A che punto è la notte

A che punto è la notte 12 – Mysteri del mare

Con questa rubrica facciamo il punto sui mysteri di vecchia data, che esercitano ancora tutto il loro fascino pur essendo già stati smentiti e razionalmente spiegati. Oggi parliamo di fantasmi e sparizioni sul mare.

Mentre scrivo questo pezzo, fuori dalla cella frigorifera in cui ho cercato sollievo ci saranno circa 36 gradi, le ferie sono comunque troppo lontane e dalla finestra si vede sempre quello spicchio di cielo dove i palazzi cominciano ad essere più bassi, la città a sfumare e io so che lì dietro si nasconde il mare.

E’ estate, insomma, e siamo esattamente a metà di questa serie di articoli. Perciò non potevo proprio esimermi dal dedicare il numero 12 alle storie del mare, che poi, in qualche maniera, sono anche quelle da cui tutto è cominciato, come si diceva tempo fa. Da bambina, la foto dei fantasmi della S.S. Watertown mi terrorizzava, avrò passato ore a guardarla e riguardarla e, a giudicare da quel che racconta qui il ricercatore che è riuscito a debunkarla, non sono stata la sola (il link all’articolo con l’analisi non è più attivo, una buona sintesi è questa).

Oggi che sono più grandicella e ho scoperto di soffrire il mal di mare pure sulle gondole (tristemente true story, non è stata un’esperienza piacevole), l’interesse verso le navi fantasma è un po’ sfumato, ma in compenso è subentrata la fascinazione per i fari, con il loro carico di solitudine e imponenza. Mi sarei aspettata molti più misteri intorno a quegli isolotti e promontori dove può accadere praticamente di tutto senza che ce ne si accorga per lunghissimo tempo, ma forse ho letto troppi romanzi di Stephen King e amato troppo le prime tre stagioni di Haven.

1) Gli equipaggi scomparsi

Il vascello fantasma più celebre in assoluto è probabilmente l’Olandese Volante, che dal 1700 continua incessante a solcare i mari con il suo equipaggio di spettri. Ma un gran numero di storie riguardano invece marinai scomparsi nel nulla senza che fosse possibile ricostruire a quale sorte fossero andati incontro: fra queste, le tre più famose sono strettamente collegate fra di loro, sovrapponendosi l’una all’altra e mescolando indissolubilmente realtà e leggenda.

 L’Ourang Medan – posizionata addirittura al primo posto fra i vascelli fantasmi dal sito di Top 10 per eccellenza – era un mercantile olandese che fra la metà del 1948 e l’inizio del 1949 (le fonti su questo punto sono discordanti, sebbene il primo resoconto, riportato negli Atti del Consiglio della Marina Mercantile Inglese, dichiari giugno 1947) lanciò un inquietante S.O.S., in codice Morse: “We float. All officers including the Captain, dead in chartroom and on the bridge. Probably whole of crew dead” (Siamo alla deriva. Tutti gli ufficiali, compreso il Capitano, giacciono morti in sala nautica e sul ponte. Probabilmente l’intero equipaggio è morto). A questo seguirono linee e punti confusi e indecifrabili, e poi le parole “I die”.

Quando una delle due navi americane che avevano raccolto la richiesta d’aiuto riuscì a raggiungere il relitto dell’Ourang Medan, trovò in effetti l’equipaggio morto in diversi punti del vascello e il marinaio che aveva lanciato l’SOS ancora seduto con le dita sul telegrafo: tutti gli uomini erano sdraiati a guardare verso l’alto, sul volto un’espressione di orrore e sofferenza, e non vi erano ferite visibili su nessuno dei corpi. Poco dopo, scoppiò un incendio a bordo, e l’equipaggio della soccorritrice Silver Star fu costretto a fuggire e assistere impotente all’inabissarsi del cargo olandese, cosa che rese impossibile condurre ulteriori indagini su quanto fosse veramente accaduto. Resoconti successivi narrano di un unico superstite che, spirando, avrebbe rivelato a un missionario che la nave trasportava acido solforico e sarebbe stata una fuoriuscita di questo a uccidere gli altri marinai. In effetti, un avvelenamento collettivo potrebbe spiegare l’assenza di ferite e i volti distorti con le bocche aperte, ma rimane sempre quel piccolo dettaglio che sui registri ufficiali non è mai stata registrata una nave rispondente al nome Ourang Medan, i riferimenti alla Silver Star la collocano su una rotta diversa rispetto a quella dove avrebbe rinvenuto il relitto, e a parte gli Atti del Consiglio Mercantile la storia non è riportata in nessun’altra fonte ufficiale.

