A che punto è la notte 6 – Reincarnazione
Con questa rubrica facciamo il punto sui mysteri di vecchia data, che esercitano ancora tutto il loro fascino pur essendo già stati smentiti e razionalmente spiegati. Oggi parliamo di celebri casi di reincarnazione.
Ian Stevenson era uno psichiatra americano che ha viaggiato in tutto il mondo raccogliendo e studiando centinaia di testimonianze di persone che sostenevano di ricordare una vita precedente. Le sue ricerche risentono fortemente di errori metodologici e di impostazione e gli scettici le ritengono complessivamente prive di validità; tuttavia sono anche, probabilmente, il corpus più vasto sulla materia ed è impossibile ignorarle quando si affronta l’argomento.
In realtà, mentre la letteratura paranormale annovera decine di storie di reincarnazione, in campo scettico il numero di casi analizzati puntualmente non è altrettanto vasto: la discrepanza è imputabile al fatto che si tratta quasi sempre di testimonianze verbali, spesso passate per tante bocche e orecchie da non essere più verificabili nella loro versione originaria. Quando sono state condotte indagini specifiche, in tutti i casi sono emerse spiegazioni alternative. A questo si aggiungano anche i due seguenti elementi ricorrenti:
1) il bias positivo dei familiari del presunto reincarnato, di quelli del defunto e anche dei ricercatori del paranormale, tutti desiderosi di confermare la propria ipotesi e quindi predisposti a cadere nel meccanismo dell’apofenia, cioè a cercare un pattern di connessioni;
2) quasi sempre i reincarnati sono bambini, spesso piccolissimi: come possono essere ritenute affidabili le parole, fantasiose e balbettanti, di un bimbo di due anni? Nel caso di bambini più grandi, invece, la possibilità che dicano ciò che gli adulti vogliono sentirsi dire, magari perché sono stati gli adulti stessi – anche in maniera inconsapevole – a orientarli in una certa direzione, è decisamente alta.
Un altro dato degno di nota è che una percentuale piuttosto significativa di reincarnazioni avvengono in zone geografiche e fra popolazioni che, per cultura e religione, credono nella possibilità che l’animi trasmigri: anche nelle ricerche di Stevenson, i protagonisti erano frequentemente Drusi, Indu o Tlingit, al punto che lo studioso ha poi pubblicato European Cases of the Reincarnation Type proprio in risposta a quanti sostenevano che era il retaggio culturale a creare i fenomeni.
1) Shanti Devi
Nata nel 1926 a Delhi, intorno ai 4 anni Shanti Devi cominciò a sostenere di essere in realtà un’altra persona, che viveva a 150 km di distanza, era sposata e aveva dei figli. Nonostante una prima opposizione dei genitori, Shanti perserverò nelle sue affermazioni, e alla fine ottenne che qualcuno andasse a verificare la sua storia nella città di cui parlava, Mathura: si scoprì che effettivamente esisteva un uomo di nome Kedar Nath, il quale aveva perso la moglie nelle circostanze raccontate da Shanti. Il clamore suscitato fu tale da attirare l’attenzione del Mahatma Gandhi, che istituì una commissione di controllo: questa verificò la storia e accompagnò la ragazzina nella città, dove gli ulteriori riconoscimenti effettuati convinsero tutti i membri della veridicità della storia.
Come si vede, è una vicenda che contiene molti dei punti deboli elencati prima: narrata da una ragazzina, riportata da decine di persone, raccontata sui giornali, studiosi e controlli “indipendenti” che trascurano i dettagli contrari alla loro posizione, per esempio tutti quelli riportati nel rapporto del giornalista Bal Chand Nahata, scritto già nel 1936. Oggi, smentirla con precisione è impossibile, visti gli strati di leggenda che si sono depositati sulla storia originaria, ma non è difficile immaginare, ad esempio, che appena giunta a Mathura abbia riconosciuto la casa della sua vita precedente per la piccola folla che si era radunata in attesa del suo arrivo. Inoltre, in seguito indagini più approfondite hanno dimostrato che Shanti aveva avuto modo di vedere il presunto marito prima di riconoscerlo come tale, in quanto si recava a fare acquisti vicino alla casa della bambina, e potrebbe averlo sentito raccontare la triste storia della moglie morta di parto in diverse situazioni.
