John Holdren e la geoingegneria
Nel 2009 il fisico John Holdren, consigliere scientifico di Obama, venne intervistato dall’Associated Press sul tema della geoingegneria climatica. In un video diventato presto virale, Holdren ipotizza l’uso di tecniche estreme per tenere sotto controllo il global warming – tra cui anche l’introduzione di particelle di biossido di zolfo nella stratosfera per “schermare” la Terra dalle radiazioni solari, un po’ come avviene naturalmente per le eruzioni vulcaniche.
Holdren chiariva che le sue erano opinioni personali, e che si trattava di possibili tecniche di dubbia applicabilità (ma da tenere in considerazione come “extrema ratio“).
L’intervista non mancò di generare fraintendimenti nella stampa più sensazionalista (il Daily Mail, ad esempio, uscì con un sobrio “Obama potrebbe sparare particelle di inquinamento nella stratosfera per deviare i raggi del sole in un disperato tentativo di affrontare il global warming!!!”). E così Holdren fu costretto a replicare, spiegando che le sue erano ipotesi personali, che in nessun caso erano mai state applicate tecniche simili e che Obama non stava affatto pensando a una soluzione così radicale.
Storia finita? Purtroppo no. In una moderna versione del telefono senza fili, le dichiarazioni dei Holdren si trasformano nell’ammissione della Casa Bianca sull’esistenza delle scie chimiche e sul loro utilizzo per la geoingegneria climatica. A cinque anni di distanza la storia circola ancora, e l’11 aprile è finita pure sul cliccatissimo portale ilmeteo.it (in genere molto più attento a selezionare le proprie fonti). Del caso hanno parlato, tra gli altri Tagli, Scientificast e Scetticamente, a cui rimandiamo per maggiori approfondimenti.
Ma cos’è davvero la geoingegneria? Di per sè qualsiasi alterazione artificiale dell’ambiente ne fa parte, dall’utilizzo dei teloni salva-ghiacciai alla creazione dei polder olandesi. Nell’ambito della geoingegneria climatica, poi, le soluzioni proposte per contrastare il global warming sono innumerevoli. Quella dell’introduzione di biossido di zolfo nella stratosfera non è un’idea nuova (tra i promotori figura anche Paul Crutzen, premio Nobel e autore nel 2006 di un articolo sull’argomento).
Attenzione, però: si tratta di ipotesi puramente teoriche, mai verificate nella realtà. Al di là dei costi in gioco e delle implicazioni etiche, allo stato attuale non sappiamo se l’introduzione di polveri nella stratosfera possa effettivamente contribuire a raffreddare il nostro pianeta. Come spiega lo stesso John Holdren nell’intervista incriminata, sappiamo ben poco sui possibili effetti collaterali: la Terra è un sistema complesso, e le conseguenze di un’azione del genere sono difficili da prevedere. Il minor apporto di luce, ad esempio, potrebbe portare a una diminuzione della vegetazione e quindi della fotosintesi, con relativo aumento della CO2 e conseguentemente del global warming: proprio l’esatto opposto di ciò che si vorrebbe ottenere.
Insomma, a giudicare dall’attuale “stato dell’arte”, sembra proprio che ci convenga impegnarci tutti per diminuire l’inquinamento e limitarne i danni, senza lasciarci sedurre da dubbie scorciatoie.
Ad ogni modo, nessun collegamento con le così dette “scie chimiche”: le scie di condensa degli aerei sono infatti rilasciate nella più bassa troposfera (tra 8 e 12 km di quota), dove hanno un debole, ma misurato effetto riscaldante. Per contro, le emissioni di biossido di zolfo in stratosfera (oltre 15 km) sarebbero praticamente invisibili.
Per chi volesse approfondire, consigliamo questi due articoli di Gianni Comoretto. Per chi fosse interessato al dibattito internazionale sul tema, invece, qualche novità potrebbe arrivare entro l’anno: l’Accademia delle Scienze statunitense ha attualmente in corso un progetto che riguarda proprio la valutazione delle tecniche di geoingegneria proposte finora, dal punto di vista della fattibilità e delle conseguenze. Lo studio è finanziato da alcune agenzie governative USA (NOAA, CIA e NASA, tra le altre) e le conclusioni dovrebbero uscire in autunno. Vogliamo scommettere che, per quanto si tratti solo di valutazioni teoriche, diventeranno anch’esse l’ennesima “prova definitiva” del complotto delle scie chimiche?
Foto di Stephan Seeber da Pexels
Tutti gli studi seri hanno finora bocciato la geoingegneria, v. questo recente paper uscito su Nature:
http://www.nature.com/ncomms/2014/140225/ncomms4304/full/ncomms4304.html
Se decideranno comunque di tentare qualcosa, i guai saranno garantiti…
E poi c’è sempre il fattore D10 che potrebbe stravolgere i nostri piani.
Segnalo anche quest’intervista a Riley Duren (JPL, NASA):
http://climate.nasa.gov/news/1066
La mia opinione è espressa molto chiaramente nell’intervista a Duren citata. Traduco:
“Se la geoingegneria viene percepita come una “pallottola magica” che offre l’illusione di un inquinamento da carbonio senza conseguenze, allora non ci sono incentivi a controllare le emissioni, che sono la principale causa del problema.”
Aggiungo che non credo verrà mai seriamente messa in pratica. Costa troppo, servono troppi studi e troppo tempo per passare dall’idea alla pratica, e ci sono troppe incertezze sui risultati. Ma può essere presentata al pubblico come una sorta di alibi, fai un piccolo progetto e mostri che stai facendo qualcosa per contrastare l’effetto serra. Un po’ come il “greenwashing” delle compagnie inquinanti, ma che riciclano la carta negli uffici o piantano qualche ettaro di foresta tropicale.
Pertanto il fatto che oggi nessuno si vanti di portare avanti esperimenti di geoingegneria mi sembra la migliore prova che nessuno lo stia facendo.