A che punto è la notte 9 – Mysteri Rock
Con questa rubrica facciamo il punto sui mysteri di vecchia data, che esercitano ancora tutto il loro fascino pur essendo già stati smentiti e razionalmente spiegati. Oggi parliamo della “musica del diavolo”.
I mysteri rock non sono poi così tanti come uno si aspetterebbe.
La cosa non è del tutto sorprendente: le rockstar mediamente ne combinano tante e tali da sole che di margine per inventare storie e leggende non ne rimane molto.
Certo, ci sono i pettegolezzi, di quelli son pieni gli archivi di esperti ed appassionati: Mick Jagger pescato a letto con David Bowie; a Gene Simmons trapiantano un lingua di mucca; Keith Richards si sottopone a trasfusioni complete di sangue per poter continuare a drogarsi senza conseguenze; Elvis è vivo; Freddie Mercury prendeva in giro Sid Vicious; Linda Perry delle 4 No Blondes inizia a comporre What’s up mentre la bassista fa sesso nella stanza accanto, ma la canzone è così bella che la coinquilina pianta il partner in asso per correre di là a sentire; Deborah Harry è convintissima di essere scampata per un soffio al serial killer Ted Bundy; l’album dei Pink Floyd The Dark Side of the Moon è perfettamente sovrapponibile al film de Il mago di Oz… potremmo continuare per ore.
C’è anche il filone satanico, quello è piuttosto consistente: si narra di patti col diavolo siglati all’angolo della strada, che garantiscono il successo eterno anche se fino a poco tempo prima non sapevi nemmeno tenerla in mano, una chitarra. Tu racconti di aver preso lezioni da un misterioso bluesman di nome Ike Zinnerman, che suonava fra le lapidi del cimitero, ma chi ammetterebbe di aver venduto l’anima per poter scrivere canzoni? E in effetti, Robert Johnson non aveva mai mostrato un particolare talento con la chitarra prima di tornare da quel viaggio dopo il quale praticamente inventò il blues per come lo conosciamo. Su di lui le informazioni non sono sempre precise e puntuali, per esempio solo recentemente è stata localizzata la sua tomba, ma non è ancora chiaro come sia morto. Si sa però che al momento del decesso aveva 27 anni.
Il che lo rende il capostipite del cosiddetto Club dei 27, dove si raccolgono tutti i musicisti morti giovanissimi, tutti alla stessa età. In realtà, la nascita “ufficiale” del club è datata a 30 anni dopo, quando, fra il 1969 e il 1971, morirono uno dopo l’altro Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison: il primo annegato, il secondo soffocato, la terza per overdose, il quarto per attacco cardiaco. Giovani e all’apice del successo negli anni d’oro del rock. Qualcuno cominciò a parlare di questa strana coincidenza, l’età, le iniziali (il Club J27, si dice anche), ma poi, nel 1994, Kurt Cobain si suicidò sparandosi in bocca. Aveva 27 anni ed era all’apice del successo. E fu solo allora che la maledizione divenne nota a tutti. Nel 2011, infine, la stessa sorte toccò ad Amy Winehouse, per alcol. Forse.
Sì, forse, perché le morti del Club dei 27 sono doppiamente maledette: di alcune (Brian Jones ed Amy Winehouse) non è mai stata chiarita la dinamica; di altre si vocifera siano state usate per coprire altre verità, per esempio una fuga lontano dalla fama per continuare a vivere senza più rendere conto allo show-biz; di altre viene incolpata trasversalmente la moglie (il mondo ama molto poco Courtney Love, ai tempi sposata con Cobain). Rimane il fatto che il numero di artisti colpiti dalla maledizione è piuttosto alto, è vero, ma non molto più di quelli morti prima o dopo i 27 anni. Lo dice il British Medical Journey, ma lo dice qualsiasi (ivi compresi quelli “di parte”) elenco di morti rock: anche i 32enni non stanno messi bene, per dire.
