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Naturale = buono? La parola a Silvano Fuso

Naturale = buono?
Silvano Fuso
Carocci, 2016
pp. 256
€ 19.00

Recensione e intervista di Ornella Quivelli

Esiste l’agricoltura naturale? Erano più sani i cibi di una volta? Ma che cosa significa, in definitiva, “naturale”?
A queste e a tante altre domande risponde, nel suo ultimo libro “Naturale = Buono?”, il chimico e divulgatore scientifico Silvano Fuso.

I problemi attuali del quotidiano, ad esempio la vita frenetica, l’inquinamento, il traffico, si traducono spesso in un profondo desiderio dell’uomo contemporaneo di un ritorno nostalgico ai “bei tempi antichi”, ai “sapori di una volta”, alla “natura”, ma l’autore è netto. I bei tempi non sono mai esistiti, basta guardare la storia. Stanco delle immagini idilliache di natura che permeano i mass media, complici gli strumenti del marketing, l’autore cerca di riequilibrare questa visione distorta e sconnessa dalla realtà, a volte strizzando l’occhio a Leopardi, nel tentativo di riportarci consapevolmente con i piedi per terra.

Partendo sempre da un punto di domanda, l’autore induce il lettore a interrogarsi sui temi più attuali e dibattuti della sfera umana e, attraverso una puntuale e attenta analisi storica e delle conoscenze scientifiche, sfata uno a uno i miti e i luoghi comuni più radicati in tema di agricoltura, alimentazione, medicina, cosmesi, sessualità, architettura e altro ancora. Le domande, ora, le facciamo noi direttamente all’autore, in una breve intervista.

1) Ciao Silvano, come evidenzi nel tuo ultimo libro, da sempre l’uomo si interroga sulla natura e su se stesso cercando di comprendere e definire la propria posizione nel mondo. L’impatto dell’uomo, specie fra le specie, si riscontra pressoché ovunque. Quanto è difficile, secondo te, valutare le proprie responsabilità senza cadere nell’autocondanna?

Come cerco di illustrare nel libro, ogni specie vivente perturba inevitabilmente l’ambiente in cui vive e le altre specie. E l’uomo non fa eccezione. Solo l’uomo, tuttavia, è in grado di rendersene conto e di valutare l’entità dell’impatto ambientale da lui prodotto. Le sue conoscenze e la capacità previsionale della scienza, gli permettono, inoltre, di stimare gli effetti che tale impatto può produrre indirettamente su di lui.
In un’ottica puramente utilitaristica, effettuare una scelta consiste nel valutare il rapporto costi/benefici che ogni nostra attività comporta. Alcuni ambientalisti rifiutano però l’ottica utilitaristica, sostenendo che la tutela dell’ambiente e delle altre specie sia un obbligo morale, indipendentemente dal fatto che l’uomo ne possa o meno trarre vantaggio. È una scelta etica che può avere una sua rispettabilità, ma estremamente difficile da attuare senza cadere in pesanti contraddizioni (nel libro cerco di metterne in evidenza alcune, ad esempio a proposito del problema della sperimentazione animale e del veganismo).

2) Dall’agricoltura all’alimentazione, dalla medicina alla cosmesi, dal trasporto alle abitazioni, la ricerca del “naturale” non risparmia ormai alcun ambito. Quanto miti e leggende possono influenzare e condizionare la nostra società?

Possono influenzarla e condizionarla moltissimo. Nel libro cerco proprio di mostrare questi tipi di condizionamento relativamente al mito secondo il quale tutto ciò che è naturale è intrinsecamente buono. Tale credenza non trova alcun elemento fattuale che la supporti, basta poco per dimostrarlo. È sufficiente pensare che le sostanze più tossiche che si conoscono sono proprio di origine naturale (ad esempio, i veleni di alcuni serpenti o le tossine di alcuni funghi), oppure basta pensare alle malattie, perfettamente naturali, contro le quali l’uomo da sempre combatte.
È piuttosto buffo che l’aggettivo naturale venga aggiunto a sostantivi che indicano attività che di per sé sono inevitabilmente innaturali. “Agricoltura naturale”, “medicina naturale”, “cosmesi naturale”, ecc. sono veri e propri ossimori. Infatti l’agricoltura, la medicina, la cosmesi, ecc. sono attività il cui obiettivo è proprio quello di modificare la natura. Se proprio volessimo seguire la natura (termine terribilmente ambiguo) non dovremmo coltivare la terra, non dovremmo combattere le malattie, non dovremmo modificare il nostro aspetto fisico, ecc. Penso tuttavia che nemmeno i difensori della natura più integralisti sarebbero disposti a tali rinunce. E quindi nascono inevitabilmente le contraddizioni di cui parlavo prima.

3) Come evidenzi nel tuo libro, a fronte di un crescente aumento dei controlli, della sicurezza e dell’affidabilità in campo alimentare, medico e cosmetico, si assiste parallelamente a una sempre più forte diffidenza della società nei riguardi del progresso scientifico e delle conquiste della ricerca. Come potresti spiegare tale fenomeno?

