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Vita, morte e miracoli: le cronache di Parnia

Articolo di Andrea Milzi

La morte ha sempre affascinato l’uomo e gli esempi letterari o cinematografici di questo grande interesse sono certamente innumerevoli; ciascuno di noi potrebbe citarne decine a memoria. Tuttavia, il ruolo della morte nella nostra vita è sempre stato centrale, e vi prego di non considerarla come un’affermazione paradossale: si pensi, a titolo di esempio, ai suoi effetti legali (in ambito sia civile, sia penale). La medicina, quindi, ha sempre lavorato alacremente per cercare una definizione chiara di morte, trovandola di volta in volta nella valutazione dei cosiddetti fenomeni postmortali immediati, ovvero quelli che si realizzano subito dopo la cessazione della vita: arresto respiratorio, arresto cardiaco e arresto delle funzioni encefaliche. Al giorno d’oggi, la legge italiana prevede che un soggetto possa essere dichiarato morto dopo 20 minuti dalla cessazione dell’attività elettrica all’elettrocardiogramma, oppure in assenza di riflessi “profondi” (come la risposta pupillare alla luce, in altri termini quello che si realizza quando qualche simpatico dottore decide di puntarci la sua lampadina negli occhi) e di attività elettrica a livello cerebrale.

Di recente, però, gli studi di Sam Parnia, ricercatore alla Stony Brook University di New York, sembrano suggerire la necessità di spostare più in là il confine della vita. Parnia si spinge, addirittura, a parlare di possibilità di rianimare soggetti dati ufficialmente per morti, sulla base delle norme di cui parlavamo prima: una prospettiva a dir poco sconvolgente! In realtà, il principio è quello di cercare di dilatare il più possibile il tempo che intercorre tra l’arresto cardiaco (che è la modalità con cui un po’ tutti finiamo per tirare le cuoia, non importa quali ne siano le cause) ed il danno cerebrale che è alla base della cessazione di tutte le nostre attività (e che dall’arresto cardiaco deriva: se non arriva sangue al cervello, in pochi minuti questo va incontro a morte).

Come è possibile prolungare questo intervallo, fisiologicamente brevissimo? Sostanzialmente, attraverso la combinazione di due meccanismi: da un lato, supportando il circolo attraverso una vera e propria pompa collocata all’esterno del corpo; dall’altro, riducendo la necessità di nutrienti dei tessuti, raffreddando il corpo. Un po’ quello che succede nei raffinati interventi cardiochirurgici “a cuore aperto”, se qualcuno di voi vi ha familiarità. Niente di nuovo, allora? Non proprio, anzi, nient’affatto: l’uso di queste tecniche per ritardare la morte e, quindi, guadagnare tempo per risolvere la causa scatenante dell’arresto cardiaco, potrebbe essere una prospettiva decisamente interessante (al di là dei facili entusiasmi giornalistici che spesso si scatenano su scoperte o innovazioni mediche). La prova sul campo dell’intuizione di Parnia è, naturalmente, ancora in corso; verosimilmente, per dati degni di una qualche dignità bisognerà attendere molti anni ancora. Curioso, comunque, notare come le review relative al solo uso dell’ipotermia moderata (in soldoni, del raffreddamento tra i 32 ed i 34°C) diano risultati contrastanti: alcuni non riescono a dimostrare alcun beneficio (e tra questi, uno studio dello stesso Parnia assieme all’American Heart Association), altri evidenziano solo un miglioramento in termini di sopravvivenza ma non di riduzione del danno neurologico. Detta altrimenti, i pazienti “raffreddati” hanno più probabilità di cavarsela, ma in genere non stanno meglio rispetto a chi non ha ricevuto il trattamento. Tutti gli studiosi, comunque, concordano sulla necessità di approfondire il tema con valutazioni più precise. Il discorso può essere esteso all’associazione di ipotermia e circolazione extracorporea, che, tra l’altro, non sono scevre di rischi e complicanze, anche se eseguite a regola d’arte; e certo non possono essere protratte all’infinito.

