Rifugi nazisti nella giungla argentina?
Un rifugio segreto nazista nel cuore della giungla argentina scoperto a Teyù Cuarè (“Grotta della lucertola”, in lingua guaranì), quasi al confine con Paraguay e Brasile: è questa la notizia battuta dall’Ansa martedì scorso e ripresa dai maggiori quotidiani nazionali (Corriere della Sera, Repubblica, Stampa). Una storia che ha riacceso i riflettori sulle teorie che vorrebbero Hitler scampato al suicidio e fuggito invece in Sud America, tra piani per ricostruire il Reich e bunker segreti.
Stando all’Ansa, un gruppo di archeologi avrebbe infatti identificato nella provincia di Misiones
resti di costruzioni ideate probabilmente per ospitare ufficiali dell’aeronautica di Hitler.
Per capire che le cose sono un po’ più complesse di quanto abbiano presentato i media nazionali, però, basta leggere le dichiarazioni fornite al Guardian da Daniel Schavelzon, il responsabile della scoperta:
La mia era semplicemente un’ipotesi. La stampa l’ha presa e l’ha ingigantita a dismisura.
Già, perché come racconta sul Guardian Uki Goñi, autore di The Real Odessa: Smuggling the Nazis to Perón’s Argentina, quegli edifici non sono affatto degli anni ’40, ma ben più antichi. La “struttura tipica dell’ingegneria europea, con mura spesse tre metri e senza omologhi nei dintorni”, risale con tutta probabilità a un periodo compreso tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, quando venne costruito anche il vicino monastero di San Ignacio Miní. Inoltre non è stata affatto scoperta di recente, ma è aperta al pubblico da alcuni decenni.
Mura antiche riutilizzate in epoca nazista, quindi? L’ipotesi di Daniel Schavelzon poggia su due pilastri. Il primo è una voce popolare, secondo cui il luogo sarebbe stato abitato negli anni ’50 da Martin Bormann, il segretario personale di Adolf Hitler. Sul destino di quest’uomo sono fiorite leggende e speculazioni: storie corroborate da documenti segreti, poi rivelatisi falsi, lo volevano fuggito in Sud America, mentre i centomila marchi offerti nel 1964 dalla Germania Ovest per chi avesse contribuito alla sua cattura moltiplicarono i suoi avvistamenti in Australia, Danimarca, Cile, Argentina, e persino Italia. I suoi resti furono invece scoperti a Berlino negli anni ’70 e nel 1998 il test del DNA diede la prova inconfutabile che fossero proprio quelli di Bormann, morto nel 1945. La voce di un soggiorno argentino del segretario di Hitler era quindi priva di alcun fondamento, come ammesso da Schavelzon stesso.
Il secondo pilastro alla base dell’ipotesi dell’archeologo sembra invece un po’ più consistente: nell’edificio, Schavelzon racconta di aver trovato cinque monete tedesche coniate tra il 1938 e il 1941 e i resti di un piatto di porcellana con la scritta Made in Germany prodotto dalla ditta Meissen tra il 1890 e il 1940.
Il problema è che non c’è nulla che colleghi questi reperti ai gerarchi nazisti. Negli anni ’40 furono molti gli europei emigrati in Argentina, tra cui molti ebrei in fuga dalla Germania e dalle sue persecuzioni razziali. Il paese ospita ancora adesso almeno tre milioni di persone di origine tedesca, di cui circa 10.000 nella provincia di Misiones, dove è avvenuto il ritrovamento.
C’è da aggiungere che i gerarchi nazisti sfuggiti alla disfatta del terzo Reich non avevano certo bisogno di nascondersi nella giungla: furono accolti in villette e abitazioni middle-class nei sobborghi di Buenos Aires (come quello di Olivos, tristemente famoso per aver ospitato il criminale Adolf Eichmann).
Daniel Schavelzon è attualmente alla ricerca di fondi per far partire uno scavo nella zona. Finché non emergeranno prove di un effettivo collegamento tra gli edifici della giungla e la Germania nazista, però, la sua rimane un’ipotesi: sicuramente suggestiva, ma per ora priva di riscontri concreti.
Foto di Antonio Guillen da Pixabay