Ma allora si può distinguere oggettivamente tra scienza e pseudoscienza, sì o no?
Sappiamo che l’astronomia, la geologia e l’archeologia sono scienze, mentre l’astrologia, la rabdomanzia e la teoria degli antichi astronauti sono pseudoscienze. Ma possiamo trovare un criterio generale che ci permetta di distinguere scienza e pseudoscienza in qualsiasi caso, oppure no? È il “problema della demarcazione” del quale abbiamo parlato negli scorsi numeri della rubrica, uno di quei problemi astratti che piacciono ai filosofi ma che può avere anche conseguenze pratiche importanti: per esempio la decisione se il creazionismo vada insegnato a scuola, o se l’omeopatia vada praticata negli ospedali pubblici. Nelle ultime due puntate abbiamo riportato le opinioni di Paul Feyerabend e Larry Laudan. Pur partendo da punti di vista diversi, entrambi sostenevano che sia impossibile stabilire un criterio universale per distinguere tra la scienza e la sua brutta copia: Laudan aveva parlato a questo proposito di «morte del problema della demarcazione». Questo accadeva negli anni settanta-ottanta del secolo scorso e per un po’ di tempo l’idea che fare una distinzione di principio tra scienza e pseudoscienza sia impossibile non ha incontrato una forte opposizione. Negli ultimi anni, però, alcuni filosofi della scienza hanno ripreso a interessarsi dell’argomento, spesso con l’approccio delle “rassomiglianze di famiglia” che abbiamo visto nello scorso numero: cercando cioè di identificare che cosa contraddistingue la scienza da diversi punti di vista (metodologico, sociologico, storico, cognitivo, eccetera), senza preoccuparsi troppo di darne una definizione formale, esauriente o universale . Come ha detto il filosofo olandese Maarten Boudry, parafrasando Mark Twain, si può rispondere a Larry Laudan che «le voci sulla morte del problema della demarcazione sono state largamente esagerate».
Per cominciare, come ha osservato Massimo Pigliucci, il fatto che nessuno dei criteri di demarcazione proposti finora sia stato accettato definitivamente non significa che non abbiamo imparato nulla, ma al contrario mostra che un po’ alla volta capiamo sempre meglio come funziona la scienza, partendo da idee semplici e affinando via via la descrizione della ricerca scientifica. Ognuno dei criteri di demarcazione che abbiamo visto finora, infatti, ci ha permesso di capire qualcosa in più sul lavoro degli scienziati, anche se non è stato risolutivo. Senza la pretesa di essere particolarmente completi o precisi, cerchiamo allora di ricapitolare alcune delle più importanti differenze tra scienza e pseudoscienza, da diversi punti di vista: saranno gli strumenti “filosofici” da tenere nella nostra cassetta degli attrezzi, ci serviranno sia per valutare le informazioni che troviamo sia per capire se il nostro stesso approccio sia scientifico. Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto fin qui, ricordiamoci naturalmente che questi strumenti vanno intesi come linee guida e non come regole ferree.
Una prima importante caratteristica delle teorie scientifiche è la predittività, cioè la capacità di descriverealtri fenomeni oltre a quelli osservati, che possano essere ricercati per mettere alla prova la teoria stessa. L’astronomia, per esempio, può prevedere con precisione l’arrivo di una cometa grazie al calcolo dell’orbita, oppure può prevedere sia il luogo sia l’istante in cui si potrà osservare un’eclissi solare. Le “previsioni” che fa l’astrologia sono molto più vaghe e difficili da controllare: il più delle volte gli astrologi si limitano a fare affermazioni così generiche che possono essere vere per chiunque, oppure così contaddittorie che almeno in parte sono per forza vere. Raramente gli astrologi si sbilanciano nel fare previsioni che possano essere messe alla prova (e quando lo fanno vengono spesso smentiti, come succede nel controllo annuale delle previsioni astrologiche curato dal CICAP e soprattutto negli studi più rigorosi).
