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Gli yeti di Kemerovo

La notizia.

Nell’ultimo periodo due curiosi eventi hanno fatto sì che i media riprendessero ad occuparsi del cosiddetto abominevole uomo delle nevi. La recente scoperta tra gli Archivi Nazionali Americani di un documento ufficiale datato 1959, contenente una serie di regole da seguire nel caso spedizioni alpinistiche statunitensi si fossero imbattute nel mitico animale, non ha avuto molta eco a livello internazionale, ma un bizzarro congresso tenutosi in Russia poche settimane fa ha invece attirato su di sé l’attenzione mondiale.
Ma procediamo con ordine, con il riassunto di quanto diramato dai media…

Un team di scienziati provenienti da tutto il mondo, “arruolati” dal governo della regione siberiana di Kemerovo per indagare misteriosi e ripetuti avvistamenti presso la cittadina di Tashtagol, dopo avere esaminato impronte e peli rinvenuti all’interno di una caverna, avrebbe stabilito che c’è il 95% di possibilità che lo yeti esista veramente. E non è tutto: secondo Igor Burstev del Centro Internazionale di Ominologia, sarebbero almeno 30 gli “abominevoli“ che frequenterebbero l’area.

Dopo avere riportato questi “fatti” tutti i media, immancabilmente, hanno sottolineato come la scoperta avesse incrementato il business della remota cittadina. Ma le cose si sono svolte veramente così? E come mai lo yeti (che esista o meno) ha deciso di trasferirsi dall’Himalaia alla Siberia? Proviamo a ricostruire il tutto con ordine…

Un preambolo etimologico.

Per prima cosa è necessario un chiarimento: la parola yeti è un’occidentalizzazione del vocabolo Sherpa yeh-teh, che significa “animale delle rocce”: yeh (zona rocciosa) + teh (animale). Secondo gli Sherpa lo yeti è simile ad una scimmia alta circa 120 – 150 cm, dal pelo rossiccio e dotata di una caratteristica testa conica. Si tratterebbe di un animale solitario che camminerebbe con una postura eretta sui tratti nevosi, ma che di norma deambula a quattro zampe. Durante la mia permanenza in Nepal ho potuto parlare a lungo con gli Sherpa e ascoltare le loro descrizioni del misterioso primate, che a parte le dimensioni sopra la media e l’indole solitaria, non sembrerebbe essere troppo dissimile da un macaco.

Ma se le cose stanno così, perché nell’immaginario collettivo lo yeti è perlopiù rappresentato come una sorta di uomo scimmia bipede di enormi dimensioni?

La spiegazione va ricercata nel vasto patrimonio folkloristico delle popolazioni delle zone montane asiatiche. In Nepal ad esempio, oltre che allo yeti, le popolazioni dei villaggi parlano anche del ban-manche, l’uomo della foresta: ban (foresta) + manche (uomo). Questa creatura, descritta sempre con le medesime caratteristiche, pur se con una moltitudine di nomi diversi, fa parte del bagaglio culturale di numerosissime etnie asiatiche stanziate presso le propaggini delle catene montuose, dal Caucaso al Vietnam, e il significato del suo nome nelle varie lingue e dialetti locali è quasi sempre riconducibile a quello di uomo selvatico o uomo dei boschi.
Secondo i testimoni si tratterebbe di creature (i presunti avvistamenti descrivono sia individui di sesso maschile che femminile) molto simili all’uomo, ma distinte da quest’ultimo da una costituzione fisica massiccia, l’andatura un po’ ciondolante e una vistosa peluria che ne ricopre la maggior parte del corpo alla stregua della pelliccia di un animale. Il volto di queste creature sarebbe caratterizzato dal mento sfuggente e dalle robuste arcate sopraccigliari e le loro dimensioni varierebbero dai 160 cm agli oltre due metri. E’ quindi a questi esseri che si fa riferimento, pur se non correttamente, quando in Occidente si parla di yeti ed è con questo termine, per facilitare la lettura, che proseguirò la stesura dell’articolo.

Il meeting russo.

