Un UFO a casa del commissario Montalbano
Vi presentiamo il resoconto dell’indagine svolta dal CICAP Sicilia sull’UFO di Punta Secca. L’articolo, di Gigi Cappello, è stato originariamente pubblicato sulla pagina web del gruppo locale del CICAP.
Punta Secca è una splendida località di mare nel comune di Santa Croce Camerina (provincia di Ragusa). Romantica particolarità della borgata è la presenza di un faro, perfettamente integrato nel tessuto del centro cittadino. Non è dunque un caso che Punta Secca sia stata scelta come location per le riprese della fortunatissima serie televisiva “Il commissario Montalbano”. La scelta da parte della produzione ha avuto importanti (e meritate) ricadute in termini di flusso turistico, non solo dall’Italia. Nessuno avrebbe però pensato che persino gli alieni avessero scelto di visitare Punta Secca…
Uno scatto datato 22 Settembre 2012, effettuato da un fotografo del luogo, mostrerebbe infatti un oggetto luminoso non identificato solcare i cieli di Punta Secca (figura in alto).
L’immagine è una veduta notturna del centro cittadino (in cui spicca, maestoso, il faro in funzione) ripresa dalla spiaggia, famosa anch’essa perché luogo delle nuotate mattutine e solitarie del commissario Montalbano. L’oggetto non identificato appare come una figura allungata e luminosa, inclinata rispetto all’orizzonte, in alto a destra nella foto (in figura 1 è indicata da una freccia). Uno zoom dell’oggetto è mostrato in figura 2.
Analisi delle fonti e ricostruzione dei fatti
I primi due articoli apparsi in rete, relativi alla presunta foto con UFO, risalgono a circa una settimana dopo la data dello scatto. Il primo è un post sul blog Ragusa Turismo, un sito di promozione turistica mantenuto da un comitato cittadino locale, del quale fa parte lo stesso autore della foto, mentre il secondo è un articolo sul giornale locale on-line reteiblea. Da quest’ultimo si apprende che lo scatto è stato analizzato degli esperti del CUN (Centro Ufologico Nazionale), sezione di Catania che avrebbero effettuato dei non meglio identicati “riscontri di autenticità”, provanti che:
siamo di fronte a un vero UFO, un oggetto volante non identificato, nel senso oggettivo del termine…poiché non possiamo dimostrarne la natura aliena ma abbiamo messo in luce la sua natura fisica.
Questo passo estratto dall’articolo sembrerebbe parte di un referto scientifico (forse dei tecnici del CUN), benché non sia né virgolettato, né tanto meno risulti citata la fonte. In effetti, da ricerche effettuate in rete, non risulta cenno al caso in questione fra le pubblicazioni periodiche del gruppo locale siciliano del CUN.
Nei giorni successivi, la notizia viene ripresa da alcune altre fonti, fra cui ad esempio la testata nazionale YouReporter, e compare fra i post di alcuni forum di argomento ufologico. In ogni caso, non vengono aggiunte nuove notizie o particolari di interesse, anzi vengono spesso riportati pedissequamente i periodi già letti nelle prime notizie.
Un fattore estremamente interessante da analizzare è lo stile con cui la notizia viene riportata, che rientra nella tradizionale trattazione giornalistica di fenomeni di questo tipo. Un esempio classico, qui abbastanza evidente, è l’utilizzo di una pseudo-cronaca, ovvero di un racconto solo all’apparenza distaccato ma in realtà fortemente orientato verso una unica interpretazione, che spesso corrisponde alla più accattivante e quindi la più vendibile. Si dice ad esempio che la natura dell’immagine
ha sollevato dubbi legittimi
ma non una parola di più viene spesa riguardo questi dubbi e su quanto siano effettivamente legittimi; il lettore non viene dunque messo in condizione di valutare la scientificità di entrambe le parti ed è costretto ad accettarne solo una (quella della quale viene presentata qualche argomentazione, seppur confusa). O ancora il ricorso al sentito dire o alla testimonianza indiretta per avvalorare la tesi sostenuta; frasi come: “In effetti, ora che mi ci fate pensare, una volta anche io ho visto delle luci in cielo” dovrebbero in qualche modo aumentare il livello di confidenza nei confronti di una ipotesi piuttosto che di un’altra?