2) Imad Elawar
Nel 1964 Stevenson era in Libano in cerca di casi di reincarnazione quando si imbatté nella famiglia Elawar, il cui figlio di sei anni, Imad, sosteneva di essere un tale Mahmoud Bouhamzy di Khriby, sposato con Jamilah, rimasto ucciso in un incidente con un camion dopo un diverbio con il guidatore. Dopo lunghe ricerche, Stevenson trovò a Khriby un Ibrahim Bouhamzy, con un’amante di nome Jamilah (o Jamileh, a seconda delle grafie) e un cui parente era stato investito da un camion.
Il caso è interessante perché è uno dei pochi che un autore scettico abbia provato a smentire puntualmente: l’ha fatto il filosofo Leonard Angel sullo Skeptical Inquirer (l’articolo originale non è più disponibile online). Angel punta il dito proprio sull’impossibilità di trovare una situazione che combaciasse perfettamente con le dichiarazioni di Imad, e quindi sull’errore metodologico di Stevenson, che sceglie qualcosa di abbastanza simile e lo adatta alle circostanze.
3) Jennifer e Gillian Pollock
Jennifer e Gillian nacquero circa un anno e mezzo dopo la tragica morte delle loro sorelle maggiori, Joanna e Jacqueline, di 11 e 6 anni, travolte da un pirata della strada nella primavera del 1957. Il dolore dei genitori fu devastante e, quando la moglie rimase incinta di nuovo, il padre dichiarò di aver sognato che le figlie si sarebbero reincarnate nelle gemelle che erano appena state concepite. Secondo le testimonianze dei genitori, fu intorno ai 4 anni che le bimbe cominciarono a dare segno di ricordare una vita precedente, riconoscendo e scegliendo ciascuna la bambola appartenuta alla sorella “corrispondente” (Gillian era la “maggiore” delle due gemelle), oppure chiedendo di andare a giocare in un parco mai visto la prima volta che visitarono Hexhman, la città in cui le sorelle erano state uccise. Una volta, raccontò la madre, le osservò senza essere vista mentre Gillian teneva fra le braccia il capo di Joanna e sussurrava “The blood is coming out of your eyes. That’s where the car hit you” (Stai sanguinando dagli occhi. E’ dove ti ha colpito la macchina). Inoltre Jennifer aveva dei birthmark piuttosto simili a quelli di Jacqueline, che invece non erano presenti sul corpo di Gillian, pur essendo gemelle omozigote.
Il caso delle gemelle è, da un punto di vista scettico, piuttosto esemplare: è completamente e interamente aneddotico, basato sulle testimonianze di due genitori distrutti dal dolore, uno dei quali credeva nella reincarnazione. Non c’è alcun riscontro oggettivo che i segni di Jennifer fossero uguali a quelli di Jacqueline e non è possibile essere certi che davvero nessuno avesse mai parlato delle due sorelle davanti alle bambine, sebbene i genitori abbiano dichiarato di non averlo fatto (stanti le circostanze tragiche in cui erano morte, mi riesce davvero difficile crederlo: possibile che non ci fosse una foto in casa? che i nonni o gli zii o gli amici non le abbiano mai nominate?). Ma i bambini ascoltano molto più di quanto noi adulti a volte ci rendiamo conto, e potrebbero essere bastate poche parole perché, ad esempio, chiedessero di andare “all’altro parco”, oppure, semplicemente i genitori potrebbero aver mal o sovra-interpretato episodi in sé banali, come quando le gemelle si lamentavano del pranzo e la mamma disse loro che, se preferivano, potevano andare a mangiare alla mensa della scuola: una delle due rispose che l’avevano già fatto, a Hexhman. Se qualcuno ha a che fare con i bambini, sa che questa frase non significa nulla. Per la mamma, invece, era un chiaro riferimento a quelle volte in cui Joanna e Jacqueline avevano effettivamente pranzato a scuola.