E’ proprio vero che il governo di Kemerovo ha ingaggiato un team di esperti internazionali per indagare sullo yeti? I fatti in realtà non si sono svolti propriamente così, ma anche in questo caso è necessario un preambolo indispensabile per avere il quadro completo della faccenda.

Storicamente l’ex Unione Sovietica è stato il primo Paese a interessarsi ufficialmente allo yeti, istituendo nel 1958 un’apposita commissione in seno all’Accademia delle Scienze a seguito delle numerose segnalazioni che erano provenute dalle aree montuose russe dell’Asia Centrale. La commissione, che faceva capo allo storico e filosofo Boris Federovich Porshnev (1905 – 1972), raccolse numerose segnalazioni e una vasta documentazione, tra cui quello che può essere considerato come il primo tentativo di studiare in modo scientifico queste leggendarie creature: una lunga relazione del 1914 dal titolo “Circa la questione dell’uomo selvatico” firmata dal Prof. Vitali Andreievich Khakhlov, biologo esperto in ornitologia e anatomia comparata. Dimenticata per anni in un archivio dell’Accademia delle Scienze sotto la poca lusinghiera dicitura di “Note prive d’importanza scientifica”, tale relazione, scritta da Khakhlov mentre era ancora uno studente di scienze naturali, racconta i quattro anni di lavoro sul campo che dedicò alla ricerca dello ksy-gyik (uomo selvatico) della cui ipotetica esistenza era venuto a conoscenza per puro caso nel 1907 da una guida kazaka, mentre si trovava al confine con il Sinkiang (Turkestan cinese). Cercando di tradurre le descrizioni dei pastori kazaki in termini anatomici, Khaklov realizzò veri e propri identikit che continuava ad elaborare fino a quando non raggiungevano il consenso dei presunti testimoni. Le ricostruzioni colpirono molto il Prof. Porshnev, che elaborò un’ardita teoria destinata ad essere accolta freddamente dal mondo accademico: gli uomini selvatici della cui esistenza si vociferava in gran parte dell’Asia erano in realtà i diretti discendenti degli uomini di Neanderthal, che si erano rifugiati nelle più remote zone di montagna per fuggire alla pressione esercitata dall’avvento degli uomini sapiens. Per mancanza di prove oggettive (nel corso degli anni la commissione aveva raccolto soltanto numerosi presunti avvistamenti e realizzato calchi di impronte attribuite agli uomini delle nevi), l’Accademia delle Scienze decise di interrompere le ricerche, ma Porshnev e alcuni colleghi scelsero di continuare in modo autonomo le loro ricerche. A questo scopo fondarono la propria sede presso il Museo Darwin di Mosca con il benestare del suo curatore, Pyotr Smolin.

Ecco quindi che molti anni dopo, i due più fervidi discepoli di Boris Porshnev, Igor Bourstev e Dmitri Bayanov, stimolati dai recenti avvistamenti di Kemerovo e dall’interesse dimostrato dai governanti locali, hanno deciso di organizzare un convegno internazionale al Museo Darwin per incentivare l’istituzione di un nuovo organo di ricerca ufficiale.

Al seminario ha preso parte quasi tutta la variegata famiglia degli “yetologi”, dal biologo da campo John Bindernagel, che da anni si interessa al fenomeno del famoso Bigfoot americano riuscendo anche a pubblicare alcuni studi in merito su riviste scientifiche, a Robin Lynne Pfeifer, una sedicente contattista (!) di ominidi che per ben due anni avrebbe incontrato e interagito con le misteriose creature. Ma al momento non ho ancora potuto esaminare le relazioni dei partecipanti e quindi devo lasciare in sospeso ogni giudizio in merito.

Prove inconfutabili?