Non è facile fornire una risposta: è un fenomeno piuttosto complesso che richiederebbe approfondite indagini sociologiche e psicologiche.
Io penso che la diffidenza nei confronti della scienza e della tecnologia sia un “lusso” che certe società si possono permettere, proprio grazie al benessere che scienza e tecnologia hanno consentito loro di raggiungere. Difficilmente una società povera disprezzerà scienza e tecnologia: essa, al contrario, auspicherà una loro maggiore diffusione. In altre parole, solo chi ha la pancia piena può permettersi di disprezzare il cibo.
Un altro fattore determinante, secondo me, è la memoria corta. Parallelamente al sentimento di diffidenza nei confronti della scienza, si diffonde infatti una nostalgia di un passato idealizzato, in cui l’uomo sarebbe stato più in armonia con la natura e in cui le condizioni di vita sarebbero state più umane. Queste nostalgie denotano però solamente una mancanza di conoscenze storiche. Purtroppo “i bei tempi antichi” di cui si favoleggia sono quelli in cui gli uomini dovevano lavorare duramente dal mattino alla sera semplicemente per procurarsi una quantità minima di cibo, in cui l’aspettativa di vita alla nascita era molto breve, orribili malattie provocavano morte e sofferenza, ecc. Si dice che la storia è maestra di vita, ma spesso la si dimentica. Per questo motivo nel libro dedico ampio spazio a mostrare come si viveva nel passato e quali sono stati gli sforzi che l’uomo ha dovuto compiere per affrancarsi dalle condizioni in cui la natura lo obbligava a vivere.

4) Tra “bio” e “OGM” i consumatori optano sempre più per i primi, nonostante molti prodotti dell’ingegneria genetica si stiano rivelando più ecosostenibili in termini di produttività e di minor impiego di fitofarmaci. Quali sono le motivazioni e gli effetti di questa contraddizione?

Anche qui, purtroppo, la gente preferisce affidarsi ai miti piuttosto che ai fatti. In particolare si dà più importanza al modo in cui un certo prodotto è stato ottenuto piuttosto che alle caratteristiche del prodotto stesso. Alla base di queste convinzioni vi è un fenomeno che gli psicologi chiamano “essenzialismo”. In una visione essenzialista, si ritiene che certe categorie di cose posseggano un loro principio interno, un’essenza per l’appunto, che non è direttamente osservabile, ma che ne definisce l’identità e che è responsabile delle somiglianze tra i membri appartenenti alla stessa categoria.
In quest’ottica ciò che ha un’essenza naturale è considerato buono. Ciò che è artificiale è invece considerato con sospetto. Per molte persone, ad esempio, una sostanza di origine naturale è intrinsecamente diversa da una di origine artificiale, anche se la chimica ci dice che le due sostanze sono identiche: hanno cioè la stessa struttura molecolare, quindi le stesse identiche proprietà e non esiste, di conseguenza, alcuna possibilità di poterle distinguere. Qualcosa di simile credo che possa spiegare la predilezione per i prodotti bio e l’avversione per gli OGM. Si tratta, però, di un approccio sbagliato. Sarebbe più corretto valutare pregi e difetti di un prodotto, indipendentemente dal modo in cui è stato ottenuto, tenendo ovviamente conto anche dei costi ambientali di produzione.

5) “Bio”, “green”, “eco”, le industrie sono abilissime nell’operazione di “greenwashing” per vendere i propri prodotti, non sempre poi così “verdi”, come spieghi efficacemente nel tuo libro. Riuscirà la scienza a raccogliere la sfida di rinnovare il suo linguaggio? Potrebbe, per esempio, far proprie le tecniche del marketing?

Anche questo è un problema cruciale. Per molto tempo gli scienziati non si sono minimamente preoccupati di informare adeguatamente il pubblico su quello che facevano nella loro attività di ricerca. Questo ha determinato una seria spaccatura tra comunità scientifica e società.
Per fortuna, da un po’ di tempo, il mondo della ricerca si è reso conto di questo fondamentale problema e sta cercando di aprirsi alla società. C’è però ancora tanta strada da fare.
La scienza deve sicuramente trovare sistemi di comunicazione più efficaci. Penso però che sarebbe sbagliato utilizzare le tecniche del marketing che, per loro natura, sono inevitabilmente un po’ mendaci. La scienza deve mantenere la propria fondamentale caratteristica di parlare di cose reali e non può procedere per slogan pubblicitari. Soprattutto deve sforzarsi di far comprendere al pubblico quali siano i metodi e i criteri di indagine e di valutazione che quotidianamente utilizza. Oltre alla comunità scientifica, in questo ambito, anche la scuola deve fare uno sforzo per diffondere una maggiore conoscenza della vera natura della scienza, al di là dei singoli contenuti specifici delle varie discipline.

6) Parlando di sessualità, evidenzi come alcune convenzioni sociali tentino di trovare riscontro nel mondo animale, condannando i cosiddetti atti “contro natura”. Il panorama biologico da questo punto di vista, appare articolato e complesso, contrariamente alle visioni idealizzate più diffuse. Che cosa puoi dirci al riguardo?

