Stamina, una fiducia immeritata
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Una delle cose che si imparano nel maneggiare questo genere di storie è che qualsiasi affermazione, per quanto pronunciata con sicurezza, in sé non è una prova. Lo diventa solo se è supportata dai fatti.
Davide Vannoni ha dichiarato in più occasioni che Stamina è in grado di produrre neuroni a partire da cellule staminali mesenchimali, semplicemente trattando per qualche ora le cellule con acido retinoico ed etanolo, come abbiamo visto qui.
Questa è un’affermazione forte che va contro quanto dimostrato da esperimenti analoghi rintracciabili in letteratura e che, come tutte le affermazioni forti, necessita di prove forti. Queste prove sarebbero nelle mani di Stamina che, però, non le ha mai rilasciate. Davide Vannoni dice di tenerle in attesa di un non meglio specificato «momento giusto» e ci rimanda ai dati pubblicati nella richiesta di brevetto, cioè grafici facilmente ritoccabili e alcune fotografie che si sono scoperte appartenere a un lavoro della biologa ucraina risalente a tre anni prima dell’inizio della collaborazione con Vannoni. Insomma, nessuna vera prova.
L’unica informazione verificabile è quella secondo la quale questi test sarebbero stati fatti all’Università di Genova. L’ateneo ligure è saltato fuori in più occasioni negli ultimi anni. In un’intervista a Scetticamente.it Vannoni dice chiaramente:
«A Miami andremo a valutare quello che non abbiamo mai fatto a Brescia, ma che abbiamo fatto all’Università di Genova: andremo a valutare la trasformazione di neuroblasti delle nostre cellule»
E lo conferma anche a noi, come potete leggere nella conversazione su Twitter):
Ma è vero? Siamo andati a chiederlo al professor Ranieri Cancedda, Coordinatore del corso di laurea in Biotecnologie dell’Università di Genova ed esperto di cellule staminali e medicina rigenerativa. Abbiamo infatti scoperto che Erica Molino, la biologa di Stamina, ha lavorato nel suo laboratorio tra la fine del 2009 e la metà del 2011, il periodo che va dalla chiusura del laboratorio sotterraneo in via Giolitti all’arrivo di Stamina agli Spedali Civili di Brescia.
Il professor Cancedda ci racconta che Erica Molino aveva vinto un posto di dottorato presso l’ateneo genovese e si era occupata di studiare l’effetto di un fattore di crescita sulle cellule staminali mesenchimali di topo, tant’è che figura tra gli autori di una pubblicazione scientifica sulla rivista Biomaterials dal titolo: “The role of bFGF on the ability of MSC to activate endogenous regenerative mechanisms in an ectopic bone formation model” assieme al professor Cancedda e ad altri collaboratori.
Ha poi interrotto la frequentazione del laboratorio genovese, prima di completare il dottorato e conseguire il titolo, e la collaborazione non è mai ripresa.
Venendo alla presunta collaborazione con Stamina, il professor Cancedda ci conferma che «più o meno nello stesso periodo in cui la dottoressa Molino iniziava il suo dottorato, in considerazione della nostra esperienza in materia, Stamina ci ha proposto di effettuare una caratterizzazione morfologico-funzionale delle cellule da loro coltivate». Purtroppo però «questa sperimentazione non si è mai concretizzata e quelle cellule noi non le abbiamo mai nemmeno viste». Perché? «Per la reticenza di Stamina a fornirci adeguate informazioni sulle loro procedure».
Che tipo di analisi avrebbe effettuato il laboratorio del professor Cancedda se avesse potuto mettere le mani sulle cellule? «Vedete, una cellula, per essere considerata un neurone, non deve semplicemente averne l’aspetto o esprimere alcuni marcatori, come sembrano suggerire gli unici dati disponibili di Stamina (quelli presenti sul brevetto, NdR). Quella cellula deve produrre segnali elettrici di un certo tipo, stabilire connessioni con altre cellule, deve dimostrare di funzionare a tutti gli effetti come un neurone. Quindi, per capirlo, oltre alla caratterizzazione morfologica e alla valutazione dell’espressione di marcatori neuronali servono degli esperimenti di elettrofisiologia».
Semplificando molto le parole del professore, un occhio non esperto potrebbe anche lasciarsi ingannare dall’aspetto di una cellula staminale mesenchimale sottoposta a un certo tipo di trattamento, ma per stabilire se a quell’aspetto corrisponda effettivamente un differenziamento neuronale sono necessari esperimenti che ne misurino il comportamento. A quel punto, se oltre ad assomigliare a un neurone si comporta anche come un neurone si può iniziare a pensare di aver trovato il trattamento giusto.
Giunti a questo punto potremmo anche pensare che Erica Molino abbia svolto questo tipo di analisi in autonomia, sfruttando le apparecchiature dei laboratori di Genova senza comunicarlo ai suoi colleghi e referenti. Cancedda lo esclude e aggiunge che «anche se ci fosse riuscita, di sicuro non avrebbe potuto effettuare i test funzionali perché la strumentazione per studi di elettrofisiologia e le competenze relative non sono presenti nel nostro laboratorio, tant’è che noi stessi, quando dobbiamo fare quel tipo di test ci rivolgiamo a colleghi che abbiano quelle competenze, come avremmo fatto se Stamina ci avesse fornito le informazioni richieste».
Insomma, il laboratorio dell’Università di Genova che avrebbe dovuto dimostrare l’efficacia del trattamento di Stamina non è quello dove ha lavorato per quasi due anni Erica Molino. È possibile che quei test siano stati fatti in un altro laboratorio dello stesso ateneo? Magari proprio in uno di quelli con le competenze specifiche in neurofisiologia? «Credo proprio di no» risponde Cancedda. «Ovviamente non posso averne la certezza, ma il nostro è un mondo relativamente piccolo. Se qui a Genova ci fosse qualche mio collega al lavoro su quelle cellule lo saprei».
Ricapitolando, i test per determinare il presunto differenziamento indotto dal trattamento con acido retinoico non potevano di certo essere effettuati né negli scantinati del laboratorio di via Giolitti a Torino né nei laboratori degli Spedali Civili di Brescia, perché non ci sono gli strumenti, come confermato dallo stesso Vannoni. Nell’unico laboratorio in cui si sarebbero potuti fare, quello del professor Cancedda a Genova, non sono mai stati fatti.
Chi ha dimostrato che «il protocollo di differenziamento adottato da Stamina è in grado di produrre cellule stabilmente differenziate in senso neuronale»? Come facciamo ancora a fidarci di quello che ci raccontano?
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Foto di photosforyou da Pixabay
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E qui vengono evidenziati dal CICAP i veri punti deboli, dal punto di vista scientifico, del metodo Stamina: segretezza nelle procedure, non condivisione dei dati. Questo rende simile Stamina a e-cat. Stando in tema, il fatto che un “grafico sia facilmente manipolabile” è vero, ma la critica vale solo se il grafico viene presentato senza possibilità di rifarlo indipendentemente, fornendo quindi anche i dati raccolti da cui è stato ricavato. In teoria, quando si manda un articolo con grafici ad una rivista peer review, l’ equipe che ha scritto l’ articolo deve poter fornire su richiesta, la documentazione registrata e archiviata prova per prova da cui sono stati ricavati poi i grafici pubblicati. Ad esempio le stampe, complete di date e numeri identificativi dei pazienti, emesse dagli apparecchi analitici, o le immagini degli ecografi, o i tracciati elettrocardiografici, ecc.
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