Analisi dell’immagine: profilo di luminosità dell’oggetto
Iniziamo l’indagine vera e propria sulla fotografia prendendo spunto proprio da un passaggio dell’articolo apparso su reteiblea:
partendo dall’intuizione che un oggetto di qualsiasi forma che si interpone fra una fonte di luce e l’occhio umano crea una sagoma definita. Ci si è dunque accorti che l’immagine discoforme (sic) appariva siffatta proprio perché illuminata dalla luce del faro.
La frase appena riportata contiene alcune inesattezze. L’oggetto in effetti non sembrerebbe essere una sagoma, quanto piuttosto qualcosa di luminoso. In ogni caso ci si domanda quale sia, nello scatto in questione, la luce alla quale l’oggetto si interpone. Nell’articolo si fa riferimento al faro; a questo punto sono necessarie però un paio di precisazioni:
- L’oggetto non si frappone affatto fra la luce del faro e l’osservatore, dacché il faro appare perfettamente visibile. Semmai si potrebbe supporre che il faro illumini trasversalmente l’oggetto;
- anche questa ipotesi non può essere presa in considerazione: i fari, per loro natura, sono dotati di luci direzionali, cioè proiettano un fascio orizzontale. Se così non fosse, non servirebbero al loro scopo. Di sicuro, non sono in grado di illuminare un oggetto che si trovi molto più in alto della posizione della loro luce.
Si potrebbe obiettare che, benché il faro sia la prima sorgente di luce a cui venga da pensare, essa non è l’unica (un lampione alla sinistra del faro, per esempio, appare molto luminoso nella foto). L’oggetto potrebbe dunque essere illuminato da numerose altre sorgenti (eventualmente non visibili nell’inquadratura). Per testare questa ipotesi abbiamo studiato il profilo di luminosità dell’oggetto (figura 3).
Si tratta di un grafico tridimensionale che presenta sul piano (x; y) la distribuzione spaziale dell’oggetto luminoso (in parole povere una versione semplificata di ciò che appare in foto), mentre sull’asse z è rappresentata la luminosità di ogni pixel. Se un oggetto è illuminato in modo radente è non diretto, come si suppone in questo caso, ci si aspetta che il profilo di luminosità sia fortemente asimmetrico, ovvero che abbia un picco in corrispondenza della superficie illuminata e poi degradi, man mano che si va verso la zona in ombra.
Il profilo di luminosità dell’oggetto sotto esame presenta invece tutt’altro andamento: guardando il profilo sul lato corto (figura 3 (b)) si osserva infatti un andamento simmetrico, quasi gaussiano, compatibile più con un oggetto luminoso (è quanto si ottiene fotografando direttamente una lampadina, ad esempio) o un riflesso che con un oggetto esteso illuminato in modo radente.
Prima di procedere è necessaria una precisazione. Le analisi sono state svolte sull’immagine reperibile in rete. Benché l’autore della foto sia stato contattato in merito, e nonostante la sua disponibilità, non è stato possibile reperire il file in formato raw, o un jpeg non compresso per la pubblicazione web. Si è dovuto per tanto lavorare su un file fortemente compresso (chi lavora nel campo della fotografia sa quanto fastidiosi possano essere gli effetti di una notevole compressione, specie sulle immagini low-key, ovvero molto scure).
L’ipotesi “artefatto”
La forma, la posizione e il profilo di luminosità dell’oggetto fanno in realtà pensare ad un artefatto. Per “artefatto” si intende qualsiasi oggetto ritratto in foto non fisicamente presente nella scena dello scatto. Un artefatto non è dunque necessariamente un falso, qualcosa aggiunta ad hoc nella scena; può anche essere un effetto di compressione dell’immagine, un riflesso sull’ottica della camera o un fenomeno ottico atmosferico (riflessi su nubi, rifrazioni etc…).