4) Bridey Murphy
Nel 1952 Morey Bernstein sottopose a una serie di sedute di ipnosi regressiva Virginia Tighe: all’inizio la donna raccontò di una sua vita precedente nell’Irlanda di fine Settecento-metà Ottocento, poi iniziò a parlare con un pesantissimo accento irlandese (che la Tighe non aveva affatto) e a raccontare dettagliatamente la sua infanzia, suo marito, un viaggio da Belfast a Cork, l’antica tradizione di baciare una pietra all’interno del castello di Blarney, fino a rievocare il proprio funerale, con tanto di suono delle cornamuse irlandesi.
Fu un’esperienza eccezionale e Bernstein la raccontò nel libro The Search for Bridey Murphy, che ottenne un’eco vastissima, con l’opinione pubblica che dibatteva animatamente sulla veridicità della storia (ne fu tratto anche un film, ovviamente). E, proprio come nel titolo del libro, in molti si misero in cerca di Bridey, nel tentativo di verificarne l’esistenza. Sebbene alcuni dettagli in effetti corrispondessero, non fu però possibile trovare alcuna traccia di una Bridget (Bridey ne è il diminuitivo) Murphy a Cork nel periodo descritto da Mrs. Tighe.
Fu invece trovata in Wisconsin l’ex dirimpettaia dei Tighe quando Virginia era bambina, che si chiamava Bridie Murphey Corkell. Inoltre fu scoperto che Virginia era figlia di genitori entrambi per metà irlandesi, con i quali era vissuta fino ai tre anni, per poi trasferirsi con lo zio e la sua nuova moglie, tedesca-scozzese-irlandese. C’erano quindi fonti più che vicine alla bambina perché questa sentisse frammenti di racconti, di usanze, di luoghi (per esempio la chiesa che Bridey dichiarava di aver visitato ma che era stata costruita 50 anni dopo la sua morte) e poi semplicemente li dimenticasse.
Certo, è un caso intrigante di ipnosi che avrebbe funzionato e riportato alla luce ricordi sepolti, ma – ammesso che di questo si tratti e non di uno scherzo ben architettato e ben riuscito – non è comunque un caso di reincarnazione, sotto nessun aspetto.
5) Jenny Cockell
A quanto pare, l’Irlanda dell’800 è stata una grande esportatrice di anime reincarnate: dopo Bridey, anche Mary Sutton veniva da quelle zone e si reincarnò in una podologa inglese dal Q.I. superiore alla media (e per questo membro del Club Mensa) di nome Jenny Cockell.
Nel libro autobiografico in cui ha descritto la propria esperienza, Jenny racconta di aver avuto sprazzi di ricordi della vita precedente fin da bambina e di aver sempre sentito con sé il peso del dolore di Mary, la tristezza per i figli perduti con la morte, l’eco di ciò che era e che si proiettava anche nei suoi giochi (amava fare le pulizie, per esempio). Da adulta, ormai sposata e a sua volta madre, i ricordi frammentari tornarono a manifestarsi, perciò decise di mettersi in cerca della sua precedente incarnazione. Visto che i ricordi non erano articolati, ma si trattava di brevi flash, Jenny non aveva idea del cognome di Mary, o del nome del villaggio o dei figli o degli anni in cui si era svolta la sua vita, perciò dovette iniziare una ricerca più alla cieca, che comprese anche alcune sedute di ipnosi rivelatesi poi poco utili per i fini specifici. Comunque, alla fine Jenny riuscì a individuare un villaggio in cui era vissuta a inizio ‘900 una tale Mary Sutton, morta lasciando orfani gli otto figli. Jenny scoprì che alcuni di questi erano ancora in vita e riuscì a contattarli e alla fine persino a incontrarli di persona.
