Combustione umana spontanea negli Stati Uniti?
Si torna a parlare periodicamente di casi nei quali vengono rinvenuti i resti carbonizzati di una persona, senza che gli oggetti circostanti siano danneggiati, come se solo il corpo della vittima avesse preso fuoco per cause misteriose.
E’ del febbraio 2013 l’ultimo caso, riguardante un 65enne dell’Oklahoma, Danny Vanzandt. Il locale sceriffo, Ron Lockhart, avrebbe dichiarato ai media di non avere mai visto nulla di così strano, e di non potere escludere trattarsi di un caso di combustione umana spontanea.
Molti altri casi, dei circa 200 noti negli ultimi tre secoli, sono diventati famosi. Ad esempio quello avvenuto il 2 luglio 1951 a St Petersburg, Florida, quando furono scoperti i resti carbonizzati della signora Mary Reeser: un po’ di cenere, qualche osso annerito e un pezzo di gamba con un piede, assurdamente intatti. La stanza recava altre tracce di combustione: fumo sul soffitto e sulle pareti, e oggetti di plastica rammolliti. Ma fino a un’altezza di un metro dal suolo nulla sembrava danneggiato, tranne i macabri resti della donna.
Che strano tipo di incendio avrebbe potuto produrre questo risultato? Per ridurre in quello stato un cadavere servono gli 800 gradi di un forno crematorio: come potevano le suppellettili a 40 centimetri dai resti della signora non essere quasi danneggiate?
Del presunto fenomeno della combustione umana spontanea (ora denominato anche SHC Spontaneous Human Combustion) si discute almeno dalla metà dell’800; la citarono in passi delle loro opere Gogol, Melville, e altri. Tra le congetture avanzate nel corso degli anni per spiegarlo vi furono l’alcolismo, che imbibirebbe i tessuti del corpo di alcool (di moda nel 1850, poi superato dalle conoscenze dei processi metabolici); metano intestinale mescolato a composti infiammabili come la fosfina; elettricità statica; fulmini globulari penetrati nella stanza; nuovi processi metabolici non ancora sospettati, ecc.
Dickens descrisse l’autocombustione umana nella sua novella Bleak House, provocando nel 1851 un acceso dibattito pubblico al quale prese parte anche il chimico tedesco Liebig, secondo il quale
L’opinione che una persona possa bruciare spontaneamente non è basata sulla conoscenza delle circostanze della sua morte, ma sul suo contrario: sulla completa ignoranza di tutte le cause o condizioni che precedettero l’incidente e lo causarono.
Notiamo innanzitutto che il termine “autocombustione” è un po’ fuorviante. Il problema non è tanto se un corpo umano possa incendiarsi spontaneamente, ma anche se, venuto a contatto con una fiamma o una scintilla, possa bruciare come un fantoccio di paglia.
E’ infatti noto a chiunque abbia bruciato una bistecca in cucina che la carne non può ardere come legno, ma che occorre fornire notevoli quantità di calore dall’esterno. Liebig stesso dimostrò anche praticamente che dei tessuti animali non sostengono affatto la combustione, benché fossero stati lasciati a macerare a lungo in etanolo (inutile aggiungere che tali concentrazioni di alcool nel corpo sarebbero comunque mortali per avvelenamento).
Nessun libro di medicina legale fa cenno a questo fenomeno, di cui non esiste alcuna testimonianza oculare, e in nessun caso le autopsie hanno trovato che gli organi interni delle vittime fossero più danneggiati delle parti esterne. Inoltre, esaminando molti esempi (come ha fatto Joe Nickell in Secrets of the Supernatural), emergono dei fattori comuni. Le vittime erano spesso anziane, avevano assunto alcool o sonniferi , ed era sempre presente una fonte di fuoco esterna: sigarette, pipe, scaldini, stufe, caminetti e simili. Si noti che se l’assunzione di alcool non rende un corpo più infiammabile, rende però sicuramente una persona più facile vittima di incidenti a causa dello stato di ebbrezza in cui essa si può trovare.
