Machina mundi. L’orologio astronomico di Giovanni Dondi
Machina mundi. L’orologio astronomico di Giovanni Dondi
Andrea Albini
Amazon media, Kindle store
pp. 140 ca. a stampa
€ 4,66
È sempre emozionante leggere un testo che ripercorre la storia di un’opera dell’intelligenza umana e ne ricostruisce frammenti perduti nel tempo. Questo è quello che si può apprezzare nell’ebook Machina Mundi di Andrea Albini, testo in cui l’autore scava in profondità nella storia dell’Astrario, l’orologio planetario costruito tra il 1365 e il 1381 da Giovanni Dondi, medico e scienziato padovano.
Albini non lesina sui dettagli e descrive dapprima il contesto medievale in cui cominciarono a diffondersi in Europa gli orologi meccanici con regolatore – un dispositivo in grado di frenare il movimento accelerato e di trasformarlo in moto uniforme – sottolineando quanto dovesse essere suggestivo per gli uomini dell’epoca confrontarsi con questi nuovi strumenti che battevano automaticamente le ore ed erano così diversi rispetto ai modi tradizionali per segnare il tempo.
Forse, come dice l’autore, «siamo troppo abituati ad essere circondati da oggetti tecnologici complessi» e per questo fatichiamo a comprendere questa antica suggestione che invece dovremmo recuperare per apprezzare il fatto che dietro tutti gli strumenti che oggi utilizziamo con grande disinvoltura si nasconde una lunga storia di studi e di uomini che hanno contribuito alla loro creazione.
Anche se l’Astrario originale di Giovanni Dondi è andato perduto, fortunatamente una serie di manoscritti descrive la costruzione di questa mirabile macchina e proprio dal recupero e dallo studio di queste testimonianze, come si apprende verso la fine del testo, sono state realizzate alcune repliche, una delle quali fu terminata nel 1963 e si trova nella sezione di orologeria del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
Albini con grande perizia riesce a trasmettere, oltre ai dettagli tecnici della vicenda, anche e soprattutto la visione storica e umana che fa da sfondo all’Astrario.
La lettura del lavoro di Albini è sicuramente più che consigliata; oltre ad arricchire il nostro bagaglio culturale, tra le altre cose ci aiuterà a guardare con occhi diversi alle macchine per misurare il tempo che consultiamo regolarmente tutti i giorni, anch’esse frutto dell’ingegno umano e figlie di un passato in cui con gli ingranaggi meccanici si compivano autentici miracoli ingegneristici.
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Il libro di Andrea Albini è disponibile anche in formato cartaceo, qui).
GIOVANNI DE’ DONDI (1318-1389)
Giovanni de’ Dondi da Padova
per tutta la vita costruì un orologio.
Un assoluto prototipo, insuperato
per quattrocento anni.
Un meccanismo plurimo, di ruote
ellittiche e dentate,
connesse ad ingranaggio,
e il primo bilanciere;
un’inaudita fabbrica.
Sette quadranti mostrano
la postura dei cieli
e le mute rivoluzioni
d’ogni pianeta.
L’ottavo,
il meno appariscente,
segna l’ora, il giorno e l’anno:
A.D.1346
Forgiò di propria mano:
una macchina celeste,
inutile e industre come i Trionfi,
un orologio verbale
che fabbricò Petrarca.
A qual uopo sciupate il tempo vostro
con il mio manoscritto,
se a grado non siete
di rifarlo?
Sorgere e tramontar del sole,
congiunzioni dell’orbita lunare,
Feste mobili e fisse.
Una calcolatrice, eppure,
ancora e sempre il cielo.
D’ottone, d’ottone.
Sotto codesto cielo
Oggi viviamo noi.
La gente di Padova
non badava alla data.
Un golpe dopo l’altro,
carri d’appestati sul selciato.
I banchieri
pareggiavano il bilancio.
Scarseggiavano i viveri.
L’origine di quella macchina
è problematica.
Un computer analogico.
Un Menhir. Un Astrarium.
Trionfi del tempo. Sopravanzi.
Inutili e industri
come un poema d’ottone.
Guggenheim non mandava
A Francesco Petrarca
L’assegno a fine mese.
De’ Dondi non aveva contratti
col Pentagono.
Altre belve. Altre
Le parole e le ruote. Eppure
il medesimo cielo.
In codesto Medioevo
oggi viviamo noi
H.M. Enzensberger
Mausoleum
Trentasette ballate tratte dalla storia del progresso
Einaudi 1970