Gatti dipinti e origami erotici
Nei giorni scorsi ha avuto parecchio risalto mediatico la vicenda di Elena Lenina, la modella russa che avrebbe ucciso il proprio gatto colorandolo di rosa con una vernice tossica per intonarlo al colore del suo vestito. La storia si è poi rivelata una bufala: il gatto era stato effettivamente tinto, ma è ancora vivo e vegeto; anzi, è cresciuto e sta bene, come dimostrano le fotografie riportate da Paolo Attivissimo.
Confessione: a livello strettamente personale, considero la tinteggiatura di un gatto un gesto di rara idiozia. Ma di qui a considerarlo un felinicidio, ovviamente, ce ne passa. Da appassionata di leggende metropolitane, però, ho trovato molto interessante come, sulla spinta di questa vicenda, abbiano ripreso a circolare le foto dei mici dipinti che si erano diffuse anche in Italia alcuni anni fa (qui, ad esempio, un articolo di Giornalettismo sull’argomento; qui, invece, alcune delle immagini incriminate). La voce corre soprattutto suile pagine animaliste dei social network, dove si stigmatizza la moda del “cat painting” (per cui i proprietari sarebbero disposti a spendere fino a 5000 dollari) e dove l’augurio più gentile rivolto ai padroni è quello di subire la stessa sorte dei propri animali. Con vernice indelebile, possibilmente.
Le fotografie, però, hanno un autore molto sospetto: si tratta di Silver Burton, un nome molto conosciuto nell’ambiente degli hoaxer. Tipo bizzarro, questo artista neozelandese: fumettista, inventore del GolfCross (ah, la praticità di usare palline da golf della forma di palloni da rugby!), creatore di un’olimpiade dedicata agli sport anomali (mai sentito parlare del salto assistito o della corsa laterale?)… Ma soprattutto, Burton è famoso per inventare contesti fittizi intorno alle sue trovate artistiche, incentrate per lo più su tre temi: i gatti, la pittura e il sesso. Tre delle cose più interessanti della vita, direbbe qualcuno.
Molto famosa la storia del kokigami, a cui l’artista dedicò due libri in collaborazione con la pittrice Heather Busch. Nel diciottesimo secolo, in Giappone – ci racconta il buon Silver – la prima notte di nozze si svolgeva il rituale dello tsutsumi: il novello sposo avvolgeva le sue zone intime in un vero e proprio pacchetto regalo che la consorte doveva poi scartare.
Ancora adesso nel paese è radicato l’uso dei kokigami – piccoli vestiti di carta in forme di animali, mezzi di trasporto o altro, che vengono ritagliati e “indossati” dagli uomini sui propri genitali. “E cosa ci fa un uomo con, poniamo, un piccolo origami a forma di calamaro sul pene?”, si chiederanno i più ingenui lettori. Ma è ovvio, mette in scena con la propria compagna un dialogo, possibilmente in puro stile teatro kabuki:
Calamaro
(Braccia tese, con le dita che imitano i tentacoli in modo pulsante e ondeggiante. Tenendo indietro i fianchi, muoviti lentamente verso la tua partner, emettendo gentili risucchi. Se disturbato, porta le braccia lungo il corpo e salta velocemente all’indietro)
Maschio: “Vieni a me, piccolo pesce. Lascia che i miei tentacoli forti e sensibili ti accarezzino gentilmente e stringano il tuo corpo fremente”.
Femmina: “I tuoi tentacoli danzano meravigliosamente, ma hanno molte ventose e mi chiedo a cosa servano”. (Traduzione da Bizzarro Bazar)
Poi la storia arriva in Giappone, e la sorpresa è enorme: “Ehi, Silver, com’è che qui da noi nessuno ha mai sentito parlare né del kokigami, né tanto meno di questo tsutsumi in chiave erotica”?… Ecco.
Stesso discorso per “The Naughty Victorian Hand Book“. In epoca Vittoriana – ci racconta sempre Burton – la pruderie vigente non permetteva la raffigurazione di immagini erotiche esplicite. Così i pubblicitari inventarono uno stratagemma: cartoline in cui si potevano ritagliare le parti intime dei protagonisti, e sostituirle con le proprie mani, in maniera da simulare la presenza di un seno formoso o di un fondoschiena ignudo. Gli esempi forniti dal fumettista sono sicuramente divertenti; ma altrettanto sicuramente questa pratica non è mai esistita, controllate pure con il vostro storico di fiducia.
Il successo maggiore del neozelandese, però, sono certamente i suoi libri sui gatti: a parte un “Kama Sutra for cats” e un “Dancing with cats” (ma come, non sapevate che i mici ballassero?), i best seller di Burton sono sicuramente “Why Cats Paint” e “Why Paint Cats“.
Nel primo si analizzano alcuni gatti sorpresi nell’atto di dipingere, e le complicate ragioni per cui lo farebbero. Sulla copertina, così come su quella di “Dancing with cats“, veniva riportata questa curiosa dicitura: “Why Cats Paint è un esperimento internazionale registrato di risonanza morfica inter-specie, ed è progettato per testare l’ipotesi della formazione causativa”. Che è un po’ come dire: noi buttiamo lì un’idea, magari prima o poi arriva qualcuno a metterla in pratica (formazione causativa).
“Why Paint Cats“, invece, è il controverso libro totalmente dedicato ai gatti dipinti – quello da cui sono state tratte le fotografie incriminate. Le presunte immagini del cat painting sono finite pure su Snopes, il celebre sito smaschera-bufale, dal momento che in molti le avevano prese per vere ed erano – giustamente – preoccupati per i felini. Questo non vuol dire che la tinteggiatura dei gatti non venga occasionalmente praticata da qualche sciagurato padrone; ma per fortuna siamo ben lontani dal poterla considerare una moda. E ad ogni modo, le foto che stanno girando sul web e che avrebbero costretto i mici a lunghe e estenuanti sessioni di pitturazione sono da considerarsi fasulle.
Gattofili di tutto il mondo, potete star tranquilli: a parte quello di Elena Lenina, nessuno dei mici che gironzolano per la rete in questi giorni è mai stato davvero dipinto, se non nell’impalpabile ambiente di Photoshop. O nel magico mondo di Silver Burton, tra origami erotici e kamasutra gatteschi.