Sì, io dedico un intero capitolo al sesso, cercando di capire se abbia senso parlare di una sessualità naturale e, di conseguenza, di comportamenti sessuali “contro natura”. L’esame obiettivo della realtà ci porta a concludere che non ha alcun senso farlo. Nel mondo animale, anche nelle specie più vicine a noi evolutivamente, si osserva un’incredibile varietà di comportamenti sessuali: autoerotismo, uso di sex toys, omosessualità, bisessualità, rapporti orali, sesso di gruppo, prostituzione, necrofilia, pedofilia, voyeurismo, rapporti tra specie diverse, ecc. Quindi nessun comportamento sessuale è “contro natura”.
Purtroppo molta gente cerca di spacciare per comportamenti naturali quelle che sono semplicemente le proprie preferenze o le proprie abitudini in campo sessuale, cercando in tal modo di attribuire a esse un maggior valore prescrittivo. Si tratta di un comportamento disonesto e molto pericoloso, che cerca fraudolentemente di imporre agli altri le proprie personalissime opinioni.
Naturalmente non sto affermando che qualsiasi comportamento si osservi negli animali sia automaticamente accettabile per l’uomo. Le norme etiche dobbiamo crearcele noi umani e non cercare di individuarle nella realtà naturale. La natura è infatti totalmente indifferente ai nostri problemi e non ci può fornire alcun suggerimento. Anche le norme etiche vanno ricercate razionalmente, cercando di garantire al maggior numero possibile di persone il maggior numero di diritti e il maggior grado di libertà possibile.

7) In ambito medico sfati miti e pregiudizi su pratiche comuni e procedure, ad esempio sulla tanto discussa sperimentazione animale e sulla presunta inutilità dei vaccini. In che modo il metodo scientifico potrebbe rappresentare l’unico valido strumento per non cadere vittima di pregiudizi e pseudoscienza?

Se il pubblico conoscesse meglio i meccanismi attraverso i quali si sviluppa la ricerca medica, avrebbe probabilmente un atteggiamento di minor diffidenza e preoccupazione nei suoi confronti. Purtroppo spesso si pensa che l’unico motore che anima tale ricerca (soprattutto quella farmacologica) sia il profitto. Indubbiamente vi sono fortissimi interessi economici, ma questi ultimi vi sono anche in molti altri settori, compreso quello delle cosiddette medicine alternative o complementari (CAM).
Ciò che spesso sfugge è che dietro a un nuovo farmaco o una nuova terapia vi sono strettissimi controlli e lunghe e complesse sperimentazioni finalizzate all’accertamento della loro efficacia (paradossalmente, invece, le CAM sono esonerate da simili procedure).
Riguardo alla sperimentazione animale, si pensa spesso che essa sia un’inutile crudeltà. In realtà le stesse case farmaceutiche sarebbero le prime a essere felici di eliminare questo tipo di sperimentazione che è per sua natura economicamente dispendiosa. Purtroppo però essa è inevitabile poiché, allo stato attuale delle cose, non esiste un metodo che fornisca risultati altrettanto validi.
Anche sui vaccini dilaga una pericolosa disinformazione. Si dà credito a credenze smentite da tempo e si ignora invece il parere degli esperti che lanciano giustamente allarmi per il pericoloso calo del numero di vaccinazioni, che sta determinando la recrudescenza di malattie che erano scomparse da tempo.

8) Leggendo il tuo libro ho ricordato le parole di un personaggio di Midnight in Paris, noto film di Woody Allen: “La nostalgia è negazione di un presente infelice e il nome di questo pazzo pensiero è: Sindrome dell’epoca d’oro. L’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo, è un difetto dell’immaginario romantico di quelle persone che trovano difficile cavarsela nel presente”. Ce la caveremo?

Come ho già detto, anch’io nel libro ho fatto spesso riferimento al cosiddetto “sapere nostalgico” che rimpiange un passato idealizzato che di fatto non è neppure mai esistito. Ce la caveremo? Chi lo sa?
Ho intitolato le conclusioni del libro “Cosa ci riserva il futuro: difficili previsioni e ragionevoli speranze”. Ovviamente non propongo previsioni, che sarebbero inevitabilmente azzardate. Mi limito solo a sostenere che le visioni manichee non aiutano certo le nostre decisioni e possono essere molto pericolose.
Non dobbiamo quindi ricercare principi guida al di fuori di noi. Tanto meno nella natura che è del tutto indifferente alle nostre vicende. L’unica strada praticabile è fare riferimento alla nostra intelligenza. Dobbiamo onestamente essere consapevoli dei nostri limiti e delle nostre incertezze, ma anche delle cose che sappiamo e di quelle che possiamo conoscere attraverso lo studio e la ricerca. Dobbiamo vivere giorno dopo giorno, valutando attentamente le nostre scelte, cercando di prevederne le conseguenze su tempi quanto più lunghi possibile, correggendo continuamente la nostra rotta ogniqualvolta si renda necessario farlo e in base alle nuove conoscenze acquisite. Purtroppo non abbiamo altri mezzi.

Un pensiero su “Naturale = buono? La parola a Silvano Fuso

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