Un anno dopo l’Apocalisse
Nel 2011, il reverendo Harold Camping girò tutti gli Stati Uniti con i suoi accoliti, per annunciare l’imminente fine del mondo. Quando l’Armageddon non si presentò all’appuntamento del 21 maggio 2011, ci riprovò il 21 ottobre dello stesso anno. Per poi rinunciare definitivamente a fare ulteriori previsioni, ammettendo che in fondo “Dio non è obbligato a rivelare i suoi piani”.
A distanza di un anno, che fine hanno fatto i seguaci di Camping? Tom Bartlett, giornalista scientifico del Chronicle of Higher Education, ha pubblicato una lunga inchiesta su questo argomento, unendo l’attenzione del cronista all’empatia di chi, avendo seguito da vicino la situazione, aveva finito per stringere legami di amicizia con alcuni fedelissimi del reverendo.
Ma per capire le loro reazioni, occorre fare un passo indietro. Le interviste di Bartlett prima del 21 maggio evidenziavano un’estrema sicurezza: alcune persone erano così convinte dell’imminente Apocalisse, che avevano scelto di abbandonare il proprio lavoro per unirsi alla carovana di Family Radio.
E’ il caso di un ingegnere di 35 anni, con un lavoro che amava in una solida azienda, da cui si dimise tre mesi prima dell’apocalisse, convinto che il mondo sarebbe presto arrivato al giudizio finale.
Con meno di tre mesi al giorno del ritorno di Cristo, vorrei spendere più tempo studiando la Bibbia e suonando la tromba per avvertire del suo imminente Giudizio
A Tom Bartlett, l’ingegnere aveva spiegato così la sua scelta:
Non è una predizione, perchè una predizione può comunque potenzialmente fallire. Anche se c’è il 99,9% di sicurezza, quello 0.1% la rende incerta. E’ come per il tempo. Se è del 60%, può piovere o non piovere. Ma in questo caso stiamo dicendo che c’è il 100% di probabilità che ci sarà. Dio con il suo fuoco ardente sta arrivando per portare il giudizio e distruggere il mondo.
La stessa sicurezza traspariva dalle affermazioni degli predicatori: molti paragonavano la profezia sul 21 maggio 2011 a un puzzle, in cui ogni pezzo si incastra con gli altri troppo perfettamente per non essere vero.
Poi il 21 maggio arrivò. Molti fedeli rimasero alzati fino alla mezzanotte del 20, aspettando il giorno del Giudizio. Quando l’ora scoccò, prese piede l’idea che sarebbe avvenuto alle 18. Ma le ore passavano, e nulla accadeva. Poco dopo la mezzanotte, qualcuno scrisse sul Latter Rain, un forum frequentato da molti dei fedeli di Camping:
E’ ancora il 21 maggio nelle Samoa Americane
Giunto il 22 maggio, le ipotesi si susseguirono: forse occorreva aspettare tre giorni dalla data fatidica, così come tre giorni erano passati dalla crocifissione alla resurrezione di Gesù. O magari 7, numero sacro per eccellenza. E perché non 40 (i giorni passati sull’Arca durante il Diluvio Universale)?
Poi Harold Camping parlò, affermando che il giudizio era comunque avvenuto “in forma spirituale”, ma che Dio doveva aver deciso di risparmiare agli uomini le ultime sofferenze. Il mondo sarebbe comunque finito il 21 ottobre 2011. In ogni caso i giochi ormai erano fatti: il Signore aveva già deciso chi si sarebbe salvato, e non era più necessario andare in giro a predicare.
Le reazioni dei fedeli di Camping confermano sostanzialmente quanto osservato negli studi sociologici riguardo ad altri gruppi apocalittici: coloro che più avevano investito in questa storia – non solo economicamente, ma anche in termini personali – erano i più propensi ad accettare la spiegazione del reverendo, e l’eventuale postposizione della fine del mondo.
E’ il caso di un altro ingegnere, che aveva speso la maggior parte dei suoi risparmi (circa mezzo milione di dollari) per avvertire il mondo. Dopo il 21 maggio la sua fede ebbe un duro colpo, fu assalito dai dubbi. Ma a poco a poco si convinse che il mondo doveva finire il 21 ottobre. Non c’erano alternative. Alle domande di Bartlett rispose, abbastanza irritato:
Come puoi dire queste cose quando vedi tutte queste belle informazioni nella Bibbia? Come può tutto quello che abbiamo imparato essere una bugia?
Lo stesso avvenne per un uomo, padre di tre figli, con un lavoro nel settore finanziario. Dopo il 21 maggio anche lui ebbe dei dubbi, e si scusò su Facebook con gli amici che aveva tentato di convertire. Ma con l’avvicinarsi del 21 ottobre si ritrovò ad aspettare di nuovo la data fatidica.