E fin qui, la vita e la morte. Ma veniamo, adesso, a quello che forse più interessa uno scettico: i miracoli. Segnatamente, il dottor Parnia affronta il problema delle cosiddette esperienze di premorte, che di volta in volta si è cercato di attribuire a entità esterne o soprannaturali di varia natura. Egli evidenzia, a questo proposito, come a cervello “fermo” (con un elettroencefalogramma piatto, ovvero in condizione di morte cerebrale) si possano comunque verificare tali fenomeni; le conclusioni sono, però, probabilmente un po’ azzardate. Parnia, infatti, arriva a porre in dubbio il rapporto tra cervello e coscienza: se non c’è attività elettrica e quindi le cellule non funzionano, come si può supporre che questi fenomeni derivino dalle cellule stesse e dalle loro interazioni? Si può arrivare a postulare l’esistenza di un’anima, o di qualcosa di simile, quindi di un quid incorporeo che stia alla base della nostra coscienza?

Sarebbe meglio, però, evitare di correre troppo. Il fatto che circa un 10% dei pazienti possa richiamare alla mente sensazioni di varia natura (in genere, piacevoli e caratterizzate dalla presenza di una luce bianca) non significa che esse si realizzino esattamente in quelle fasi in cui l’attività elettrica cerebrale risulta assente. In altre parole: se il paziente si è ripreso e ci ha potuto raccontare la sua  near death experience, significa che il suo cervello ha ripreso a funzionare (sempre che avesse smesso di farlo, ovviamente). Pertanto, nessuno può assicurarci che tutta l’esperienza non venga a svilupparsi anche in pochi millisecondi, per esempio quelli che precedono immediatamente la cessazione dell’attività cerebrale o ne seguono la ripresa. La critica che si può muovere a Parnia, ma soprattutto a certe interpretazioni tendenziose delle sue teorie che fioccano sulla rete, è di una semplicità sconcertante: se un paziente è in condizioni estremamente critiche, ma può comunque andare incontro a ripresa delle sue attività con un trattamento appropriato (quell’associazione di ipotermia e circolazione extracorporea di cui si parlava prima), allora non si può certo dire che il suo cervello non funzioni più. Proprio per questo, una near death experience altro non sarebbe che il risultato di una complessa interazione fra i nostri neuroni: niente di così diverso, quindi, da quello che avviene ogni giorno, milioni di volte al giorno!

Dovremmo, quindi, ricondurre questi eventi, di volta in volta attribuiti a entità esterne di varia natura, alla normale fisiologia del nostro sistema nervoso; o, meglio, alla sua fisiologia in condizioni estreme, quale appunto la riduzione dell’apporto di sangue (e quindi di ossigeno e nutrienti) che si realizza in caso di arresto cardiaco. Tant’è che sono stati riportati anche casi di questo genere in piloti di caccia e in una malcapitata vittima di tortura. Naturalmente, i meccanismi con cui si realizza la riduzione del flusso di ossigeno cerebrale sono diversi, in questi casi; ma l’effetto sembrerebbe essere simile a quello descritto nei certo più frequenti arresti cardiocircolatori.

Niente di miracoloso, quindi, almeno per questa volta.

Foto di Peter H da Pixabay

22 pensieri riguardo “Vita, morte e miracoli: le cronache di Parnia

  • near death experiences… NEAR…
    aspetto qualche testimone delle post death experiences!