Provando ad approfondire la differenza tra i due tipi di previsioni arriviamo a quella che Karl Popper chiamava falsificabilità: le teorie scientifiche sono costruite in modo da poter essere smentite dai fatti, e quando questo succede finiscono per essere abbandonate. Per esempio, la teoria della generazione spontanea venne finalmente messa da parte dopo numerosi esperimenti che la smentivano, ultimi e decisivi quelli di Pasteur; la teoria della gravitazione di Newton venne sostituita, diversi decenni dopo l’osservazione delle anomalie nell’orbita di Mercurio, da quella della relatività di Einstein. Questi due esempi suggeriscono che la sostituzione di una teoria falsificata dalle osservazioni non è sempre una faccenda immediata, ma può richiedere anni o anche decenni. Come abbiamo visto negli scorsi numeri, infatti, qualsiasi esperimento non mette alla prova una sola ipotesi, ma un insieme di ipotesi collegate tra loro, e se fallisce non è sempre automatico decidere di quale di esse dobbiamo fare a meno. Inoltre, gli scienziati sono molto più affezionati alle proprie teorie di quanto auspicava Popper e non le abbandonano tanto facilmente, soprattutto quando non hanno a portata di mano un’alternativa migliore. Per queste ragioni non capita praticamente mai che un singolo esperimento fallito decreti la morte di una teoria: le cose sono un po’ più complicate, ma quello che conta è che nella scienza le teorie che non superano la prova dei fatti vengono sostituite, prima o poi, da altre che descrivono meglio la realtà. Nelle pseudoscienze questo non succede: per esempio, ci sono ormai molti studi che mostrano come gli effetti dell’omeopatia siano pari a quelli del placebo, ma gli omeopati non hanno certo rinunciato alla loro teoria, si sono solo limitati a puntellarla con ipotesi ad hoc come quella secondo cui a causa della sua natura altamente personalizzata l’omeopatia non potrebbe essere studiata con metodi statistici. Altre pseudoscienze come l’Intelligent Design non fanno nemmeno lo sforzo di compiere esperimenti ma sostengono tesi così flessibili che è impossibile falsificarle: qualsiasi proprietà dell’evoluzione può essere attribuita alla volontà del progettista intelligente.
Questo ci porta a un’altra importante differenza tra scienza e pseudoscienza: la progressività, che abbiamo visto parlando di Lakatos. Le teorie scientifiche tendono generalmente a migliorare nel senso che diventano più accurate, o permettono di risolvere un maggior numero di problemi, anche se, come ha osservato Kuhn, il progresso scientifico non è così lineare e scontato come si potrebbe pensare a prima vista e può passare attraverso false piste e profondi ripensamenti.
Thomas Kuhn ci ha fornito un importante strumento di tipo sociologico: gli scienziati non lavorano mai (o quasi mai) in modo isolato, ma all’interno di un paradigma, concetto che può avere diversi significati; noi ne vediamo due in particolare. In primo luogo gli scienziati fanno parte di una comunità che condivide un linguaggio, delle tecniche e un insieme di valori, tra i quali la discussione pubblica delle idee, il rifiuto del principio di autorità e la necessità di dimostrare le proprie affermazioni. In secondo luogo (anche se per Kuhn è l’aspetto più importante) le loro teorie non stanno in piedi da sole, ma si inseriscono armonicamente in una complessa rete di conoscenze che si intrecciano e si sostengono a vicenda: per esempio, le teorie chimiche sono confermate da quelle fisiche ed esiste una disciplina di transizione tra le due, la chimica fisica. Per contrasto, gli pseudoscienziati agiscono spesso da soli, proclamando talvolta che le loro scoperte rivoluzioneranno l’intero corpus delle loro conoscenze. Inoltre, le loro teorie non sono in contraddizione solo con le conoscenze scientifiche consolidate, ma a volte anche l’una con l’altra, e i loro sostenitori non si mettono d’accordo tra loro, né se ne preoccupano particolarmente. Per esempio, non solo i presunti influssi astrologici non possono essere spiegati da nessuna delle forze note alla scienza, ma l’astrologia cinese e quella indiana raggruppano le stelle in costellazioni diverse da quelle dell’astrologia occidentale, con significati differenti (e gli stessi astrologi occidentali, quando sono stati messi alla prova sperimentalmente, hanno sbagliato tutti ma ognuno in modo diverso dagli altri). Allo stesso modo, non solo l’iridologia è incompatibile con le nostre conoscenze di anatomia e fisiologia, ma le varie mappe iridologiche mettono gli organi in punti diversi dell’iride, e così via.
Scienza e pseudoscienza sono molto diverse quanto al rapporto tra fatti e teorie. Mentre le teorie scientifiche discendono dall’osservazione dei fatti e si evolvono, spesso in modo imprevedibile, per adeguarsi ai fatti nuovi che vengono scoperti, le pseudoscienze nascono intorno a basi teoriche alle quali non possono rinunciare e cercano solo i fatti che possano confermarle, ignorando o manipolando gli altri. I concetti chiave delle pseudoscienze spesso assomigliano di più a quelli del paranormale che a quelli della scienza vera e propria: per esempio l’idea che gli esseri viventi siano permeati da una ipotetica energia vitale immateriale (presente in molte medicine alternative), l’idea che esista un fine nella natura e nell’universo (presente nel creazionismo e nell’Intelligent Design), l’idea che ci sia una corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo (presente nell’astrologia), l’idea che alcuni fenomeni naturali siano la manifestazione di un agente soprannaturale (presente nel creazionismo e nella sindonologia). In passato alcune di queste idee, per esempio il vitalismo e il finalismo, facevano parte legittimamente della scienza, che però le ha poi abbandonate. Le pseudoscienze non possono fare altrettanto: se il creazionismo e l’Intelligent Design abbandonassero il finalismo, semplicemente smetterebbero di esistere. Anche l’impossibilità di rinunciare alle proprie basi teoriche rende le pseudoscienze più simili nella sostanza alle credenze paranormali e religiose che alle teorie scientifiche, a cui somigliano solo in superficie.