Nel caso specifico riteniamo che possa trattarsi di un artefatto generato dalla luce del faro, che colpendo direttamente l’ottica della fotocamera genera delle rifrazioni. Questi artefatti si presentano come macchie luminose poste lungo circonferenze centrate sulla sorgente di luce.In effetti, disegnando un cerchio centrato sulla luce del faro e di raggio pari alla distanza fra il faro e l’oggetto (figura 4), si osserva come quest’ultimo sia orientato proprio secondo la circonferenza tracciata (zoom in basso a sinistra nella stessa figura).
E’ possibile dimostrare (scheda 1), che la probabilità che l’oggetto presenti casualmente la stessa inclinazione della tangente alla circonferenza è inferiore al 2%.
Figura 4. Tracciando un cerchio centrato sulla luce del faro e di raggio pari alla distanza fra il faro e l’oggetto, si osserva come quest’ultimo sia orientato proprio secondo la circonferenza tracciata.
Scheda 1: calcolo della probabilità
E’ possibile calcolare la probabilità che l’oggetto presenti per caso la stessa inclinazione della tangente alla circonferenza. Tale probabilità è legata alla risoluzione dell’immagine. Quest’ultima fa sì che non siamo in grado di risolvere angoli arbitrariamente piccoli (in altre parole, per effetto delle dimensioni dei pixel, angoli simili ci appaiano come lo stesso angolo). Se α è la risoluzione angolare dell’immagine (espressa in gradi), la probabilità sarà:
P = α/180°
In effetti P altro non è che il numero di angoli che stanno in un angolo piatto. Si può dimostrare che a sua volta è uguale a:
α = arcot(l)
essendo l la lunghezza in pixel dell’oggetto. Con i dati da noi estratti dall’immagine si può ottenere una stima per eccesso:
P<0.02
Analisi cieca dell’oggetto
E’ possibile effettuare una prova indipendente della correlazione fra la posizione dell’oggetto e la luce del faro effettuando una cosiddetta blind analysis (analisi “cieca”). Nelle considerazioni precedenti siamo partiti dalla luce del faro per vedere se essa potesse in qualche modo spiegare l’esistenza dell’oggetto. In questa seconda analisi si lavora invece esclusivamente sull’oggetto, senza guardare gli altri elementi dell’immagine (senza cioè partire dall’assunto dell’esistenza di una correlazione fra due particolari elementi: in questo senso si parla di analisi cieca).
Un’analisi quantitativa dell’immagine, richiede che quest’ultima venga trasformata in una matrice di luminosità, una sorta di versione matematica della fotografia: una tabella in cui si associa ad ogni pixel il suo livello di grigio (da 0 = nero a 255 = bianco, in una rappresentazione a scala di grigi a 8 bit). Una volta fatto ciò è necessario stabilire in maniera esatta i contorni dell’oggetto: basta uno sguardo alla figura 2 per rendersi conto di come questo passaggio sia tutt’altro che semplice. In questo caso infatti, le piccole dimensioni dell’oggetto e gli effetti della compressione jpeg dell’immagine introducono notevoli indeterminazioni. La matrice associata all’immagine è raffigurata in figura 5. Si rimanda alla scheda 2 per i dettagli tecnici sulla realizzazione di quest’ultima. Per un maggiore rigore abbiamo studiato 5 profili di oggetto lievemente differenti l’uno dall’altro (scheda 2).
Figura 5. Matrici semplificate dell’immagine. (a) frame intero: sono visibili l’oggetto, la luce del faro e del lampione alla sua sinistra. (b) zoom dell’area dell’oggetto.
Scheda 2: costruzione della matrice e contorno dell’oggetto.
Il primo passo nella realizzazione dell’analisi consiste nel trasformare l’immagine in una matrice numerica, ovvero in un “oggetto matematico” che raccoglie, in maniera semplificata, l’informazione di luminosità dell’immagine. La realizzazione di questa “matrice semplificata” richiede alcuni passaggi fondamentali:
- L’immagine viene rasterizzata, viene cioè convertita in un formato (come .bmp o .png) in cui l’immagine è trattata come sovrapposizione di tre matrici (una per ciascun canale cromatico RGB). L’immagine viene poi convertita in bianco e nero a 8 bit. Ad ogni pixel sarà a questo punto associato un singolo valore (livello di bianco, ovvero luminosità) che va da 0 (=nero) a 255 (=bianco).
