A che punto è la notte 3 – Tratto da una storia vera
Con questa rubrica facciamo il punto sui mysteri di vecchia data, che esercitano ancora tutto il loro fascino pur essendo già stati smentiti e razionalmente spiegati. Oggi parliamo dei film “tratti da una storia vera”.
Partiamo da un assunto: se una qualsiasi opera a tema horror-paranormale potesse davvero fregiarsi dello strillo “Basato su una storia vera”, metà del lavoro di noi scettici sarebbe conclusa.
Se per esempio quella di Amityville fosse una storia vera (e per vera intendiamo «provata come tale, con inequivocabili evidenze a supporto, come sono veri lo sbarco sulla Luna e le patatine fritte»), avremmo dimostrato che i fantasmi esistono, sono in grado di comunicare col nostro mondo e quindi medium, spiritisti e compagnia cantante avevano ragione. Il punto è che – a parte la moda abbastanza recente di piazzare la dicitura ovunque –bisognerebbe prima mettersi d’accordo sul significato di “basato”. La maggior parte di queste pellicole si sono limitate a prendere spunto da fatti di cronaca più o meno reali e da lì hanno montato tutta la sovrastruttura narrativa necessaria a fare un film e non un documentario. Succede anche per altri generi cinematografici, dai thriller ai legal-drama agli horror puri e semplici: per dire, The Texas Chainsaw Massacre e Psycho sono ispirati entrambi alle gesta di uno dei più efferati serial killer americani, Ed Gein, ma raccontano due storie completamente diverse. Quindi, se volessimo rispondere in maniera drastica alla domanda «Questi film sono basati su storie vere?», dovremmo dire «Sì». Ma sarebbe la risposta a una domanda sbagliata. Quella corretta dovrebbe essere «Le storie vere cui sono ispirate queste opere sono stati veri casi di fenomeni paranormali?» e allora la risposta richiederebbe qualche sfumatura in più.
1) L’esorcista e L’esorcismo di Emily Rose
Pur essendo ispirati a due fatti di cronaca diversi – quello di “Roland Doe” e quello di Anneliese Michel – la trama è all’incirca la stessa: una giovane ragazza manifesta strani comportamenti diagnosticati infine come possessione demoniaca. Deve quindi essere sottoposta a un esorcismo che possa liberarla del demone, ma la battaglia con il Maligno avrà conseguenze tragiche.
Fra i due film ci sono più di trent’anni di distanza ed è chiaro che la maniera di trattare il tema principale risente del diverso zeitgeist: in Emily Rose si affronta la questione anche sotto il punto di vista laico e si mette in discussione in sede legale la liceità stessa del trattamento cui viene sottoposta la ragazza, mentre nell’Esorcista il dramma interiore è tutto a carico del sacerdote. Tuttavia, anche le storie originali si differenziavano in alcuni elementi sostanziali, primo fra tutti il fatto che Roland tornò ad avere una vita normale alla fine dell’esorcismo, mentre Anneliese morì di fame e disidratazione.
Con ogni probabilità, Roland Doe era solo un ragazzino bisognoso di attenzione che si divertì a prendere in giro le autorità religiose per superare il lutto della morte della zia; Anneliese, invece, era una ragazza malata con un distorto senso della religione, e avrebbe dovuto essere curata, non sottoposta a trattamenti e riti che esasperarono la sua misticità portandola alla morte. In nessuno dei due casi, quindi, elementi sovrannaturali: nel caso Doe, addirittura, uno dei gesuiti che partecipò all’esorcismo lasciò intendere di non credere alla possessione demoniaca; in quello di Annaliese, sebbene con pene lievi, i preti furono condannati per omicidio.
2) Poltergeist
Spaventosissimo. L’immagine della ragazzina risucchiata dal televisore ha allietato alcuni dei miei incubi migliori negli anni ’80. La storia è molto simile ad altre: serena famigliola senza problemi vive ignara in una casa costruita su un antico cimitero, dove all’improvviso iniziano a verificarsi strani fenomeni, la cui violenza si intensifica fino al punto di dover chiedere aiuto a medium ed esperti del paranormale, senza che naturalmente questo li salvi dalle ire del demone/spirito/fantasma.