Senza contare la tendenza a negare le morti reali e sostenere invece che sia morto chi è ancora vivo, vegeto e continua a cantare. E qui si arriva al grande mystero del rock, che va avanti da quasi cinquant’anni e che nemmeno il diretto interessato riesce mai a smentire.
Si narra infatti che all’alba del 9 (o 11?) novembre 1966 Paul McCartney rimase coinvolto in un incidente stradale e morì sul colpo. Raggiunti dalla notizia, il manager Brian Epstein e gli altri Beatles decisero di tacere al mondo la morte del cantante e di cercare la maniera di sostituirlo, senza mai far sapere niente a nessuno. Fu così che i Beatles annunciarono il loro ritiro dalla scena live e la loro intenzione di dedicarsi da quel momento in poi solo alle registrazioni in studio. Poco più di sei mesi dopo, fan e critici rimasero attoniti nell’ascoltare il nuovo LP: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band segnò una svolta decisiva in quella che era già stata di suo una delle più grandi rivoluzioni del rock. Dalle canzonette più o meno orecchiabili, si era passati a brani di articolata complessità come A Day in the Life o Lucy in the Sky with Diamonds, e i dischi successivi furono ancora più sconvolgenti, in particolare il cosiddetto White Album. Se non vi è mai capitato di ascoltare Revolution 9 vi consiglio caldamente di provare l’esperienza: la ripetizione incessante delle parole “number nine” sullo sfondo di rumori e sussurri è una di quelle sensazioni difficili da dimenticare.
Che spiegazione dare a un cambiamento così drastico in meno di un anno? Ovvio: l’operazione di insabbiamento era riuscita, i Beatles superstiti ed Epstein avevano trovato qualcuno con una voce simile e un grandissimo talento. Per mostrarlo in pubblico, l’avevano scelto di suo già piuttosto somigliante e poi era bastata un po’ di chirurgia plastica. Sarà mica stato un caso che proprio in quel periodo i Fab Four abbandonarono il look da bravi ragazzi e si trasformarono in capelloni barbuti, no?
Dopo Sgt. Pepper, i Beatles pubblicarono altri 5 dischi, entrati tutti a vario titolo nella storia del rock, ma a gennaio del 1970, dopo un ultimo epocale concerto sul tetto degli studi di registrazione a Abbey Road, annunciarono il definitivo scioglimento. Tre mesi prima, il 12 ottobre del 1969, una telefonata anonima alla stazione radio WKNR-FM aveva rivelato al DJ in onda la sconvolgente verità: Paul era morto, era stato sostituito, e i Beatles avevano confessato l’inganno seminando allusioni in tutti i loro album successivi. Nasce così la leggenda metropolitana nota come PID, Paul is Dead e la caccia ai presunti indizi del complotto.
La sola copertina del Sgt. Pepper ne contiene almeno una dozzina, per esempio una composizione di fiori che riproduce il basso di Paul con solo tre corde, o le dita di George che sul retro indicano il verso di A Day in the Life corrispondente alla presunta ora della morte (la versione ufficiale vuole invece che si riferisca all’incidente di cui era rimasto vittima l’amico Tara Browne). Ma soprattutto c’è l’indizio della grancassa, vale a dire la scritta Lonely Hearts al centro della copertina che, se divisa a metà con uno specchio, comporrebbe le frasi “1 One 1” e “He die”.
E così via per decine di altre stranezze. Per esempio, ogni volta che c’è un’anomalia nella simmetria di un’immagine, nell’omogeneità di costumi, posizioni, colori, potete star sicuri che riguarda Paul: l’unico a indossare un fiore nero quando gli altri ce l’hanno rosso, l’unico ad avere uno sfondo diverso sulla copertina di Let it be, l’unico ad essere girato di spalle…
Oppure: perché c’è tanto mistero su chi indossasse il costume del tricheco nel video I am the walrus? Lo stesso video in cui sullo sfondo passa un’Aston Martin che, per un gioco di prospettive, sembra colpire la testa di Paul?