- Si effettua una sottrazione del fondo, ovvero una campionatura di diverse regioni del cielo notturno in prossimità dell’oggetto per vedere quale sia il livello di luminosità del “nero di fondo”. Questa operazione viene effettuata per isolare l’oggetto luminoso dal resto del cielo.
Il valore del nero di fondo ottenuto è di:
bkg = 15±3
Questo valore viene sottratto ad ogni pixel dell’immagine. Il risultato sono le matrici in figura 5. L’indeterminazione sul valore del fondo (in gergo indicata con σ), è di fondamentale importanza nella definizione dell’oggetto. Bisogna infatti stabilire quali pixel compongano l’oggetto luminoso e quali appartengano invece al fondo. Nel far ciò bisogna evitare di includere delle semplici fluttuazioni statistiche rispetto al fondo o degli artefatti derivanti dalla compressione jpeg dell’immagine. Per tanto si sceglie di considerare soltanto quei pixel il cui valore di luminosità supera il fondo di un certo multiplo di σ. Nelle analisi di oggetti astrofisici si considerano in genere i 10 σ. Nel nostro caso vorrebbe dire includere i pixel con valore di luminosità maggiore di:
15 + 10X3 = 45
Per completezza nel seguito della nostra analisi verranno considerati tutti i valori compresi fra 8σ e 13σ. Studieremo pertanto 5 profili di oggetto lievemente differenti l’uno dall’altro.
Una volta definita la forma dell’oggetto se ne può ricavare il centro geometrico. Si può quindi ottenere una misura della direzione di inclinazione dell’oggetto. Tale retta altro non è che la migliore approssimazione della tangente nel centro dell’oggetto ad una circonferenza passante per l’oggetto stesso: la stessa circonferenza da noi tracciata in figura 4. Per vedere se essa è compatibile con una la principale sorgente di luce presente nell’immagine (il faro), basta tracciare la retta perpendicolare la tangente ricavata e passante per il centro dell’oggetto: se tale perpendicolare intercetta (entro una certa tolleranza) la lanterna del fare, sarà possibile arguire una correlazione fra quest’ultima e l’oggetto, avvalorando così ancora una volta la sua natura di artefatto.
In figura 6 sono tracciate le rette così ottenute. Come è facile vedere, esse passano molto vicine alla posizione della luce del faro. I dettagli di questi ultimi calcoli e alcune considerazioni relative alla stima dell’indeterminazione del metodo sopra descritto sono riassunti nella scheda 3.
Dunque l’analisi in cieco condotta sull’oggetto mostra che la sua posizione sembra indicare una correlazione con la luce del faro (figura 6). Tale risultato non risente molto della definizione (per forza di cose piuttosto arbitraria) dei contorni dell’oggetto, ottenuti con dei metodi di “semplificazione matematica” dell’immagine, molto in uso nell’analisi delle sorgenti astrofisiche. Abbiamo per tanto ottenuto, facendo uso di un numero minimo di ipotesi, conferma di quanto già indicato da una analisi fotografica più tradizionale.
Scheda 3: fit lineare della distribuzione, direzione delle rette perpendicolari e relativa indeterminazione
Una volta ottenuto il profilo dell’oggetto, la strada logicamente più lineare sarebbe quella si eseguire un fit circolare di quest’ultimo e vedere se la circonferenza di fit corrisponde a quella tracciata in figura 4. Abbiamo però preferito seguire un procedimento analogo utilizzando come funzione di fit, non un arco di circonferenza ma una retta. La retta di fit è la migliore approssimazione alla tangente la suddetta circonferenza, mentre la sua perpendicolare passante per il centro dell’oggetto è una stima della direzione su cui giace il raggio della circonferenza.
Il motivo di questa apparente complicazione risiede nel fatto che un fit quadratico (circonferenza) converge in genere meno rapidamente di uno lineare ed è per sua natura molto meno “robusto” rispetto a piccole variazioni del numero di punti. In altre parole un fit lineare dipende molto meno drammaticamente dal numero di σ, rispetto a uno quadratico.