Per l’appunto la poca originalità della trama fa ancora discutere gli appassionati su quale sia la vera storia vera cui si è ispirato Spielberg: le due teorie più accreditate sono Cheesman Park e il Poltergeist di Seaford (sebbene tale attribuzione sia più controversa). Riguardo Cheeseman Park, trovo personalmente poco sorprendente che si vociferi di fantasmi che vagano smarriti in un luogo così funereo e dalla storia così triste: un cimitero abbandonato, sui cui resti sorgeva un ospedale dove le persone venivano lasciate a morire… che la gente del luogo possa ritenerlo infestato mi sembra il minimo; non a caso è stato d’ispirazione per un altro film horror del 1980, The Changeling.
Più interessante invece il caso di Seaford, che alla fine degli anni ’50 salì agli onori della cronaca arrivando addirittura alla copertina di Life. La famiglia Herrmann cercò il più possibile di mantenere la calma e la lucidità, così come racconta anche la figlia nell’unica intervista rilasciata dopo gli eventi; tuttavia, rifiutarono l’aiuto di Milbourne Christopher, prestigiatore di fama, che si era offerto di replicare per loro gli eventi che tanto li terrorizzavano, al fine di dimostrarne l’origine assolutamente terrena. Non avendo avuto accesso diretto alla scena dell’infestazione, nessuno scettico ha potuto dimostrare definitivamente che cosa stesse accadendo, ma Christopher mostrò ai media che quegli effetti potevano essere facilmente riprodotti. Perciò, ancora una volta, in mancanza di prove straordinarie, opteremo per la spiegazione razionale: qualcuno ha finto di essere uno spiritello dispettoso.
(Che poi Poltergeist sia un film “maledetto”, che ha collezionato un numero anomalo di morti, beh, questo è già più vero.)
3) Il quarto tipo
Questo è un tale capolavoro di intrecciamento di livelli narrativi (perché il film in sé è invece bruttarello) che persino David Lynch rimarrebbe un attimo sconcertato.
Trama: conducendo una serie di sedute di ipnosi con diversi pazienti, la dottoressa Tyler comincia a sospettare che si tratti di casi di rapimenti alieni e che potrebbe esserne stata vittima lei stessa. Il film alterna il girato con gli attori agli spezzoni delle vere sedute della dottoressa Tyler. Il tutto si svolge nei pressi della cittadina di Nome, Alaska, dove, fra gli anni ’60 e i primi anni 2000, un altissimo numero di persone è scomparso nel nulla.
Realtà: il tasso di sparizioni nei dintorni della cittadina di Nome è davvero molto alto. Sospettando un serial killer, l’FBI ha investigato 25 di questi casi e ha raggiunto la conclusione che le persone siano rimaste uccise dall’alcol e dal freddo – si tratta di una zona molto isolata e impervia dell’Alaska – o semplicemente abbiano scelto di andarsene approfittando delle caratteristiche naturali del luogo per non lasciare traccia.
Non esiste alcuna dottoressa Tyler, non esiste alcun filmato di ipnosi regressiva in cui gli abitanti di Nome ricordino le proprie abduction. Gli autori hanno creato una finta storia vera per avallare l’ipotesi che le sparizioni siano invece legate ai rapimenti degli alieni e –come sempre – i men in black tengano nascosta la verità.
Esistono però i veri abitanti di Nome, tra cui molti parenti degli scomparsi, e non hanno gradito particolarmente il film.
4) Devil’s pass
Altro film campione di salto in lungo della logica storica, che spaccia per “storia vera” una serie di discutibili artifici narrativi innestati su un mistero reale. Cinque studenti dell’Oregon decidono di scoprire cosa sia veramente accaduto alla spedizione su Passo Dyatlov in cui morirono nove persone in circostanze piuttosto misteriose. Fin da subito, però, gli studenti si ritrovano a ripercorrere ben più degli stessi sentieri, scoprendo la verità a prezzo delle loro stesse vite.
