W le vacanze! – politici incompetenti e interventi a vanvera
Articolo tratto da Query 21 – Un viaggio nel paranormale religioso.
Il 23 marzo 2015, intervenendo a un convegno dal titolo “Giovani, crescita, occupazione per il futuro della Toscana” presso il Palazzo dei Congressi di Firenze, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti ha dichiarato:
«Un mese di vacanze va bene. Ma non c’è obbligo di farne tre. Magari uno potrebbe essere passato a fare formazione … I miei figli d’estate sono sempre andati al magazzino della frutta a spostare le casse. Sono venuti su normali, non sono speciali».
Appena ho appreso la notizia dai giornali, confesso di essere stato colto da una profonda indignazione. La stessa indignazione che ha motivato gli accesi dissensi espressi da buona parte del mondo della scuola (primi tra tutti gli studenti, ma anche presidi e docenti), da diverse organizzazioni sindacali e da molti altri.
Avevo pertanto deciso di dedicare al tema “vacanze” la mia prossima rubrica di Query. Pochi giorni dopo mi è capitato di leggere un articolo scritto dall’insigne linguista Tullio De Mauro (già ministro della Pubblica Istruzione e intellettuale da sempre attento ai temi della scuola) dal titolo “Quando la scuola è in vacanza”, pubblicato da Internazionale1. Come talvolta mi capita, ho trovato l’articolo scritto così bene e talmente condivisibile che avrei voluto scriverlo io. L’articolo è disponibile on-line e invito pertanto tutti ad andare a leggerlo. Di seguito cerco di fare una sintesi dei punti fondamentali, riportandone ampi stralci. De Mauro inizia il suo pezzo cercando di «dire il più brevemente possibile, per tratti essenziali, qual è il quadro della scuola italiana oggi»:
«oltre 9 milioni di alunne e alunni dall’infanzia all’adolescenza e prima giovinezza; quasi un milione di dipendenti pubblici al lavoro come tecnici, amministrativi e insegnanti distribuiti in categorie diverse per materie di insegnamento e per tre o forse quattro ordini o gradi o livelli di scolarità; oltre diecimila istituti, sparsi in un numero ben maggiore di edifici in altissima percentuale fuori norma e vetusti; un dedalo di canali di studio mediosuperiori, oltre venti (anche dopo il prosciugamento introdotto da Maria Stella Gelmini); assai diversa efficienza degli apprendimenti nelle diverse regioni del paese e nei diversi livelli, dalla molto buona efficienza delle scuole dell’infanzia e primarie alla mediocrità di risultati delle secondarie superiori; fenomeni persistenti di disaffezione e abbandono degli alunni; natura assai composita e tutta da rivedere nei meccanismi di formazione e selezione dei diversi tipi di insegnanti, a non parlare dei presidi; riduzione del numero e del fondamentale ruolo degli ispettori centrali; carenza cronica di attrezzature bibliotecarie, laboratoriali, sportive e di risorse finanziarie; impatto disordinato degli sviluppi dei campi del sapere sui contenuti degli insegnamenti; scarsa stima sociale per la lettura, lo studio, la cultura intellettuale e, quindi, per gli e le insegnanti; riflessi inevitabili dei bassi livelli di competenza della popolazione adulta (ultima o penultima in Europa) sul cammino scolastico (torniamo a loro) di alunne e alunni».
Mirabile sintesi, sia pure un tantino deprimente. De Mauro commenta poi l’intervento del ministro con queste parole:
«Il rapporto tra gli apprendimenti scolastici e le attività pratiche, operative, di cui anche l’esperienza del lavoro sotto padrone può essere una parte, è un tema serio. Un ministro, specie quello del lavoro, non dovrebbe ridurlo alla vicenda dei suoi figli verdurai in vacanza né al tema delle vacanze. Ma così ha fatto e la cosa ha fatto notizia. L’eccesso di vacanze della nostra scuola è un luogo comune ricorrente. È fondato?»
Per rispondere al quesito, De Mauro illustra la situazione “vacanze” di diversi paesi europei, così come risulta da una pubblicazione della rete europea Eurydice2. Questa è la durata delle vacanze estive dei vari paesi, in ordine decrescente:
13 settimane Lettonia, Lituania, Turchia
12-13 settimane Italia
12 settimane Cipro, Estonia, Grecia, Portogallo
11 settimane Ungheria, Croazia, Spagna
10-11 settimane Finlandia
10 settimane Svezia
9 settimane Austria, Belgio, Irlanda,
Regno Unito-Irlanda del Nord,
Repubblica Ceca, Francia
8 settimane Norvegia
7 settimane Danimarca
6 settimane Germania, Liechtenstein,
Paesi Bassi, Regno Unito-Inghilterra
e Galles
De Mauro fa però notare che in molti paesi, in cui la durata delle vacanze estive è minore, vi sono molti altri periodi di sospensione delle attività didattiche durante l’anno (Natale, Carnevale, Pasqua, ecc.), spesso di gran lunga più lunghi dei corrispondenti periodi di vacanze delle scuole italiane. Come egli stesso afferma:
«il risultato è che nei paesi europei in generale la somma complessiva di giorni di vacanza nell’anno è di 120 giorni circa e quindi circa 185 sono i giorni di scuola. Ma alcuni paesi restringono i giorni complessivi di vacanza e toccano i duecento giorni di scuola: Danimarca, Liechtenstein, Paesi Bassi e Italia».