Ancora: Paul sarebbe stato sostituito da tale William Campbell. Nel brano d’apertura di Sgt. Pepper viene presentato all’immaginario pubblico dello show un tale Billy Shears. O forse volevano dire Billy’s here?
E poi: perché nel booklet con le immagini del film del Magical Mistery Tour davanti a Paul vestito da militare c’è una targhetta identificativa con scritto I was?
O anche: alcune frasi di dubbia interpretazione sono state abbastanza forzate nel senso utile ai fini della PID (John Lennon era sufficientemente scanzonato da dire cranberry sauce alla fine di Strawberry Fields e non, come ritengono in molti,”I buried Paul”, ho seppellito Paul), però posso garantire personalmente che in Revolution 9 ascoltata al contrario si sente davvero qualcosa che suona molto, molto, molto simile a “Get me out! Get me out!” dopo lo schianto di un’auto e un coro che ripete “Paul is dead”. (Il discorso dei messaggi al contrario nel rock meriterebbe un capitolo a parte, tra l’altro.)
Ancora: la copertina di Abbey Road è un funerale, John è il pastore, Ringo l’impresario delle pompe funebri e George, ultimo, il becchino. Paul cammina con passo diverso rispetto agli altri, ed è scalzo, nonostante fosse una giornata calda e l’asfalto a piedi nudi non sia piacevole.
Se non bastasse, ci sono fuori scena e video anche recenti in cui Paul imbraccia il basso da destro anziché da mancino qual è o si alza in piedi per salutare una persona entrata in studio e si presenta come William, per correggersi una frazione di secondo dopo. E che cosa si può dire dello stemma araldico che si è fatto disegnare il loro produttore George Martin nel 2004 e che, fra gli altri simboli, riporta tre scarabei?
Alcuni anni fa, infine, due italiani hanno condotto uno studio biometrico su un certo numero di fotografie antecedenti e successive alla data della presunta morte, e avrebbero dimostrato che la possibilità che si tratti di due persone diverse non si può escludere del tutto.
La quantità di indizi “plausibili” (la cui rassegna completa è davvero sorprendente, e la potete trovare nel consiglio di lettura della settimana) che sembra possibile individuare nella produzione successiva al 1966 è un po’ troppo significativa per poterla imputare unicamente alla casualità. La spiegazione più razionale è che i propugnatori della leggenda non hanno ri-costruito la vicenda a partire dagli indizi, ma l’abbiano costruita da zero inserendovi man mano quello che credevano di ravvisare. Post hoc, ergo propter hoc. In questo modo si spiegherebbe ad esempio l’incredibile coincidenza per cui Paul sarebbe morto dando un passaggio a un’autostoppista che si chiamava come la protagonista di una loro canzone (Lovely Rita).
Ma una seconda scuola di pensiero propone invece un’ipotesi un po’ meno prosaica e che ben si sposa con lo spirito di quegli anni: si è trattato in realtà un’articolatissima, brillantissima burla messa in piedi proprio dai Fab Four, che partendo magari dalle prime coincidenze individuate da qualcuno, hanno deciso di stare al gioco e strizzare l’occhio ai propri fan (in merito alla storia del tricheco, per esempio, Lennon nel White Album dice esplicitamente “ecco un altro indizio per voi”, ed è noto come lui in particolare fosse un grande appassionato di giochi di parole, meta-testualità, non-sense, etc.).
Dopotutto, la telefonata anonima che avrebbe rivelato la notizia risale a tre mesi prima dello scioglimento ufficiale, potrebbe essere stato un modo per chiudere in bellezza e dare vita a una nuova leggenda.