Per esempio, anche il sig. Vanzandt citato all’inizio era un alcolizzato e un fumatore. Dove la distruzione del corpo era maggiore, vi era anche una fonte supplementare di combustibile, come materassi o poltrone imbottite. Nei forni crematori si usano temperature molto elevate per accelerare il processo, ma gli esperti affermano che, dato un tempo piú lungo, si può ridurre in cenere un corpo umano anche a soli 500-600 gradi.
Infine, molto spesso è stata riportata la presenza di abbondanti tracce di una sostanza grassa che impregnava gli oggetti circostanti. E’ anche ormai dimostrato un “effetto candela inversa”: i vestiti iniziano a bruciare carbonizzando parte del corpo e facendone colare il grasso, che li impregna e alimenta ulteriormente la combustione: appunto come una candela con lo stoppino attorno anziché in centro. Questo si accorda anche col fatto che le vittime solitamente non erano magre, e che gli arti – soprattutto inferiori – che contengono meno grasso e spesso non sono coperte da indumenti, sono le parti che si piú facilmente si salvano e restano ad aggiungere orrore alla scena dell’incidente.
Molti di questi particolari, che danno ragione di un incendio di grande intensità ma di estensione limitata, sono spesso trascurati. Ad esempio, la signora Reeser aveva assunto due pastiglie di sonnifero, disse che ne avrebbe prese altre due, e stava fumando una sigaretta in una poltrona imbottita.
L’effetto “candela inversa” è stato anche sperimentato scientificamente da esperti di incendi già nel 1961. Una dimostrazione pratica di autocombustione fu compiuta nell’agosto 1986 dal programma televisivo QED, della rete BBC One.
E’ del 1988 un lavoro di John de Haan, del California Criminalistic Institute, ripreso in una successiva puntata di QED dello stesso anno. DeHaan dimostrò ciò che aveva descritto nel suo lavoro: una combustione a temperatura elevata di un maiale avvolto in una coperta, innescata dopo avervi versato una piccola quantità di benzina. Al termine della combustione, durata cinque ore con fiamme basse, la parte toccata dal fuoco era completamente incenerita, incluse le ossa, mentre la stanza in cui era avvenuta la dimostrazione era rimasta relativamente intatta, tranne per lo scioglimento del rivestimento plastico di un televisore posta sopra un mobiletto alto.
Durante un Corso CICAP per indagatori del mistero furono computi alcuni test pratici di questo fenomeno, in scala ridotta, che confermarono la sua fattibilità. Francesco Ruggirello ne ha presentato una breve relazione al XII Convegno CICAP tenuto a Volterra nel 2012.
In questo quadro, delineatosi nel corso degli anni, di plausibili spiegazioni scientifiche e di scetticismo verso quelle pseudoscientifiche, si è inserita alla fine del 2012 una nuova ipotesi sostenuta da Brian J. Ford.
Molto noto nel mondo anglosassone, Ford è professore di varie università inglesi, ricercatore indipendente in biologia, scrittore, conferenziere, divulgatore, eccetera. I suoi vastissimi interessi gli hanno conferito grande popolarità e anche qualche scontro con altri esperti – come quando ha riproposto la vecchia teoria che i dinosauri potessero essere acquatici.
In due articoli (commenti non sottoposti a peer-review) su The Microscope e sul New Scientist del 2012, Ford riassume vari casi di presunta SHC, critica il primo documentario della BBC che sosteneva il meccanismo della “candela inversa” e avanza una nuova ipotesi.
La causa più probabile dell’effetto della autocombustione spontanea, secondo Ford, può essere l’acetone che, a causa di alcune patologie, può accumularsi nel corpo umano.
L’acetone è un composto (usato anche come solvente per le unghie) che bolle a 56 gradi, è infiammabile, miscibile con acqua e in grado di sciogliersi nei grassi. La chetosi (accumulo di acetone, con il caratteristico odore del fiato) è una produzione anomala di acetone da parte dei processi metabolici, che si puo’ verificare in casi di alcolismo, cattiva alimentazione povera di carboidrati e diabete.