Joe Nickell però ha analizzato la vicenda e ha concluso che si tratta di un bellissimo caso di auto-persuasione: Jenny era una bambina solitaria cresciuta in una famiglia problematica che, come fanno i bambini in questi casi, si è rifugiata in un mondo di fantasia abitato dall’alter ego Mary. Crescendo, è rimasta aggrappata a questa idea di essere speciale e di aver avuto una vita precedente, perciò ha cominciato a cercare qua e là finché non ha trovato qualcosa che potesse quadrare con i pochi e vaghi dettagli a sua disposizione: “Such an approach amounts to drawing a target around an arrow once it has struck something“, un approccio del genere equivale a disegnare il bersaglio intorno alla freccia che è stata scagliata.
Per quanto riguarda l’accettazione da parte dei figli di Mary: stiamo parlando di sessantenni che furono separati violentemente gli uni dagli altri alla morte della mamma, dopo essere cresciuti con un padre alcolizzato. La più piccola, quella per cui Mary morì di parto, non sapeva nemmeno di avere dei fratelli. E’ naturale che rievochino con infinita nostalgia una madre dolce e affettuosa e siano disposti a vederla reincarnata in qualcun altro dopo così tanto tempo, oltre a essere felici di essersi potuti ricongiungere gli uni agli altri.
6) Cameron Macaulay
Noto anche come The Barra Boy, dal nome dell’isolotto in cui dichiarava di aver vissuto una vita precedente, Cameron è stato oggetto di studio dell’allievo di Ian Stevenson, Jim B. Tucker.
Nato e cresciuto a Glasgow, Cameron ha sostenuto fin da piccolo di ricordare una propria vita precedente, sull’isola di Barra, dove viveva in un cottage bianco vicino al mare, da cui poteva vedere gli aerei che atterravano sulla spiaggia e dove suo padre, Shane Robertson, era morto in un incidente d’auto. Finalmente, intorno ai sei anni d’età, Tucker organizzò per Cameron un viaggio a Barra, che si sarebbe trasformato in un documentario con cui riprendere dal vivo le sue reazioni una volta giunti lì e verificate le affermazioni. E in effetti furono in grado di trovare un cottage bianco vicino alla spiaggia usata come pista d’atterraggio, ma non c’era nessuno di nome Robertson nella zona. Tuttavia, alcune ricerche successive permisero di scoprire che negli anni ’60-’70 una famiglia con quel cognome era effettivamente stata lì (in vacanza?) e possedeva un cane, bianco e nero come quello descritto da Cameron.
Ancora una volta, come si vede, non ci allontaniamo dal quadro tipico: racconti di un bambino piccolissimo (la madre di Cameron sostiene che abbia iniziato a parlare di Barra intorno ai 2 anni), genitori e ricercatori che cercano di dare un senso logico, esaltando ogni corrispondenza con la realtà e ignorando le lacune, anche quando siano molto più significative delle prime, sottovalutando le cose assurde che riescono a dire i bambini e soprattutto non prendendo in considerazione l’ipotesi che siano potuti venire a conoscenza degli elementi centrali della storia da qualche altra parte.
Nel caso di Cameron, ad esempio, qualcuno potrebbe avergli raccontato di questo posto magico con le case bianche e gli aerei che atterrano sul mare, oppure potrebbe aver sentito/visto la notizia di un ragazzo trasportato per via aerea in ospedale dopo un incidente d’auto. Dopotutto, le uniche affermazioni che hanno trovato riscontro nella realtà sono state quelle geografiche e locali (la pista d’atterraggio sulla spiaggia, che è peraltro piuttosto famosa, o la descrizione della casa); la famiglia di cui Cameron diceva di far parte, invece, non era composta di 7 figli (lui sosteneva di avere 3 fratelli e 3 sorelle), il padre non si chiamava Shane e non era morto in un incidente d’auto.
5) James Leininger
Prima storia raccontata nel programma televisivo americano The Ghost Inside My Child, che ha raccolto qualche dozzina di testimonianze di famiglie in cui i bambini hanno dichiarato e “dimostrato” di aver avuto una vita precedente. E’ uno show veramente di basso livello, con una musica fastidiosa e ridondante e un montaggio da far rabbrividire, tuttavia le storie sono sempre raccontate in maniera “credibile” e alcune volte anche intrigante (sempre nel primo episodio, per esempio, la seconda bambina ricordava di essere stata una delle vittime degli attentati di Oklahoma City, il terzo di essere stato uno dei jumper delle Torri Gemelle). Quella di James, inoltre, era già piuttosto celebre, risaliva a diversi anni prima, perciò la trasmissione ha più che altro fatto una sintesi degli eventi e aggiornato gli spettatori in merito ai più recenti sviluppi.