Ci si può chiedere perché, in tanti anni, nessuno dei membri abbia mai rivelato che si è trattato appunto di uno scherzo, ma le motivazioni possono essere diverse e imperscrutabili: per esempio, la morte violenta di Lennon o i rancori e le tensioni accumulati negli ultimi anni insieme potrebbero aver tolto il gusto al gioco, oppure potrebbe esserci un accordo segreto per cui la Great Hoax potrà essere svelata solo quando tutti i membri non ci saranno più. O semplicemente non ne sentono la necessità, trattandosi di un ulteriore alone di mito sulla propria storia già leggendaria e soprattutto essendo una storia divertente ma anche innocua; sir Paul stesso ci ha scherzato sopra in più occasioni arrivando a intitolare un suo album da solista Paul is live.
Da qui a dire che “Macca” è davvero morto il 5 novembre (data oltretutto molto simbolica per gli inglesi) del 1966 ed è stato sostituito dal poliziotto canadese Billy Campbell ce ne passa. Come tutte le teorie del complotto, anche la PID risente degli stessi punti deboli di sempre: assenza completa di prove, necessità di comprare il silenzio di un numero sterminato di persone, mai nessuno che si lasci scappare qualcosa (e no, non è vero che Ringo Starr ha confessato poche settimane fa)… Come se non bastasse, in questo caso, dovremmo credere alla possibilità che in meno di sei mesi non solo sia stato trovato un sosia, ma che questi fosse persino più talentuoso di un predecessore che di suo era già stato un genio, e abbia convinto la band più famosa del pianeta a cambiare completamente stile e musica. Davvero troppo, persino per il rock.
Personalmente credo che nemmeno se si sottoponesse alla prova del DNA Sir Paul riuscirebbe a convincere i seguaci della PID. E’ che certi mondi si autoalimentano del proprio mito, l’idea che il destino sia segnato e quindi si debba vivere in fretta è irresistibile, l’eternità promessa da un riff di chitarra ben riuscito rende allettante una passeggiata nella zona oscura, e anche questo contribuisce al fascino che il rock esercita su tutti noi. Sarà anche la musica del diavolo, but we like it.
Posso fornire una piccolissima testimonianza su un esperimento che feci anni fa.
Premetto che avevo sempre ritenuto la storia dei messaggi “satanici” negli LP una bufala, ma decisi di verificare.
Uno dei brani piu’ “indiziati” e’ Stairway to Heaven dei Led Zeppelin. Ho proceduto come segue:
sono partito dal doppio Cd “REMASTERS”, ed ho estratto la traccia in questione convertendola in formato .wav. Dopodiche’, con un semplicissimo programma di editing audio, ho isolato la parte “Incriminata”, ed ho effettuato il “reverse”, ovvero ho capovolto il suono. Dopodiche’ mi sono messo all’ascolto. Non avevo grosse speranze, anche perche’, da profano, non ero sicuro che un eventuale messaggio nascosto fosse sopravvissuto alla trasposizione dal master originale analogico degli anni 70 al cd digitale.
Ricordo ancora benissimo l’attimo di shock quando ho nitidamente sentito le parole “my sweet Satan”. Ho poi trascritto numerose frasi, per poi confrontarle con quelle presenti in rete (che, vorrei sottolineare, non avevo consultato prima di questa prova). C’era una notevole concordanza; in alcuni punti le interpretazioni variano notevolmente, a causa delle distorsioni nel suono, e qui e’ facile chiamare in ballo la “pareidolia audio”.
Come controllo, ho ripetuto la procedura con altri brani di altri dischi, presi a caso, e non ho mai riscontrato nulla di minimamente paragonabile alle 10/12 frasi che ho sentito in Stairway to Heaven.
Per concludere, posso affermare che chiunque vorra’ ripetere la prova descritta (avendo un minimo di conoscenza dell’inglese), non potra’ che trarne la conclusione che sono effettivamente presenti testi “nascosti” nel brano in questione. Il che, ovviamente, non significa nulla: una burla, o un espediente pubblicitario.
Tuttavia non credo sia possibile liquidare come bufale tutte le storie riguardanti i presunti messaggi nascosti nei dischi, come l’autore dell’articolo ha giustamente osservato a proposito del brano dei Beatles.