Basi teoriche come queste, tra l’altro, aiutano a spiegare il successo popolare di alcune pseudoscienze: sono intuitive e rassicuranti ed è comprensibile che vi sia chi “fa il tifo” per loro anziché per l’attuale visione scientifica di un universo privo di scopo, di un creatore, di una dimensione spirituale.
Concludiamo questo riepilogo con alcune cose che abbiamo imparato su ciò che la scienza non è.
Kuhn ha attirato la nostra attenzione sul fatto che la scienza non è perfetta: gli scienziati sono esseri umani, che commettono errori, si lasciano guidare dai propri pregiudizi, in qualche caso (per fortuna piuttosto raro) possono anche commettere frodi. Talvolta nel difendere la scienza può capitare di farsi prendere da un eccesso di zelo e idealizzarla, ma in realtà in questo modo le si fa un cattivo servizio. Quello che distingue la scienza dalle pseudoscienze non è il fatto di essere infallibile o di essere praticata da persone straordinarie, ma il sistema di controlli che le permettono nel lungo termine di trovare i problemi e di autocorreggersi.
Anche quel bastian contrario di Feyerabend ci ha insegnato una cosa importante: l’attività scientifica non si può ridurre a una serie di regole da seguire. Le scoperte scientifiche possono avvenire nei modi più disparati: per caso, per errore, addirittura in sogno. Pasteur scoprì il vaccino del colera grazie alla negligenza del suo assistente, che aveva trascurato per settimane una coltura batterica, rendendola meno attiva. Friedrich August Kekulé concepì la struttura chimica ad anello del benzene nel dormiveglia, dopo aver sognato un serpente che si mordeva la coda. È impossibile stabilire un insieme di regole fisse che permettano, se seguite con diligenza come una ricetta di cucina, di passare dall’osservazione della natura alla formulazione di una teoria che la spieghi: resterà sempre spazio (per fortuna) per gli imprevisti e per la creatività dei singoli scienziati. Questo ci deve mettere in guardia da ricostruzioni troppo semplicistiche che fanno apparire il cosiddetto “metodo sperimentale” come una sequenza automatica di operazioni.
Infine, Feyerabend e Laudan ci hanno ricordato che la scienza non è monolitica: anche se confrontando scienza e pseudoscienza parliamo soprattutto di mentalità scientifica e di valori della scienza in generale, ci sono molte differenze importanti tra una disciplina e l’altra nel ruolo degli esperimenti, in quello dei formalismi matematici, nelle tecniche usate e a volte anche nella mentalità. L’idea della scienza che ha un fisico teorico è diversa di un paleontologo o di un neurobiologo, a volte più di quanto si immagini. Nell’indagare sui misteri e sulle pseudoscienze ci capita di prendere a prestito strumenti che sono più familiari all’uno o all’altro.
Con questo numero si conclude la nostra serie di articoli sul problema della demarcazione. Alla fine di questo lungo percorso abbiamo imparato che possiamo sì distinguere oggettivamente tra scienza e pseudoscienza, ma non esiste un metodo semplice e immediato: per riuscirci dobbiamo prima comprendere meglio come funziona la scienza nella sua complessità e quindi tenere conto non solo del punto di vista metodologico, ma anche di quello storico, sociologico e psicologico. Complicato? Forse sì, ma ne vale la pena e strada facendo impariamo moltissime cose.
Foto di Konstantin Kolosov da Pixabay
Il mio paragone preferito è con le lingue. Il fatto che una lingua non abbia una grammatica scritta non significa che non esista, o che non si possa distinguere dalle altre. Anche in assenza di un tale testo un parlante è perfettamente in grado di stabilire se una frase è corretta o meno, e questo non è messo in discussione dall’esistenza di casi ambigui, dialetti eccetera. Analogamente, l’inesistenza di un criterio formale di demarcazione non significa che la demarcazione non ci sia.
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Si può fare pseudoscienza anche con affermazioni basate su una serie talora lunga di fonti (articoli scientifici sottoposti a serio peer review e pubblicati in riviste prestigiose). Basta selezionare le fonti che confermano l’affermazione e ignorare quelle che lo negano. E’ una tecnica molto diffusa, a sostegno delle tesi più strampalate.