De Mauro inoltre osserva che non basta conteggiare i giorni di lezione, occorre anche tenere conto della durata dell’«ora di lezione» che in molti paesi europei varia da 40 a 45 minuti, mentre in Italia è per legge di 60 minuti (se si accorcia per qualche motivo, occorre effettuare recuperi).
Dall’esame di questi dati De Mauro deduce:
«Chi ha avuto pazienza di seguire l’esposizione capisce che una cosa non può e non dovrebbe dirsi: che l’Italia si segnali per un eccesso di vacanze scolastiche e per un difetto di durata complessiva del tempo scuola».
A questo punto nasce quindi spontaneo chiedersi: ma i nostri ministri, prima di parlare, si documentano? Evidentemente no.
Il buon De Mauro conclude poi il suo articolo con sagge considerazioni sul fatto che il fattore “quantità” significa ben poco in ambito didattico:
«Lo spiegava tanti anni fa Aldo Visalberghi3 e, come altri suoi insegnamenti, anche questo merita d’essere ricordato. Il fattore qualità domina sul fattore quantità e il fattore qualità è dato anzitutto dalla qualità degli insegnanti, cioè dalla loro adeguata formazione e reclutamento e dalla loro motivazione largamente dipendente dalla stima sociale che vien loro assegnata. Chi blatera sugli insegnanti sfaccendati e privilegiati dalle troppe vacanze non soltanto dice sciocchezze ma, contribuendo ad abbassarne la stima sociale, concorre alla loro demotivazione e danneggia quindi l’intero sistema dell’istruzione».
Infine De Mauro si sofferma sul valore educativo delle attività pratiche:
«Seconda e ultima considerazione. Non si spiegherà mai abbastanza che un solido apprendimento non può essere un apprendimento verbalistico, ripetitivo di formule e discorsi, ma deve essere operativo, consistere e mettersi alla prova non nel ripetere, ma nel fare, e possibilmente nel fare in modo nuovo cose nuove e utili.
Su questa via le scuole possono incontrare utilmente anche attività di lavoro purché ciò avvenga all’interno di un progetto educativo. Che hanno ricavato di conoscenze e competenze i ragazzi di Giuliano Poletti dagli spostamenti estivi di cassette del fruttarolo, ortolano, erbivendolo, erbaiolo o come altrimenti si dica?»
Dell’importanza del fare nei processi educativi (learning by doing) ci occuperemo però in una prossima rubrica.
Note
Aggiungiamo un punto che De Mauro non cita (o lei non riporta, non so): in molti paesi (come la Germania dove vivo) si va a scuola dal lunedì al venerdì, in Italia quasi ovunque dal lunedì al sabato.
Gentile Mauro, grazie per l’osservazione. De Mauro, nel suo articolo, affronta il problema da Lei sollevato e dice testualmente: “La settimana scolastica è in generale di cinque giorni con esclusione quindi del sabato, è di quattro giorni in Francia, di sei in Italia e in alcuni Länder tedeschi”. Io, per questioni di spazio, ho sorvolato la questione. Diverse scuole italiane, tuttavia, adottano la settimana corta di cinque giorni (in certe regioni è diventato obbligatorio per questioni di risparmio energetico). Naturalmente le mancate ore del sabato sono ridistribuite sugli altri giorni, mantenendo invariato il monte ore settimanale.
Quel che temo io invece non sono le vacanze, ma la qualità dell’insegnamento quando si preferisce attribuire più importanza a religioni, concetti mistici e sciocchezze varie piuttosto che fatti, ragione e misure…..non lamentiamoci se poi troviamo migliaia di persone che non sanno lavorare e ragionare, sono il frutto di docenti, fucine di sciocchezze assortite, che il ministero non seleziona e controlla adeguatamente.
Consiglierei al ministro di concentrarsi su cose serie piuttosto che sul conto dei giorni di scuola da circo e oratorio attuale.
Temo per il futuro di questo Paese, quando saremo vecchi e dovremo usare le competenze altrui per risolvere i problemi……temo e molto.
Sembra che i nostri ministri (chi più chi meno) non riescano ad esimersi dallo sparare boiate. Ovviamente, i ministri ed i loro compari possono permetterselo perché purtroppo non c’è una ribellione dell’opinione pubblica che li costringa a dimettersi quando lo fanno. Temo che l’opinione pubblica non sia sufficientemente “educata” da ribellarsi quando un’autorità spara boiate. Ben vengano quindi siti come Query o organizzazioni come il CICAP che hanno come missione non tanto la divulgazione, ma direi piuttosto il far ragionare la gente. Magari vi conoscessero tutti!