10 Luglio 2024
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Ecocidio sull’Isola di Pasqua? Un nuovo studio si aggiunge alle prove che confutano questa teoria

di Agnese Picco

Rapa Nui, o Isola di Pasqua, una delle terre abitate più isolate del mondo, ha avuto un rapido collasso dovuto allo sfruttamento intensivo delle limitate risorse ecologiche da parte della vorace popolazione. Questa narrazione, resa molto nota dal libro “Collasso” di Jared Diamond, viene chiamata ecocidio o teoria malthusiana (dal nome del filosofo Thomas Robert Malthus).

Si basa su due principali assunti. Primo: la popolazione di Rapa Nui si ridusse drasticamente poco prima dell’arrivo degli Europei (all’inizio del XVIII secolo) da decine di migliaia a 1500-3000 individui. Secondo: le palme che inizialmente coprivano l’isola furono abbattute dai nativi per poter trasportare e posizionare le famose statue Moai, che costellano le coste di Rapa Nui. Senza alberi a proteggere il suolo, le piogge erosero facilmente il terreno fertile, già scarso, provocando carestie. Inoltre l’assenza di alberi impedì ai nativi di costruire canoe o altre imbarcazioni per fuggire dall’isola o accedere alle risorse ittiche. Questo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali portò ad un periodo di forte instabilità sociale con guerre civili ed episodi di cannibalismo. Tutto sembra filare in una perfetta sequenza logica: in un contesto chiuso, senza apporti esterni, l’ingordigia del genere umano porta alla distruzione. Tutto perfetto, forse anche troppo.

Fin dalla prima uscita del libro di Diamond, nel 2005, molti scienziati che studiavano direttamente sul campo la storia di Rapa Nui (archeologi, antropologi, paleoclimatologi, zooarcheologi, ecc…) contestarono duramente la tesi del collasso climatico dovuto all’azione umana e anzi affermarono come le prove scientifiche fino ad allora raccolte portassero a sostenere piuttosto un attento utilizzo delle risorse da parte delle popolazioni native.

Già nel 2005 Benny Peiser, antropologo sociale, criticò l’impostazione del famoso scrittore che rendeva la popolazione nativa di Rapa Nui fautrice della propria rovina, ignorando lo schiavismo e i trasferimenti forzati di cui furono vittime gli abitanti dell’isola dagli anni ‘60 dell’800. Nel corso degli anni, poi, con il proseguire della ricerca si è potuto appurare che le statue potevano essere spostate e posizionate senza l’utilizzo dei tronchi di palma (con il metodo chiamato walking Moai). Le analisi polliniche dimostrano che l’isola fu deforestata in un breve lasso di tempo poco dopo la sua prima colonizzazione, nel 1200 d.C, ma le popolazioni umane potrebbero esserne solo in parte responsabili. Secondo recenti studi i colonizzatori polinesiani di Rapa Nui potrebbero aver portato con sé il ratto polinesiano, che si ciba sia delle noci che degli alberelli, impedendo la riforestazione. Anche dal punto di vista archeologico le prove dimostrano continuità, piuttosto che il panorama fortemente conflittuale sostenuto dalla teoria del collasso. Infine gli abitanti dell’isola consumavano anche risorse ittiche, come frutti di mare, ed erano agricoltori più abili di quanto lascerebbe intendere la teoria dell’ecocidio.

Proprio in questo senso va il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Science Advance, dal titolo Island-wide characterization of agricultural production challenges the demographic collapse hypothesis for Rapa Nui (Easter Island), volto a individuare le aree effettivamente coltivate per calcolare in modo più preciso la popolazione presente sull’isola prima dell’arrivo degli Europei.