Le perpendicolari alle tangenti di fit ottenute per valori compresi fra 8σ e 13σ sono rappresentati in figura 6. Tutte le rette in figura passano molto vicine alla posizione della luce del faro (stella rossa). Ciononostante si potrebbe obiettare che esse non la intercettano in maniera esatta. Tale seppur lieve discrepanza ha origine in effetti sistematici legati alla definizione del contorno dell’oggetto e, quindi, del suo centro (si noti che la corretta determinazione del centro è fondamentale per il posizionamento delle rette).
Per una stima dell’errore sistematico associato alla direzione delle rette mostrate in figura 6 abbiamo proceduto nel seguente modo:
- una volta ricavato il centro e la retta tangente l’oggetto, per ogni pixel di quest’ultimo, è stato definito un angolo di scostamento dalla retta, come l’angolo formato tra la congiungente del pixel col centro e la retta stessa (figura 7).
- è stata quindi effettuata una media degli angoli così trovati, per vedere entro quale angolo si allineano i punti in media.
- L’angolo ottenuto (βav in figura 7) viene proiettato attorno alla retta perpendicolare ottenendo così un cono di tolleranza entro il quale dovrebbe trovarsi una eventuale sorgente luminosa.
Seguendo il metodo sopra descritto abbiamo ottenuto un angolo di tolleranza di:
βav = 12.5°
Come risulta evidente osservando la figura 8, la luce del faro rientra abbondantemente all’interno del cono di tolleranza. La stima dell’angolo così ottenuta potrà addirittura sembrare eccessiva, ed in effetti essa soffre notevolmente degli effetti della forte compressione dell’immagine.
Figura 8. Cono di tolleranza
Conclusioni
Sono state condotte tre differenti analisi sull’immagine in formato jpg pubblicamente disponibile on-line. Abbiamo per prima cosa mostrato come il profilo di luminosità dell’oggetto sia compatibile più con una sorgente di luce o un riflesso/rifrazione, piuttosto che un oggetto fisicamente esteso illuminato lateralmente dalla luce del faro (ipotesi invece sostenuta nelle fonti giornalistiche disponibili in rete). L’ipotesi di un artefatto legato alla rifrazione della luce (in particolare quella dal faro) è avvalorata dal fatto che la direzione dell’oggetto tange una circonferenza centrata nella suddetta luce (come accade per artefatti di questo tipo). La probabilità che tale occorrenza sia legata ad una casualità è stata stimata essere inferiore al 2%.
Una prova indipendente è stata ottenuta applicando una blind analysis al solo oggetto e mostrando come la sua stessa forma sembri in effetti “puntare” alla luce del faro (senza aver fatto ipotesi di correlazione aggiuntive). In conclusione, benché le analisi da noi effettuate soffrano dei limiti legati all’avere lavorato su una immagine fortemente compressa, abbiamo mostrato come l’oggetto in esame sia del tutto compatibile con un artefatto, ovvero un effetto ottico generato dalla presenza nell’inquadratura della luce del faro.
L’autore desidera ringraziare Adriano Ingallinera, astrofisico, per il supporto nella realizzazione dei profili di luminosità. Un ulteriore ringraziamento va a Luca Boschini e Roberto Labanti per i preziosi consigli in fase di stesura e per le correzioni.
Se così è, perchè non ce n’è un’altra dal alto opposto?
non “alto” ma “lato”, scusate.
Non è detto che artefatti di questo genere presentino simmetrie rispetto alla sorgente. Anzi, i lens flare hanno spesso origine proprio dal fatto che una sorgente luminosa si trovi decentrata rispetto all’asse ottico della fotocamera.
Innanzitutto un grosso complimento per la precisione dello Studio. Invito Luk Blachs a farmene un riassunto e una spiegazione in parole povere.
Seconda di poi, molto più importante: possibile che Vi concentriate tutti su quell’ inesistente UFO e non vediate l’ Immagine Sacra che compare quasi a metà, un po’ spostata alla sinistra guardando il Faro, in luce bianco-azzurrina? Non vedete quanto assomiglia alla Dea Kamarina, da cui prende il nome la località. e che l’ ha sempre protetta da infiltrazioni mafiose?
Con il mio povero Q.I.posso solo riassumere in parole povere e’ vero e’ vero cattivone !!!!!!