Ford riporta alcuni esperimenti da lui eseguiti. Un pezzo di carne di maiale, lasciato in alcool per vario tempo e poi avvolto in un tessuto, non ha prodotto il fenomeno della “candela inversa” quando è stato dato fuoco al tessuto. Al contrario, la carne imbevuta per cinque giorni in acetone ha preso fuoco facilmente, ed è bruciata lasciando la caratteristica pozza di grasso fuso.
Le congetture di Ford sembrano poco convincenti per vari motivi, tra i quali:
– Si tende ad alterare certi dati, abbreviando il tempo minimo necessario per la combustione di un corpo, e dando valore alle testimonianze oculari – non più di un paio – di chi ha visto persone che improvvisamente prendono fuoco (ma portavano abiti fatti con materiale infiammabile).
– Si critica il filmato della BBC del 1986, anche franitendendo lo scopo di un esperimento, e si ignorano totalmente i lavori di DeHaan e il secondo filmato della BBC del 1998 in cui la dimostrazione era invece perfettamente riuscita.
– Si presume che la “vera” SHC possa durare anche solo mezz’ora o un’ora, e si dice che il modellino umano in scala 1:12 (tipo Barbie) è bruciato per 40 minuti, come nella “realtà”. Si aggiunge che un corpo di massa 12 volte maggiore brucerebbe circa nello stesso tempo. Affermazione discutibile, visto che è esperienza comune che invece un piccolo pezzo di legno, per es., si consuma ben prima di uno grosso.
– Non si fa alcun cenno né esperimento per affrontare il problema delle ossa e capire se in queste condizioni si sbriciolerebbero o no.
– Si afferma che una miscela di acetone al 14% in acqua è ancora infiammabile, e si lasciano immersi i tessuti animali da utilizzare per 5 giorni in acetone. Ma sembra inverosimile che le vittime di SHC debbano avere una concentrazione di acetone nel plasma del 14%, visto che tipicamente l’acetosi grave comporta concentrazioni attorno a 1,6-2 g/litro di corpi chetonici (non solo acetone, ma anche acido beta-idrossibutirrico e acido acetacetico).
– Anche ammettendo l’esistenza di una patologia che alzi di colpo il livello di corpi chetonici di 100 volte, dovremmo aspettarci che non tutte queste persone abbiano preso fuoco immediatamente, ma che qualcuna sia stata esaminata, i suoi sintomi descritti e la malattia metabolica, per quanto rara, riconosciuta e studiata da tempo.
In ogni caso, l’ipotesi di Ford potrebbe essere materia di indagine per uno dei prossimi Mysteri Macabri dello scrivente…
—
Si veda anche:
- Ortolani Carlo. Casi di combustioni accidentali. Città Studi Ed., Milano, 1997.
- C&EN, 10 genn. 2000, p. 56; 14 febb. 2000, p. 144; 20 mar. 2000, p.72
- Polidoro, Massimo Tempo Medico, 13 maggio 1998.
- Documentario in cui viene intervistato Joe Nickell
- Sofia Lincos – Il ritorno dell’autocombustione umana
Foto di Max Kukurudziak da Unsplash
Complimenti a Luigi per l’ abituale precisione e per il “giuoco in difesa” che dovrebbe essere patrimonio non solo degli Scettici, ma di tutti quelli che vogliono affrontare un mistero. Vi sarebbero però almeno due casi di autocombustione avvenute davanti a testimoni: http://scienza.panorama.it/extremamente/Autocombustione-umana-non-e-una-leggenda-metropolitana
Il grande investigatore fiorentino Ammetto Dascielli avrebbe spiegato il Mystero così: “Mah, l’è mayala!”
Pingback: Combustione umana spontanea negli Stati Uniti? | Alimentazione in Gravidanza