppo dotato di autocontrollo riuscì alla lunga a prevalere e a presentare chiaramente le prove che dimostrarono come la storia dei Tasaday fosse una bufala. Vediamo alcuni degli argomenti presentati al congresso:
- La tribù viveva a sole tre ore di cammino da comunità agricole eppure nessuno sembrava essere a conoscenza della loro esistenza.
- Le caverne in cui vivevano sono totalmente diverse da ogni altra caverna usata come dimora e nota agli archeologi; erano ben pulite e non contenevano spazzatura o indizi di abitazione o preparazione di cibi.
- Sostenevano di essere raccoglitori, ma non possedevano cesti o altri tipi di tecnologia di trasporto, usando unicamente le mani.
- Non avevano alcuna tecnica di caccia o pesca, ancora una volta usando solo le mani nude.
- Diversamente da ogni altra cultura nota, non avevano rituali, religione, folklore, capi, esperti o specialisti, sciamani.
- Forse il fatto più significativo, non soffrirono di alcuna malattia dopo l’incontro del 1971, il che sarebbe stato molto improbabile se davvero fossero stati isolati per secoli.
Gerald Berreman, antropologo ed etnologo tra i maggiori sostenitori della bufala, presentò questi dati come spiegazione che la storia dei Tasaday non poteva stare a galla. Non li aveva studiati in prima persona, ma trovò che il quadro che era stato dipinto della loro cultura fosse troppo implausibile da un punto di vista scientifico e che fosse, probabilmente, stato imbellettato da Elizalde a beneficio degli occidentali che, negli anni Sessanta e Settanta, erano ossessionati dal movimento hippie e dal ritorno alla natura, bramando uno stile di vita che rifiutasse tecnologia e civiltà. La presentazione di Berreman fu approfondita, convincente e devastante.
Il particolare stile adottato da Berreman per attaccare l’autenticità dei Tasaday ha avuto un effetto duraturo su questo campo di studi: cancellare il bagaglio ideologico. Le sue affermazioni erano cariche di verità: il libro di Nance, unitamente a un iconico articolo del National Geographic, e l’affetto del pubblico verso i Tasaday, erano pervasi dall’idea del “buon selvaggio”, che non conosce nemmeno le parole per descrivere il concetto di nemico o di guerra. Eravamo così ossessionati dalla nostra immagine mentale dei Tasaday da perdere di vista ciò che erano veramente, in base a quanto osservato?
Successivamente gli stessi due Tasaday che avevano confessato la truffa a 20/20 ritrattarono tutto e dissero a un’équipe della BBC che Galang, il traduttore, li aveva pagati in sigarette per raccontare la storia della bufala ed ingannare 20/20. La gente cominciò ad avere qualche dubbio sulle proprie convinzioni.
Dopo questa ulteriore pulizia del campo, gli scienziati iniziarono a guardare in modo oggettivo alle prove raccolte fino ad allora. I loro semplici utensili, che sembravano ridicolmente fragili e finti ai sostenitori della teoria dell’inganno, risultarono non essere più fragili e grezzi di simili utensili usati per brevi tempi in compiti semplici da altre culture paragonabili. Ancora un volta, la lingua fu uno dei punti focali dell’indagine. I sostenitori della bufala evidenziarono almeno un difetto della lingua Tasaday: conteneva molte parole straniere. I Tasaday non potevano aver imparato questi termini se fossero stati davvero isolati. Ma la sociolinguista Carol Molony aveva scoperto, nel 1972, che avevano imparato queste parole da Dafal. Un simile controllo approfondito di ogni anomalia produsse delle spiegazioni plausibili che consentivano di risolvere il puzzle.
Lawrence Reid è un linguista che ha svolto ricerche sostanziali nella lingua Tasaday a partire dal congresso del 1988 a Zagabria. Ha determinato che il dialetto Tasaday è realmente separato dal Manobo che viene parlato altrove. Ha tutti i connotati di un dialetto genuinamente indipendente e non è plausibile che i Tasaday abbiano ingannato gli scienziati originali.
Linguisti esperti sono in grado di evidenziare molti schemi di una lingua che non sono evidenti nemmeno ai madrelingua; trascrivendo con cura conversazioni avvenute durante molte settimane con i Tasaday, inclusi i bambini che non sono certo avvezzi all’arte dell’inganno, non riscontrarono nessun errore indicante che stessero fingendo un dialetto inesistente. L’etnobotanico Douglas Yet ha usato delle tecniche simili sui bambini Tasaday negli anni Settanta e fu facile capire quali piante conoscessero e quali no. I Tasaday non avevano alcuna familiarità col concetto di raccolti da coltivazione.
Inoltre, le tecniche glottocronologiche sono migliorate nei decenni trascorsi e i linguisti sono stati in grado di raffinare i modelli statistici. La nuova data stimata di separazione dei Tasaday risale a soli 150 anni prima della loro riscoperta. I sociologi avevano supposto, in precedenza, che la ragione originale della divisione dei Tasaday fosse da ricollegarsi a un’epidemia o una disputa tribale di qualche tipo. La nuova datazione, circa il 1800, suggerisce una possibilità molto più cruenta. Era, infatti, l’epoca in cui schiavisti, sia europei che asiatici, si facevano strada nelle giungle per catturare gli uomini di queste tribù, a volte interi villaggi. È quindi possibile che i Tasaday discendano da persone che si nascosero per salvarsi la vita.
In una certa qual misura, il coinvolgimento di Manuel Elizalde come perpetratore di una truffa servì a sviare l’analisi. A oggi è chiaro che incoraggiò l’esagerazione della primitività dei Tasaday per i media degli anni Settanta; ad esempio, vestivano tessuti manufatti, ma li convinse a levarseli di fronte a scienziati e giornalisti. I Tasaday avevano avuto limitati commerci con Dafal e altri e questo, probabilmente, per tutta la durata del loro centocinquantennale isolamento. Elizalde, amico milionario del corrotto dittatore filippino, era molto malvisto, probabilmente con buona ragione, ma non ci sono prove che trasse un profitto dai Tasaday, come sostenuto dai propugnatori della teoria della frode. La sua influenza sul caso sembra limitarsi a poco più che qualche imbellettamento per le telecamere.
Per quanto possiamo dire, i Tasaday erano parte dei Blit Manobo fino a che fuggirono durante l’Ottocento, probabilmente con ottime ragioni e come fecero molti altri gruppi in tutte le Filippine. Mantennero una relazione cauta con amici selezionati per commerciare oggetti essenziali. Col passare delle generazioni, l’isolamento deliberato, inizialmente necessità vitale, divenne il loro stile di vita. Fino all’inevitabile scontro con la civiltà moderna, a cui i loro discendenti reagirono come poterono. Dafal avrà detto loro alcune cose, Elizalde delle altre, le équipe cinematografiche altre ancora, ma alla fine hanno fatto quello che hanno fatto e ci hanno convissuto, come tutti noi. Se qualcuno chiedeva qualcosa di bizzarro, facevano del loro meglio per soddisfarlo. Che qualche occidentale potesse considerare la loro piccola società come una sorta di paradiso utopico non avrà minimamente attraversato la loro mente, né il fatto che ci fossero delle persone in una sala conferenze croata a discutere su di loro. Oggi vivono in capanne sopraelevate, vestono abiti occidentali di scarto, fumano sigarette ed arano i campi, felicemente sposati con i Manobo e probabilmente stupiti dall’interesse suscitato. Così svanisce la storia dei Tasaday e di una controversia che loro non avranno assolutamente capito.