Accodandosi a una nota di agenzia, molti quotidiani hanno parlato di “prove inconfutabili” presentate durante il seminario, ma in realtà la maggior parte dei relatori si è dissociata da simili dichiarazioni. Da quanto emerso sino ad ora sembra che la dichiarazione più “estrema” sia stata quella di Igor Burstev, il quale ha dichiarato che dopo tanti anni di studi si è convinto al 95% che gli yeti siano creature in carne e ossa. Per quanto riguarda invece i presunti peli e impronte ritrovati presso la grotta di Azasskaya, va specificato che la loro scoperta risale a qualche tempo prima del convegno. All’interno del meeting era prevista una visita alla “caverna dello yeti”,  ma diversi partecipanti non sono rimasti molto colpiti dalle „prove“ in essa contenute (Jeff Meldrum della Idaho State University l’ha definita una “gita fuori porta priva di interesse”).

Chi ha visitato la caverna ha potuto osservare le numerose grandi impronte che erano state precedentemente segnalate, ben impresse sul suolo fangoso: una prova del passaggio dello yeti? Non secondo le dichiarazioni di Meldrum, che ha fatto notare come incredibilmente, tutte le impronte ritrovate erano quelle del piede destro, commentando sarcasticamente che lo yeti “deve avere giocato a settimana”.

Mostro e turismo.

Quando notizie del genere vengono diffuse, non manca quasi mai il classico cliché dei mirabolanti introiti turistici portati dal mostro di turno all’economia locale. Ma il paragone con la celeberrima Nessie non è appropriato. Quello di Loch Ness è infatti, da un punto di vista commerciale, un fenomeno più unico che raro: una meta turistica già molto apprezzata dal 1800 (oltre cento anni prima della nascita della leggenda del suo leggendario mostruoso abitante) che trovandosi ad un’ora di automobile da un aeroporto internazionale di una regione che con o senza mostri non è certo carente di punti di interesse, è divenuta oramai una tappa quasi irrinunciabile di ogni tour della Scozia che si rispetti.

Dal canto suo Tashtagol è una cittadina a 3.500 km da Mosca che conta meno di 30.000 abitanti, fondata nel 1939 come colonia mineraria: non propriamente allettante né comoda come possibile meta turistica. Se qualche abitante del posto ha falsificato delle prove per spargere la voce della presenza degli uomini delle nevi, è molto più probabile che lo abbia fatto per puro divertimento o per vincere la noia, piuttosto che per il progetto di arricchire gli introiti locali con improbabili frotte di turisti infreddoliti desiderosi di rifocillarsi al “bar dello yeti”.

Ha senso per la scienza occuparsi di simili argomenti?

Personalmente ritengo che il migliore spunto di riflessione nei confronti di queste notizie sia quello di chiedersi se debbano essere considerate come semplici curiosità o se meritino davvero un interessamento da parte del mondo accademico. La questione è senza dubbio alquanto spinosa, le opinioni in merito piuttosto variegate e in questa sede risulta impossibile anche solo tentare di riassumerne tutti gli aspetti. Mi limiterò quindi a brevi considerazioni.

Negare che anche in tempi molto recenti siano state scoperte nuove specie di primati, anche di grosse dimensioni, già ben note alle popolazioni locali prima che fossero riconosciute dalla scienza, sarebbe privo di logica. In questi casi però le scoperte, sebbene di grande importanza dal punto di vista della biodiversità, hanno riguardato animali che potremmo definire “normali”, mentre i leggendari uomini selvatici dell’Asia e dell’America del Nord rappresenterebbero letteralmente qualcosa di straordinario.
Ipotizzare che nei prossimi anni saranno scoperte numerose nuove specie di animali di cui attualmente ignoramo l’esistenza non è scientificamente scorretto: l‘intera storia della zoologia è ricchissima di esempi e sono stati persino elaborati sofisticati modelli matematici per “prevedere” il numero di specie ancora non catalogate a livello ufficiale. Supporre però che tra questi organismi possano celarsi anche altre specie del genere Homo, che continuano a sopravvivere ignorate dai moderni uomini sapiens che le credono estinte, sembra alquanto azzardato.

