Il terzo occhio

Risolto il mistero di Amelia Earhart? Andiamoci piano…

2 luglio 1937: l’aviatrice statunitense Amelia Earhart decolla da Lae, in Nuova Guinea. È a bordo di un bimotore Lockheed Electra e in compagnia di Freed Noonan, il suo navigatore. I due stanno cercando di compiere un’impresa da Guinness, il giro del mondo in aereo lungo la rotta equatoriale. Ma l’aereo dell’eroina americana non arriverà mai a destinazione, dando adito a una catena di congetture e ipotesi che si trascineranno fino a oggi.

Questa settimana il TIGHARThe International Group for Historic Aircraft Recovery, un gruppo di ricercatori che indaga sul mistero dal 1988 – ha annunciato (per l’ennesima volta, a dire il vero) di aver rinvenuto un pezzo dell’aereo di Amelia Earhart sull’atollo di Nikumaroro; o meglio, di aver identificato come appartenente all’aereo di Amelia un pezzo di alluminio ritrovato nel 1991. La notizia è stata ripresa da tutti i maggiori quotidiani italiani (Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa, RAI News…).

Come per tutti i grandi gialli della storia, dai delitti di Jack lo Squartatore all’enigma di Passo Dyatlov, quello di Amelia Earhart è un mistero che viene risolto almeno una volta all’anno, salvo poi accorgersi che la soluzione forse non era così lampante come appariva sull’onda dell’entusiasmo. E quindi, a ogni nuova clamorosa rivelazione, la domanda da farsi è sempre la stessa: quali sono le prove? E si tratta di prove solide, o di semplici congetture?

In questo caso, tutto ruota intorno al frammento 2-2-V-1 rinvenuto nel 1991 durante una spedizione del TIGHAR – una delle tante intraprese dal gruppo.

Il problema è che quel pezzo di alluminio è assolutamente anonimo. Lo spiega Dick Knapinsky, portavoce dell’Experimental Aircraft Association, al Toronto Sun:

Ci sono persone nella comunità aeronautica e in quella degli storici che sono molto scettici su queste affermazioni. Come fai a stabilire che un pezzo di alluminio apparteneva a un ben preciso Lockheed Electra se non c’è un numero di serie o qualcos’altro del genere?

Non solo: nel 1992, in seguito ai trionfalistici annunci del presidente del TIGHAR  Ric Gillespie (che già allora affermava di aver definitivamente risolto il mistero di Amalia Earhart), il frammento venne analizzato da alcuni esperti. Scriveva il Los Angeles Times, all’epoca:

Qualsiasi ingegnere esperto della stuttura di base degli aerei potrebbe dirvi che il frammento di Nikumaroro non proviene da un Lockheed 10 […] Lo spazio tra i rivetti non quadra. Né la distanza tra le linee orizzontali dei rivetti. Una striscia verticale di giunti che dovrebbe esserci sul frammento semplicemente non c’è.

Earhart-airplaneUna delusione. Poi, l’intuizione: ma se 2-2-V-1 non è il frammento di un Lockheed Electra originale, potrebbe forse provenire una riparazione? Il team ha rintracciato una fotografia del bimotore scattata a San Juan, Puerto Rico, prima dell’incidente, in cui in effetti si distingue un pannello fissatto alla scocca (il report completo è sul sito del TIGHAR). Insomma, per uno sfortunatissimo caso l’unico frammento di aereo scampato al disastro e rinvenuto dai ricercatori sarebbe proprio il pezzo non originale.

Possibile? Certo. Ma di qui a parlare di certezze assolute, ne passa ancora.

Attualmente, il TIGHAR sta raccogliendo fondi per finanziare una nuova missione a Nikumaroro, con lo scopo di cercare il relitto sul fondale dell’atollo. Non rimane che attendere la “pistola fumante”.

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

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