La Lockheed sta costruendo motori a fusione nucleare?
Nelle ultime settimane è circolata la notizia che la Lockheed Martin starebbe lavorando a un reattore a fusione di dimensioni estremamente compatte. Talmente compatte da consentire il suo utilizzo come propulsore negli aerei di linea.
In effetti sul sito web dell’azienda è presente una sezione interamente dedicata al progetto in cui, oltre alla propulsione aerea, vengono menzionate come possibili applicazioni:
- motori per la propulsione navale con autonomia virtualmente illimitata
- il soddisfacimento del fabbisogno energetico di una città di 50-100.000 abitanti
- energia illimitata a basso costo per i paesi in via di sviluppo
- l’abbattimento dei costi di desalinizzazione e dunque la soluzione del problema della scarsità di acqua potabile nel mondo
- la possibilità di raggiungere Marte in un mese anziché sei.
Un tale programma d’intenti, unito alla scarsità di dettagli tecnici forniti (in particolare, nessuna pubblicazione scientifica) e a una certa facilità d’uso di termini come “sorgente illimitata di energia”, incoraggiano un po’ di sano scetticismo.
Per fortuna in fondo alla pagina si trovano alcuni collegamenti esterni da cui è possibile estrarre qualche informazione in più.
Il primo collegamento è un articolo di Aviation Week, contenente un’intervista al responsabile del progetto, Thomas McGuire. Nella prima parte dell’articolo viene illustrato il meccanismo alla base di ogni prototipo di reattore nucleare. In breve, il propellente (deuterio e trizio) viene iniettato nel reattore e progressivamente riscaldato fino a raggiungere lo stato di plasma (ioni ed elettroni liberi). A questo punto è necessario che il plasma sia confinato (per mezzo di campi magnetici) in una regione sufficientemente piccola, in modo che la densità e la temperatura siano sufficientemente elevate da innescare la fusione tra gli ioni. La fusione produce elio e neutroni: i neutroni trasportano l’energia liberata dalla reazione, sotto forma di energia cinetica, alle pareti del reattore collegate ad un tradizionale scambiatore di calore.
I problemi degli attuali reattori a fusione sono principalmente due: il fatto che l’energia necessaria a mantenere la fusione sia quasi equivalente a quella generata, e le grandi dimensioni del reattore (dovute a motivi di sicurezza legati all’instabilità del plasma).
Nell’intervista, il responsabile del progetto Lockheed parla di una diversa e più efficiente geometria dei campi magnetici che confinano il plasma e promette
un incremento di un fattore 10 in potenza rispetto a un reattore convenzionale (o, equivalentemente, un fattore 10 in meno in dimensioni dell’apparato a parità di potenza)
La previsione tuttavia è di avere, da qui a 5 anni, una macchina
che sia capace di sostenersi per 10 secondi dopo l’accensione
ammettendo che
non si tratterebbe di un prototipo vero e proprio, ma di una prova che la fisica alla base del progetto funziona.
Candidamente poi ammette verso la fine:
Una delle ragioni per cui stiamo venendo allo scoperto è che stiamo costruendo un team per affrontare i grandi problemi del progetto.
In pratica, serve gente per capire se si può fare davvero.
Per confronto, vediamo le affermazioni di un secondo gruppo di ricerca che lavora al progetto di reattore nucleare compatto e che fa capo all’Università di Washington: rispetto all gruppo della Lockheed, hanno pubblicato diversi articoli in merito e sembrano molto più realisti.
Sostengono di poter ridurre le dimensioni del plasma facendo circolare corrente (e generando dunque campi magnetici) direttamente dentro il plasma (che è un ottimo conduttore): dunque il mezzo che fonde si “autoconfina” da sé.
Il loro obiettivo principale, tuttavia, non è quello di ridurre al massimo le dimensioni ma di competere in costi/efficienza con una centrale a carbone: 1 gigawatt prodotto con il loro reattore costerebbe 100 milioni di dollari in meno rispetto a 1 gigawatt prodotto da una centrale a carbone, e ovviamente sarebbe “pulito” dal punto di vista ambientale.
In sostanza, il sospetto che alla Lockheed siano un po’ troppo ottimisti ed entusiasti è fondato, e (come ammesso dallo stesso responsabile) probabilmente la strategia è far parlare di sé in modo da ottenere fondi e manodopera.
Che ne è della “fusione fredda”?
Buona fortuna, se sperano di risolvere questi “problemini”:
http://www.savoir-sans-frontieres.com/JPP/telechargeables/Italien/ITER_it//ITER_it.pdf
Mi sfugge qualcosa di base. Nessuno al mondo ha mai prodotto ad oggi un reattore di fusione per uso civile. Quindi il loro lavoro sarebbe un balzo enorme in avanti, qualsiasi sia la quantità di energia prodotta. Invece ne parlano come di un’evoluzione del motore a scoppio. Mah. Quando dicono “un incremento di un fattore 10 in potenza rispetto a un reattore convenzionale”, quale reattore convenzionale? A fusione non esiste. A fissione? Dubito che riescano a fare un fattore 10. A carbone?
Per confinare il plasma ci vogliono chili e chili di Tesla di campo. Altro che modificare la geometria. Vorrei infine ricordare un dettaglio: la fissione nucleare fu realizzata per la prima volta da un team di geni che difficilmente è mai stato eguagliato in un singolo progetto. Non dico che la fusione richieda lo stesso, ma dubito che un team di ingegneri (per quanto bravi) possa superare tutti i problemi di ricerca insiti nel confinamento. Comunque sia, se dovesse funzionare, sarò il primo a ricredermi.
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