Intorno ai due anni, James cominciò ad avere terribili incubi che lo facevano svegliare urlante e in lacrime. Quasi contemporaneamente, sviluppò un’enorme passione per gli aerei, soprattutto quelli da guerra, di cui sapeva molto più di quanto fosse possibile attendersi da un bambino così piccolo e in una famiglia assolutamente non coinvolta in tematiche del genere. Con il tempo, James cominciò a descrivere più dettagliatamente gli incubi e, a poco a poco, grazie a lunghe ricerche e all’aiuto di Carol Bowman, i genitori riuscirono a ricostruire la sua vita precedente, nella quale era stato il pilota d’aerei della Seconda Guerra Mondiale James Huston, caduto in missione a Chichi Jima a bordo del suo FM2 Wildcat. Alla fine, i Leininger, che nel frattempo avevano creato anche un sito internet per mettere in contatto le famiglie che vivevano esperienze del genere, riuscirono a risalire all’ultima parente in vita di James Huston, l’84enne sorella Anne, che fu ben felice di conoscere, finalmente, i dettagli della sorte dell’amato fratello.
Come sempre, con un minimo di fact-checking, qualche elemento dell’incredibile vicenda comincia a traballare: gli incubi di James sono infatti cominciati, secondo la testimonianza dei genitori, alcuni mesi dopo una lunga visita al Cavanaugh Flight Museum di Dallas, dove era esposto un esemplare di Corsair, l’aereo che per tutto il tempo James ha dichiarato essere il suo (Huston è invece precipitato a bordo di un Wildcat). Visto il crescente interesse per gli aerei i genitori cominciarono a regalargli giocattoli e libri a tema, dal che si spiegherebbero le straordinarie conoscenze in materia (i bambini sanno essere piuttosto ossessivi, quando si appassionano a qualcosa), così come la sempre maggiore convinzione di trovarsi di fronte a una reincarnazione può averli portati a condizionare le risposte del bambino. L’aver trovato un pilota della Seconda Guerra Mondiale che si chiamava James proprio come il figlio… beh, appunto, si chiamano James, non Assurbanipal.
Tutti gli altri dettagli, ancora una volta, sono arrivati in un arco di tempo così lungo e attraverso interpretazioni e trasposizioni da non essere né verificabili né credibili: per esempio, James avrebbe chiamato i suoi G.I. Joe come i tre amici del pilota, addirittura avrebbe coinciso il colore dei capelli. Ma noi non sappiamo se i tre soldati con quei nomi che effettivamente facevano parte dello squadrone fossero amici di Huston, né tantomeno se James abbia chiamato i giocattoli così prima o dopo aver avuto accesso ai registri, o se per caso non siano stati i genitori a dirgli “Ehi, guarda che bei soldati, non sembrano proprio gli amici di Huston?”. In realtà, non sappiamo nemmeno se James abbia mai avuto dei G.I. Joe.
Il fatto di doverci basare soltanto su testimonianze verbali, di nuovo, inficia da solo l’intera testimonianza.
Nota dell’autore: Durante le ricerche per questo articolo, un 3enne di mia conoscenza ha chiesto almeno due volte alla mamma se sentisse piangere il bambino che stava lì fuori (al terzo piano). Dopo un paio di brividi gelati lungo la schiena e una veloce consultazione mentale di tutto lo scibile in materia di bambini ESP, si è fatto strada un dubbio: con una serie di domande ben mirate, si è potuto quindi verificare che a piangere era Bubu, il furetto bebé amico di Topo Tip, rimasto in giardino da solo perché Tip non l’aveva lasciato smangiucchiare i suoi giocattoli. No, per dire che a volte i bambini vanno interpretati.