Jeffrey Meldrum, esperto di locomozione umana della Idaho State University, all’interno del suo volume Sasquatch: legend meets science, lancia un accorato appello ai suoi colleghi: non chiede loro di accettare l’esistenza del bigfoot, ma di accettare che i suoi studi per verificarne l’esistenza siano considerati parte legittima della ricerca scientifica.
Personalmente ritengo che il punto di vista di Brian Regal, professore di storia della scienza alla Kean University, che ha commentato il convegno tenutosi a Mosca sulle pagine del Guardian, contenga la migliore risposta possibile alla richiesta di Meldrum:

Se lo yeti o il bigfoot […] esistono un giorno saranno scoperti […] fino ad allora se i criptozoologi vorranno essere presi sul serio dagli scienziati, dovranno comportarsi maggiormente da scienziati e meno da imbonitori da fiere. Mantenere il circo al minimo fino a che avranno uno yeti da mostrare al mondo, allora il rispetto arriverà.

Immagine tratta da Wikimedia Commons, disegno di Lizard King, licenza CC BY-SA 3.0

3 pensieri riguardo “Gli yeti di Kemerovo

  • Bentornato, caro Lorenzo, serio e documentato come sempre. Ho la presunzione di riassumere il problema dell’ esistenza, o meno, di un essere che avrebbe caratteristiche più umane che animalesche in luoghi remoti, montuosi, di tutti i continenti. Il problema insormontabile per i Creduloni è la mancanza di catture di esemplari viventi e studiabili. Problema simile a tanti altri nel campo della Criptozoologia. Sul fronte opposto, la ricchezza di testimonianze, di impronte e addirittura di orme, pone qualche problema anche agli Scettici meno estremi. Può esserci una spiegazione “logica” oltre il negazionismo assoluto (tutte bugie o abbagli)? A mio parere sì: se si tratta di animali assimilabili alle scimmie e/o agli orsi, possono essere talmente elusivi in aree vaste e inesplorate da non fornire, fino ad oggi, catture di esemplari viventi. Abbiamo l’ esempio della lince in Italia, della quale abbiamo a lungo discettato privatamente. Una obiezione seria che mi autopongo è però che tali animali non sono mai in grado di riprodursi fino ad allargare la propria area e farsi vedere in gran quantità. Cosa atipica in natura, dove una specie in forte riduzione di norma scompare entro pochi decenni o si riallarga. Se si tratta di scimmie evolute verso l’ uomo che hanno deciso di isolarsi e di controllare la propria riproduzione, eludendo i contatti coi più evoluti, rimangono le obiezioni di cui sopra. Tra l’ altro, se sono esseri già ragionanti in modo simile a noi, tentativi pazienti di avvicinarli in pace e amicizia, senza atteggiamenti aggressivi, dovrebbero sortire effetti positivi. Una obiezione per loro che mi autopongo è che dovrebbero lasciare qualche traccia di abitazione, anche in caverna, evoluta rispetto agli animali, anche con forme di utensili o addirittura di arte murale o lignea. Come possono campare se hanno bisogno di mangiare e di ripararsi dal freddo? Spiegazione paranormale, valida solo per i Creduloni della mia tribù: vi sono sia animali elusivi che Esseri simili a noi, coi quali vengono spesso confusi. Tali Esseri non appartengono al nostro mondo, come, ritengo, non vi appartenga Nessie. Hanno la proprietà di farsi vedere da chi gli pare e non hanno necessità di nutrirsi e di riprodursi. Se sono soggetti alla morte, i loro corpi vengono trasportati altrove o eliminati dai loro simili in modo rituale tale da non farceli ritrovare. Ma penso che non siano soggetti alla morte, almeno nei termini per noi abituali. Vivono, per loro scelta, in questi luoghi che proteggono e preservano e si manifestano anche per proteggerli e conservarli.

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  • Ciao Aldo, riesci sempre ha sorprendermi. pensavo che quelli di “MISTERO” avessero tanta fantasia,ma tu li batti Aldo. Ciao.

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  • Eh, no, caro Luca, troppo comodo atteggiarTi a razionalista scettico e darmi del fantasista:la Tua predilezione per Manuela Arcuri e, soprattutto, l’ aver preferito Ingemar Randi a James Randi, Ti qualifica come un eterosessuale antiquato e superstizioso.

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