Ora: quello del Passo Dyatlov è un mistero a tutt’oggi irrisolto, meno noto di altri, ma dal grandissimo fascino, che da solo basterebbe a fare almeno due o tre buoni film. Spostare il piano narrativo per appiccicarci sopra una storia posticcia che conduca a una risoluzione fanta-temporale con gli immancabili militari cattivi, un worm-hole che torna sempre utile lì nell’angolo e dei mostrilli che sembrano uscire da Silent Hill 3 ci sembra una scelta molto poco furba. E siamo lieti di vedere che, come per il film precedente, gli utenti dell’Internet Movie DataBase sono d’accordo con noi.
5) L’evocazione
Film del 2003 con Vera Farmiga e Patrick Wilson, racconta la storia della famiglia Perron, perseguitata da una bambola in cui si è incarnata la strega Bathseba (Betsabea in italiano). Si tratta di uno dei casi affrontati nel corso della carriera da due nostre conoscenze, Ed e Lorraine Warren (sebbene il film mescoli insieme il caso della famiglia Perron e quello della bambola Annabelle), e sono loro i personaggi principali, in realtà.
Che cosa c’è di vero? Impossibile saperlo: oltre ai diretti interessati, non c’è nessun testimone di alcun tipo, né sono state svolte indagini da terze parti. In ogni caso, Steven Novella ha avuto modo di incontrare personalmente e a lungo i Warren, di visitare il loro museo del sovrannaturale e di prendere visione di tutte le evidenze dei casi che sono stati disposti a mostrargli. Niente di particolarmente significativo, come racconta il neurologo qui, anzi, molta fuffa cui può credere solo qualcuno troppo ingenuo (o molto furbo), e basta un giro sul loro sito per farsene un’idea. Ancora una volta, quindi, difficile dire che cosa sia veramente accaduto all’interno di quella casa; chi è sopravvissuto crede fermamente di aver vissuto un’esperienza devastante, ma le reali motivazioni dei protagonisti, quanto e come abbiano contribuito in prima persona al verificarsi degli eventi, questo non è possibile al momento definirlo.
6) The Blair Witch Project
Era il 1999. Se ne parlava ovunque, tv, riviste di settore e no, il merchandising era costosissimo e molto ben congegnato (le due immagini sovraimpresse sul poster dei “Missing”, qui a destra, dal vivo erano molto meno visibili di quanto non sembri in foto, serviva un po’ di controluce, per cui magari ce ne si accorgeva all’improvviso, come se fossero apparse un attimo prima).
Trama: Heather, Joshua e Mike scomparvero nel nulla mentre giravano un documentario sulla strega di Blair, Elly Kedward, e sul serial killer che alcuni anni dopo dichiarò di essere stato posseduto dal suo spirito e costretto a uccidere i bambini della città. Un anno dopo il nastro fu rinvenuto nei boschi, e si scoprì che i ragazzi avevano ripreso tutta la loro tragica avventura. E’ stato il primo “found footage” di successo, con buona pace del Cannibal Holocaust che l’aveva preceduto di vent’anni, e abbiamo tutti creduto di star assistendo a delle morti reali, era questo a fare veramente paura quando lo andammo a vedere.
Ma era tutto falso, assolutamente tutto: non solo – ovviamente – la scomparsa e la morte dei tre film-maker, ma anche la storia di Elly Kedward e dell’assassino Rustin Parr. Una delle più straordinarie operazioni di marketing (nonché una delle prime a sfruttare la potenza di Internet) che si siano mai viste al cinema. A distanza di quindici anni la verità è nota a tutti, ma quando si parla di “storie vere” non si può non dedicare al film una speciale menzione d’onore.
(Nota di chi scrive: io quel poster ce l’avevo sopra il letto, e la mano e l’impiccato fatto coi bastoncini di legno li notai diverse settimane dopo averlo acquistato. Confesso di averlo spostato. In un’altra stanza.)
Un piccolo appunto sulla trama di “poltergeist”, perchè è un errore che ho letto spesso: il cimitero del film non è indiano, probabilmente si fa confusione con l’ albergo di “shining”.
Gentile D.S., ha proprio ragione: il cimitero non è indiano. Grazie per la segnalazione, provvedo a correggere il pezzo.
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