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  • SAM PARNIA STA CONDUCENDO LE SUE RICERCHE IN BEN 25 OSPEDALI; LE SUE RICERCHE SUL TEMA SONO STATE PUBBLICATE NEL CORSO DEGLI ANNI IN VARIE RIVISTE SCIENTIFICHE AUTOREVOLI; IL SUO STUDIO CHE DURA DA ANNI E’ STATO RECENTEMENTE FINANZIATO ULTERIORMENTE DA UNA DELLE PIU’ PRESTIGIOSE UNIVERSITA’; EGLI E’ DIRETTORE DI UN DIPARTIMENTO DI UNO DEI PIU’ IMPORTANTI OSPEDALI DI NEW YORK
    TANTO PREMESSO MI SEMBRA LOGICO SUPPORRE CHE IL SUO PENSIERO SIA UN TANTIMINO PIU’ FONDATO E AUTOREVOLE DELL’AUTORE DI QUEST’ARTICOLO. 

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    • ettore,
      la invitiamo a non incollare interi articoli nello spazio dei commenti. Se vuole segnalare agli altri commentatori un articolo può inserire il link. La invitiamo anche a contenere il numero di battute, a scrivere in stampatello minuscolo e a non insultare nessuno. Grazie per la collaborazione.

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  • L’autore dell’articolo almeno cita le fonti, ed esprime i suoi pensieri considerando anche l’uso delle minuscole. Quindi massimo rispetto per Andrea e una sonora pernacchia a Ettore, che cerca soltanto di ingigantire la figura di Parnia tanto per gettare fango su un’opinione più che fondata e giustamente condivisibile.
     

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  • Caro Ettore,
    i vari ricercatori dello studio AWARE (che hai così meticolosamente citato) si esprimono, per ora, in questo modo sostanzialmente invitando alla cautela e parlando di dati che giungeranno in settembre – ottobre. Citare i nomi di chi prende parte ad una sperimentazione è semplicemente fuorviante: sono i dati che guideranno l’analisi, non altro; la multicentricità dello studio è (dovrebbe essere) garanzia di serietà nel trattamento dei dati, questa è l’unica informazione che il tuo post aggiunge al dibattito. In alcun modo, tuttavia, puoi evincere “l’essere d’accordo” con le idee di Parnia dal loro partecipare ad uno studio. Un po’ come se guardare una partita di calcio con uno juventino ti rendesse juventino.
    Qualche lettura interessante per te e per chi volesse approfondire:
    1) differenza della pO2 tra chi ha NDE e chi non le ha
    2) a pag 357 trovi un buon riassunto di varie teorie, che propongono l’ipossia come uno dei fattori scatenanti la NDE
     

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  • http://www.resuscitationjournal.com/article/S0300-9572(01)00469-5/abstract
    va bene mando un link relativo allo studio fatto da parnia e fenwink e pubblicato nella rivista reuscitation che e’ una delle riviste mediche piu’ prestigiose britanniche.
    nell’attesa che voi mi mandiate qualche fonte o articolo, pero’ che sia attinto da pubblicazioni scientifiche, preciso che non intendevo offendere; ho solo fatto notare che la stringatezza la parzialita’ e la superficialita’ con la quale L’autore descrive il fenomeno nde non e’ giustificato dalla complessita’ che lo stesso presenta e questo lo si evince dalle innumerevoli pubblicazioni scientifiche oggi presenti alcune delle quali vi ho inviato,mentre. e questo dimostra che non ho nulla contro la rivista query,l’articolo di agrillo apparso per l’appunto sulla vostra rivista ha tutti i crismi dell’obbiettivita’ esaustivita’ e scientificita’ che una trattazione degna di questo nome merita di avere specie se ha ad oggetto un argomento controverso e dibattuto sotto il profilo scientifico.

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    Dovremmo, quindi, ricondurre questi eventi, di volta in volta attribuiti a entità esterne di varia natura, alla normale fisiologia del nostro sistema nervoso; o, meglio, alla sua fisiologia in condizioni estreme, quale appunto la riduzione dell’apporto di sangue (e quindi di ossigeno e nutrienti) che si realizza in caso di arresto cardiaco. Tant’è che sono stati riportati anche casi di questo genere in piloti di caccia e in una malcapitata vittima di tortura. Naturalmente, i meccanismi con cui si realizza la riduzione del flusso di ossigeno cerebrale sono diversi, in questi casi; ma l’effetto sembrerebbe essere simile a quello descritto nei certo più frequenti arresti cardiocircolatori.
    Niente di miracoloso, quindi, almeno per questa volta.
    QUESTA LA TUA CONCLUSIONE.
     
