Il contesto è tutto
Martin Robbins è un giornalista scientifico inglese.
Gestisce un blog (The Lay Scientist) sull’edizione online del Guardian.
Questa è la traduzione di un articolo uscito in data 6 Marzo 2012 ed intitolato “Scientist say…” in cui si fa riferimento al “caso Wakefield” di cui ci siamo occupati in questo pezzo.
La legge di Gibson, popolare nell’ambiente americano delle pubbliche relazioni, afferma che per ogni esperto esiste un altro esperto di opinione opposta. Ben Goldacre la mette giù diversamente in Bad Science, suggerendo che non c’è in pratica alcuna teoria (per quanto bizzarra) per la quale non si riesca a trovare un articolo scientifico a supporto. In generale possiamo dire che, se si tratta di valutare lo stato dell’arte della conoscenza scientifica, i singoli esperti o estratti frammentari di ricerche non contano nulla.
La scienza è un’epica battaglia di idee; gli attori si lanciano in argomentazioni che possono durare anni ed il consenso emerge di solito molto lentamente. Tirare delle conclusioni sulla base di un frammento intercettato in questa battaglia equivale a cercare di prevedere un evento climatico a partire dal moto erratico di un fiocco di neve nel vento.
Nonostante ciò, intere legioni di giornalisti scientifici tentano di seguire questo approccio. Molti articoli scientifici sono pieni di oscure referenze a “esperti” e “scienziati” che “dicono” o “affermano” qualcosa. La forma più comune di errore è forse l’espressione ricorrente “gli scienziati dicono”, che veicola la stessa informazione di “alcuni dicono…” oppure “ho sentito al bar che…”.
In molte occasioni in cui questa espressione viene usata, gli scienziati in realtà non volevano dire ciò che viene riportato: “alcuni” scienziati lo dicono, “altri non si esprimono, “altri ancora” addirittura lo negano. Spesso chi scrive di scienza non fa grandi sforzi per riportare le affermazioni citate nel quadro più generale dell’avanzamento della scienza.
Atteggiamenti del genere comportano un certo numero di conseguenze: sottintendono il consenso dove questo non c’è, omettono di porre la ricerca nel contesto appropriato, selezionano arbitrariamente singoli studi ed esperti, forniscono al pubblico un quadro erratico e caotico del progresso scientifico. Evitando di porre la ricerca nel proprio contesto, i quotidiani spingono i loro lettori a vedere la scienza come una comunità omogenea ed autoreferenziale, e a chiedersi come mai a volte all’interno di questa comunità si possano fare affermazioni apparentemente contraddittorie. La scienza è dipinta come molto meno stabile e certa di quanto non sia in realtà, il che rende un importante servigio ai “mercanti del dubbio” descritti da Oreskes e Conway.
La cosiddetta “industria della dieta” è interamente basata sulla promozione dell’ignoranza e rende molteplici benefici a coloro che la sfruttano, come evidenziato da questo articolo del Dipartimento di Salute Pubblica di Harvard:
…quando si parla di ricerca sulla nutrizione e sulla salute, gli articoli giornalistici sono spesso responsabili della frustrazione che il pubblico prova nei confronti dei professionisti della salute. Privilegiando pezzi corti ed “appetibili”, i media spesso riportano solo i risultati di alcuni studi e molte storie sono scelte unicamente perché i risultati contraddicono le raccomandazioni correnti delle autorità sanitarie. Poiché questi articoli forniscono assai poca informazione sul come i nuovi risultati si inseriscano nel quadro generale della ricerca nel settore, il pubblico è portato a credere che, ancora una volta, gli scienzati si contraddicano.
La stessa cosa è successa in Gran Bretagna con il vaccino polivalente contro Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR): la fiducia dell’opinione pubblica nel vaccino risentì enormemente del fatto che le ricerche di Andrew Wakefield non furono poste nel giusto contesto. Un singolo piccolo studio non avrebbe dovuto contare di fronte all’imponente mole di prove scientifche, indipendentemente dall’eventuale frode. Tuttavia molta stampa era troppo ignorante o semplicemente troppo interessata al sensazionalismo piuttosto che alla chiarezza del contesto.
La successiva inchiesta di Brian Deer è stata un esempio di grande giornalismo, sebbene irrilevante sul piano strettamente scientifico riguardo il vaccino MPR; tuttavia sembra che lui si consideri un “eroe” dichiarando avventatamente in un articolo del Guardian: “sono passati 13 anni da quando ho sconfitto il mostro MPR”. Naturalmente il “mostro” era già morto da parecchio, ma il suo corpo inerme era stato tenuto inopinatamente in bella evidenza in modo che “San Brian” potesse infilzarlo con la sua spada.
L’ironia della sfida di Brian Deer al drago MPR è che non ha fatto che rinsaldare l’opinione fallace che Wakefield e i suoi studi fossero in qualche modo attendibili. Un dibattito sul peso delle evidenze scientifiche si è trasformato invece in uno scontro di personalità. Le ricerche di Deer su Wakefield erano minate dalla stessa visione errata che ha alimentato l’equivoco sin dal principio: cioè che il personalismo, le affermazioni audaci e i singoli studi contino più dell’evidenza, del contesto e del consenso.
Le storie basate su singoli studi o esperti sono spesso errate, e fare troppo uso di frasi generiche come “gli scienziati dicono” suggerisce che chi scrive non ha una visione panoramica e approfondita dell’argomento. Nel mondo della scienza il contesto è tutto, e ce n’è sempre più bisogno.
Foto di Katja Fuhlert da Pixabay
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