Sono stato convinto per dieci anni che questo sarebbe successo. Sì, penso che [il 21 ottobre] sarà la fine di tutto.
Quando anche il 21 ottobre arrivò e passò, e Harold Camping rinunciò a fare ulteriori profezie, questa persona fu presa dallo sconforto.
Dopo il 22 ottobre, mi sono detto: “Lo sai? Penso che fossi finito in una setta”.
La sua preoccupazione maggiore erano i suoi figli: che esempio gli aveva dato? Cosa avrebbero pensato di lui, quando sarebbero stati abbastanza grandi per capire?
Mia moglie e io scherziamo dicendo che quando i miei ragazzi sarebbero cresciuti avrebbero raccontato in giro che i loro pazzi genitori erano fra quelli che credevano che il mondo sarebbe finito.
Anche per gli altri fedeli fu lo stesso: la mancata Apocalisse li aveva lasciati distrutti, vuoti, senza più nessuna di quelle certezze su cui avevano fondato gli ultimi anni delle proprie vite. Scrive Bartlett:
Questa profezia fallita ha causato dei danni reali, finanziariamente ed emotivamente. Quella che era stata una curiosità per il resto di noi era stata, per loro, traumatica.
Un giovane musicista, che aveva abbandonato il suo lavoro per annunciare l’Apocalisse e aveva sostanzialmente messo in stand-by la sua vita per quattro anni, scrisse a Bartlett di aver perso un’incredibile quantità di fede:
Mi stupisce pensare a quanto malleabile possano essere le nostre menti. Sembrava tutto così reale, aveva tutto così tanto senso, ma non era vero. E’ una cosa che lascia molto da pensare.
Altre persone affrontarono il trauma riscrivendo, sostanzialmente, la propria esperienza, e arrivando a pensare che, in fondo, non avevano mai davvero creduto alla fine del mondo. Scrive Bartlett:
Sono rimasto colpito da come alcuni fedeli modificassero il passato per evitare di riconoscere che si erano sbagliati. L’ingegnere sui 35 anni, quello che mi aveva detto che era una profezia, piuttosto che una predizione, affermò di non aver mai detto di essere certo riguardo al 21 maggio. Quando gli lessi la trascrizione della nostra precedente intervista, sembrò genuinamente sorpreso che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca. Era come se stessimo discutendo di un sogno che non riusciva bene a ricordare.
Questa reazione non deve stupire: riconoscere di aver creduto a qualcosa di totalmente sbagliato è sicuramente qualcosa di negativo per la propria autostima, e può risultare più facile, dal punto di vista psicologico, rileggere il proprio passato secondo una chiave di lettura più facile da accettare.
Tanto più che le persone coinvolte in questa vicenda non erano affatto persone “stupide”, ma persone che, in perfetta buona fede, si erano semplicemente lasciate sedurre da un’ipotesi. Dall’inchiesta di Bartlett:
E’ stato fatto notare dagli studiosi che si occupano di gruppi apocalittici che i credenti tendono ad avere mentalità analitiche. Sono spesso bravi in matematica. Ho incontrato diversi ingegneri, insieme a uno specializzando in matematica e due analisti finanziari. Sono persone abituate a identificare schemi in serie di dati, e i metodi che usavano per identificare gli schemi nella Bibbia erano spesso impressionanti, anche brillanti. Trovare inaspettati collegamenti tra i versi – ciò che i fedeli chiamavano “comparare scrittura a scrittura” – era un modo per acquistare prestigio nel gruppo. I saggi che scrivevano per spiegare questi collegamenti potevano essere sorprendentemente intricati.
I fedeli di Harold Camping erano andati incontro a quello che gli psicologi chiamano “confirmation bias“: la tendenza a considerare solo i dati a supporto di una teoria, e non quelli che la smentiscono. Una tendenza che colpisce un po’ tutte le persone, chi più e chi meno, e che è, tutto sommato, perfettamente “normale”.
E quindi, che cosa può dirci questa storia? Tom Bartlett afferma di aver imparato una lezione importante, che può essere un utile spunto per l’imminente 21 dicembre:
Ho imparato molto sul potere seduttivo del pensiero radicale, sulle imperscrutabili stravaganze delle interpretazioni bibliche, e su come la nostra mente può modellare la realtà per adattarla a una storia. Ho anche imparato che non c’è bisogno di essere pazzi per credere a qualcosa di folle.
Foto di Alexander Zvir da Pexels
Già non c’è bisogno di essere pazzi per credere a qualcosa di folle, basta solo essere un po’ stupidi.
In realtà non c’è neanche bisogno di essere stupidi, anche persone molto intelligenti possono avere credenze strampalate. Guarda per esempio qui:
http://socsci.gulfcoast.edu/rbaldwin/Why%20Do%20Smart%20People%20Believe%20Weird%20Things.htm
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