    I ricordi sono rari dopo la rianimazione da arresto cardiaco. La maggior parte di coloro che vengono segnalati hanno caratteristiche di NDE e sono piacevoli. Il verificarsi di NDE durante l’arresto cardiaco solleva questioni circa la possibile relazione tra la mente e il cervello. Sono necessari ulteriori studi su larga scala per comprendere l’eziologia e il vero significato di NDE.
    QUESTA LA CONCLUSIONE di PARNIA relativa al link da te inviato
     
    per quanto riguarda steven lauryen che, tra l’altro conosco personalmente, appunto egli fa un elenco di teorie che potrebbero dico potrebbero spiegare, ma le cita tutte addiritura non tralasciando nemmeno quelle dualistiche o trascendentali mentre tu nell’articolo con l’unica teoria fisiologica sembri chiudere drasticamente la questione.posso aggiungere che lo stesso steven la teoria che accredita di meno e’ proprio quella fisiologica e quella psicologica tanto e’ vero che i suoi attuali studi si stanno incentrando su aspetti neurologici.
     
     
     
     

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  • poi volevo far notare una cosa a mio avviso molto importante.Tutti gli studi scientifici nonche’ le opinioni dei vari ricercatori o dei soggetti che si sono avvicinati allo studio delle nde si sono sempre basate su casistiche molto ampie di persone che hanno riportato l’esperienza.
     
    ad es Sam Parnia ne ha analizzati almeno 500
    Pim van Loommel oltre 600
    peter fenwik oltre 300
    steven lauryen 60
    dott. jeffery long 1300
    potrei continuare ancora……..tutte persone documentate molte delle quali vengono riferite con tutte le loro generalita’ nei resoconti dei ricercatori sopra citati.
     
    Ora chiedo ad Andrea di essere sincero a questa domanda:quante persone hai ascoltato pero’ in modo approfondito che hanno avuto l’nde? se piu’ di dieci potresti riportarci ,nei limiti del possibile, almeno di qualcuno le circostanze e i dettagli del suo vissuto?
    inoltre lo sfido(nel senso buono e senza polemiche) a trovarmi almeno uno studio che si fondi su una casistica dell’ampiezza da me sopra citata nei vari riferimenti, che approdi ad una conclusione simile alla sua.
     
    ora 
     
     
     

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  • L’idea che lal NDE sia un momento di “contatto” con l’aldilà mi pare forzata. Sembra quasi la spasmodica ricerca di una prova dell’esistenza di un oltre.
    Personalmente, di strane esperienze oniriche, quindi di reazioni del mio cervello in un momento in cui non ho controllo, ne ho diverse. Eppure non vado sbandierando contati con esterni non meglio precisati.
    Già quando si è svegli la mente ci gioca brutti scherzi, in condizioni d’incoscienza poi è festa in borgo.
    Ma tutti questi studi sulla NDE, dove parano? Sembra che partano già con il preciso intento di dimostrare qualcosa.
    Di recente ricercatori facendo delle TAC, se non sbaglio, hanno studiato i “pensieri” di persone coscienti. Bisognerebbe fare una TAC a chi stà per morire o si trova in queste condizioni critiche, così vedremmo quali aree del cervello si attivano o restano attive. Ma chi da il permesso di passare alla TAC la propria morte o quasi?