La conformazione dell’isola rende difficoltosa la tecnica agricola con terrazzamenti irrigati, tipica di alcune isole polinesiane. La popolazione di Rapa Nui inizialmente cercò di migliorare la fertilità del suolo bruciando la vegetazione e in particolare le palme, una pratica comune nel debbio o “slash-and-burn”. Successivamente si passò alla pacciamatura con pietre, una tecnica che prevede di ricoprire il terreno al fine di aumentare i nutrienti e diminuire la dispersione di umidità del suolo. A Rapa Nui sono state messe in atto tre forme di pacciamatura. In primo luogo, uno strato di rocce di piccole dimensioni veniva posizionato direttamente sopra al suolo da coltivare. Questo accorgimento limitava l’erosione del suolo dovuta agli agenti atmosferici. In secondo luogo, pietre frantumate venivano mescolate ai primi 20-25 cm di terreno con il fine di aggiungere nutrienti per le piante. Infine, massi di grandi dimensioni venivano posizionati sopra il terreno con il fine di riparare il campo dal vento e di diminuire l’escursione termica tra il giorno e la notte.

Questo tipo di coltivazione poteva aumentare con successo la produttività del suolo e dimostrarsi un’ottima strategia di approvvigionamento, diventando una pratica vitale nella sussistenza degli abitanti di Rapa Nui prima del contatto con gli Europei. Le ricerche infatti hanno stimato che quasi metà della dieta consisteva in risorse terrestri. Misurare quindi l’effettiva estensione dei campi con pacciamatura diventa importante per stimare la popolazione massima supportata dalle risorse dell’isola. Ad oggi esiste una sola stima comprendente l’intera isola, che utilizza le bande vicine all’infrarosso (NIR) provenienti da immagini satellitari. Il team di ricercatori che ha firmato il nuovo studio, invece, ha utilizzato i dati raccolti durante le indagini sul terreno negli ultimi 5 anni per allenare modelli di machine learning, con il fine di identificare le caratteristiche dei campi con pacciamatura rocciosa sulla base di immagini satellitari ad alta risoluzione dell’intera isola, scattate nella banda dell’infrarosso (SWIR), provenienti dal satellite Worldview-3

Lo studio ha permesso di ricalcolare i dati precedenti riducendo di molto la superficie coltivata. Si era infatti stimato che 163,6 km2 dell’isola fossero coperti da campi di questo tipo. Tenendo conto che una delle colture prevalenti era la patata dolce (Ipomea batatas), in base alle rese caloriche di questo alimento, era stato calcolato che la popolazione di Rapa Nui poteva raggiungere i 17 mila individui. Questo dato sembrava confermare la teoria dell’ecocidio in quanto, se prima del contatto con gli Europei la popolazione era così ampia, perchè poi si era ridotta drasticamente in epoca storica? 

Nel nuovo studio, però i ricercatori affermano che la superficie coltivata con il metodo della pacciamatura rocciosa era solamente di 0,76 km2 e dunque la popolazione non poteva superare le 4000 unità. Questo valore corrisponde ai resoconti storici sulla dimensione della popolazione al momento dell’arrivo degli Europei nel XVIII secolo. Occorreranno ulteriori studi, anche sul campo, per raffinare i dati, includendo ad esempio anche le risorse ittiche, che costituivano il 35 – 40% della dieta locale, e le piccole coltivazioni non rilevate dal satellite, ma il quadro generale sta prendendo forma. 

Non si registra nessun drastico calo della popolazione e nessuna particolare crisi alimentare o di sfruttamento del suolo, come nell’ipotesi dell’ecocidio, ma anzi emerge una popolazione preistorica che ha avuto successo e ha vissuto in modo sostenibile sull’isola fino al contatto con gli Europei. Quadro confermato anche da altri studi e ricerche effettuati negli ultimi anni in diverse discipline.

L’ipotesi dell’ecocidio viene spesso usata come monito riguardo a quello che può succedere in un ambiente chiuso, come un’isola sperduta nel Pacifico o l’intero pianeta Terra, quando si attua uno sfruttamento eccessivo delle risorse. Il crescente corpus di ricerche scientifiche ci mostra invece un esempio positivo di una popolazione che, pur con risorse limitate, è riuscita a sopravvivere con successo nel proprio ambiente fino a quando un fattore esterno, le navi schiaviste degli Europei, non ha portato alla dispersione e allo sterminio dei nativi. In questo senso l’archeologia ha molto da offrire ad altre discipline focalizzate sui problemi contemporanei di conservazione e gestione delle risorse, ma solo quando la documentazione archeologica viene accuratamente misurata e interpretata.

Foto di Yerson Retamal da Pixabay