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  • Molti ricercatori sull’argomento non hanno la minima idea di tutte quelle reazioni che oggi trovano spiegazione nella “psicologia dell’insolito” alcuni cardiologi, addirittura, sono completamente ignari di quei processi “psicopatologici” riscontrabili anche in condizioni di NON patologia. (depersonalizzazione, stati oniroidi ), così come una sottostimazione del dato ANTROPOLOGICO, ossia del contesto culturale che contempla o meno certe possibilità e del significato che certe persone vogliono attribuire alla loro esperienza.
    Immaginare una coscienza al di fuori del sistema nervoso è una forzatura filosofica degna di altri tempi ma che prende ancora oggi piega con l’illusione di apportare nuova conoscenza, senza rendersi conto che è solo un tentativo elegante e filosofico di tornare in dietro nel tempo ai tempi in cui ancora si credereva che alcune zone del cervello potessero ospitare una essenza chiamata “anima”.
    l’approfondimento dei processi di memoria con le sue influenze retroattive e proattive, i falsi ricordi, la fisiologia del cervello sono sufficienti per la questione, ma se questi studi vogliono essere un pretesto (i pro al di là, intendo) per avallare la propria fede e/o legittimare (anch’io lo vorrei che credete 🙂  una vita oltre la morte, appare ovvio che ogni spiegazione neurofisiologica non sembrerà mai soddisfacente. Si cerca l’avallo della scienza per la propria fede e quando questa non lo concede ecco che la scienza va rivista secondo criteri metafisici.
    Si potrebbero ascoltare anche 1000 persone che raccontano una certa esperienza ma il fenomeno non è la sua spiegazione così come il fatto NULLA ha a che fare con l’attribuzione causale del fatto. Ma questo passaggio molti, anche illustri medici, lo dimenticano.

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  • Suddividerei le cronache di Parnia, così come ce le riassume Andrea, in due capitoli: PRIMO CAPITOLO, possibilità di prolungare lo stato di vita vegetativa all’ infinito. Pura utopia, almeno in Italia: il nostro SSN ha ormai adottato una ragazza di nome LEA (livelli essenziali di assistenza) per cui, se non c’ avete quattrini, lasciateVi morire tranquilli e alla svelta, senza inutili e costosi tentativi che rischiano di portarVi, a spese dei Vostri familiari, alla lunga vita della sfortunata Eluana Englaro. Tra l’ altro, se Vi lasciate morire, oltre a dare un serio contributo ad un SSN che il fu penultimo nostro Premier ha già sostenuto essere insostenibile, almeno risolverete definitivamente i dubbi che possono aver suscitato le Near Death Experiences. E così andiamo al secondo capitolo.

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  • SECONDO CAPITOLO: NDE ed OBE. Secondo me gli Studi Scientifici sui viaggi fuori del corpo rientrano tra quelli, citati anche in un thread da Query, che non potranno mai convincerci in quanto violano le nostre convinzioni più profonde. Certo, ognuno si sforzerà di dimostrare le sue, ed è bene perché la Scienza progredisce con le Controversie. Ma arrivare ad affermare che esiste una prolunga della vita materiale urta troppo gli Atei, che ormai hanno costituito le loro Lobbies. Sarebbe più facile arrivare ad un consensus scientifico sulla Teoria della Memoria dell’ Acqua. Esemplare il post di Armando De Vincentiis che mette le mani avanti addirittura in nome di Santissimo ed Irreversibilissimo Progresso: sarebbe un tornare indietro all’ anima, quando, lui sostiene, è ormai dimostrato scientificamente che l’ Anima è la Mente.

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  • “Mettere le cose in chiaro:” Vanessa Charland-Verville
     
    Se la realtà di esperienze pre-morte non è più in dubbio, gli scienziati sono ancora pochi a mettersi in gioco. Il soggetto è stato inoltre portato a sostenere argomenti religiosi. “Il nostro obiettivo è quello di mettere le cose in chiaro su una questione che richiede una seria e onesta. Noi siamo i veri scettici, aperto a tutte le proposizioni verificabili “assicura Vanessa Charland-Verville, neuropsicologo Coma Science Group.

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  • altro articolo degno di approfondimento.autore Bruce Greyson professore emerito psichiatra.pubblicato sulla rivista lancet
    anchhttps://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&ved=0CC8QFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.thelancet.com%2Fjournals%2Flancet%2Farticle%2FPIIS0140-6736(00)82013-9&ei=ZRG5UbmjBqnd4QTLn4C4CA&usg=AFQjCNGKnB5K-ffTTEkACiF6UIlpPgys-A&sig2=7zHCf9xOFMfqxS3Z3b2FvA’esso sulla rivista Lancet,

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  • Ma niente niente la notizia della nonnetta nigeriana rediviva era stata segnalata da un certo Avv. Jacintus M’Ganzuna?

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  • Aldo Grano ha “quasi ” ragone. Ci sono medici che non vi somministrerebbero antidolorifici perché nella loro religiosità “il dolore serve a purificare lo spirito e l’anima”. Sapete quanti soldi risparmia il servizio sanitario nazionale se potesse fare a meno di somministrarli? Sono soldi risparmiati che potrebbero aumentare i profitti dei piani alti della sanità pubblica/privata.
    Vi è mai capitato di rivolgervi alla sanità ed essere trattato come un seccatore? a me si. Ma questo è un altro discorso.
    tornaimo a passato e rispondiamo ad ogni problema medico con un “Perché […] lo vuole” ed abbiamo risolto tuti i nostri problemi. Perchè affannarsi tanto?
    Ma poi mi chiedo, com’è possibile trovarsi con un piede di quà ed uno di là? Possibile che […] abbia commesso un errore lasciandoci l’oppurtunità di dare una sbirciata di là?
    Penso solo che sia uno scherzo del nostro cervello. Ne abbiamo ancora di strada da fare per capirlo bene e tutto, ma se ogni volta che arriviamo al confine della conoscenza mettiamo […] come spiegazione, smettetela di spendere soldi in ricerca e usateli per altro.
     
     

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    • Se un articolo non corrisponde alle proprie idee, si attacca l’autore quando non si hanno le competenze per controbattere. Sarebbe quindi più utile obiettare al contenuto dell’articolo portando prove delle proprie teorie. O anche solo esponendole.

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  • Sarebbe meglio, però, evitare di correre troppo. Il fatto che circa un 10% dei pazienti possa richiamare alla mente sensazioni di varia natura (in genere, piacevoli e caratterizzate dalla presenza di una luce bianca) non significa che esse si realizzino esattamente in quelle fasi in cui l’attività elettrica cerebrale risulta assente.

    Falso e lo studio lo ha dimostrato

    In altre parole: se il paziente si è ripreso e ci ha potuto raccontare la sua near death experience, significa che il suo cervello ha ripreso a funzionare (sempre che avesse smesso di farlo, ovviamente). Pertanto, nessuno può assicurarci che tutta l’esperienza non venga a svilupparsi anche in pochi millisecondi, per esempio quelli che precedono immediatamente la cessazione dell’attività cerebrale o ne seguono la ripresa.

    Falso ci sono dei target temporali

    La critica che si può muovere a Parnia, ma soprattutto a certe interpretazioni tendenziose delle sue teorie che fioccano sulla rete, è di una semplicità sconcertante: se un paziente è in condizioni estremamente critiche, ma può comunque andare incontro a ripresa delle sue attività con un trattamento appropriato (quell’associazione di ipotermia e circolazione extracorporea di cui si parlava prima), allora non si può certo dire che il suo cervello non funzioni più.

    Falso anche questo arresto cardiaco, seguito da arresto respiratorio, seguito da interruzione delle funzioni cerebrali

    Proprio per questo, una near death experience altro non sarebbe che il risultato di una complessa interazione fra i nostri neuroni: niente di così diverso, quindi, da quello che avviene ogni giorno, milioni di volte al giorno!

    Indi falso ance questo

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  • Rodolfo Rolando hai studiato qualcosa della letteratura a riguardo???

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