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Incisione da Wikimedia Commons, pubblico dominio

Un’ipotesi piuttosto solida è che la leggenda abbia mescolato casi simili avvenuti in epoche non troppo precedenti, ingigantendo eventi di poco conto o mai avvenuti. Naturalmente, questo non scoraggia i soliti alternativisti, che sostengono che la nave viaggiasse sotto falso nome perché trasportava qualcosa di proibito o illegale, forse proprio la sostanza che ha causato l’avvelenamento.

Con ogni probabilità, la storia vera su cui si fonda la leggenda è quella della  Mary CelesteSi trattava di un brigantino che nel 1872 avrebbe dovuto percorrere la tratta da New York a Genova, ma fu trovato alla deriva un mese dopo da un altro mercantile. Saliti a bordo per cercare di capire cosa stesse succedendo, i marinai non trovarono nessuno, né l’equipaggio, né il capitano, né sua moglie e la loro bambina, ma era chiaro che la nave era stata abbandonata in fretta e furia, c’era ancora – secondo il resoconto del ritrovamento pubblicato nel 1884 – della zuppa calda in un piatto e un sigaro acceso. La Mary Celeste fu ricondotta in porto insieme alla nave soccorritrice, ma nessuno riuscì a svelarne il mistero. Fra il 1913 e il 1929 furono pubblicate due presunte testimonianze di sopravvissuti alla tragedia, con due spiegazioni completamente diverse: nella prima, equipaggio e passeggeri erano stati divorati dagli squali, nella seconda, il capitano era stato ucciso dai suoi marinai che poi si erano separati ed erano fuggiti. In entrambi i casi, si trattava di due falsi.

In realtà, la nave era stata sì trovata disabitata, ma senza tracce di una fuga tanto precipitosa; anzi, sembrava abbastanza chiaro che l’equipaggio si fosse allontanato in fretta ma temporaneamente, con la certezza di tornare a bordo in breve tempo. L’ipotesi è proprio che si sia verificata una perdita di vapori dal carico di alcol e che il capitano abbia, appunto, fatto salire tutti sulla scialuppa in attesa che i fumi si disperdessero, ma poi per qualche ragione l’equipaggio non sia più riuscito a tornare a bordo. La zuppa calda e il sigaro ancora acceso erano un’invenzione dell’autore del racconto dichiaratamente inventato sulla base della storia vera: sir Arthur Conan Doyle.

Per quanto riguarda la Marlborough, la storia riunisce molti elementi delle due precedenti, anche se il ritrovamento è ancora più spaventoso: la nave scomparve nel 1890, forse affondata dopo essere stata colpita da un iceberg. Sarebbe stato archiviato come un tragico incidente del mare, tuttavia consueto e senza nulla di anomalo, se in seguito non ne fosse stato avvistato il relitto che navigava lentamente poco distante; raggiuntolo, vi furono rivenuti gli scheletri di tutto l’equipaggio, disseminati fra i ponti e le sale interne: erano passati ventitré anni da quando la nave era scomparsa.

Il dettagliato resoconto che descriveva anche i punti dove furono trovati gli scheletri è ormai riconosciuto come un falso, è invece certo che la testimonianza da cui ha avuto origine la leggenda fosse assolutamente vera: è il racconto del Capitano Burley, che nel 1890 fece naufragio con altri compagni al largo della Terra del Fuoco. Giunti a terra, rinvennero – si narra – una tenda e degli scheletri, e una scialuppa arenata che riportava il nome di Marborough of London. Probabilmente, il tempo trascorso dall’evento e l’aver avvistato il relitto di un’altra nave mentre cercavano di raggiungere terra hanno portato il Capitano a confondere i dettagli e a dare involontariamente vita alla leggenda della nave fantasma che continua silenziosa a solcare le acque per vent’anni.

2) La Sarah Joe

Non è un vero e proprio mystero, tutt’altro, la spiegazione non è certa ma è molto plausibile. E’ solo una storia macabra e affascinante, che mescola insieme diversi elementi di quelle del paragrafo precedente, a leggerla in un libro direste che nella realtà le cose non vanno così, ma invece questa volta l’hanno fatto.

Nel 1979 cinque amici partono per una battuta di pesca al largo delle Hawaii a bordo della Sarah Joe. Quattro ore dopo, sulla loro rotta si abbatte una tempesta che gli abitanti della zona definiranno la peggiore mai vista in cinquant’anni. Le ricerche dei dispersi cominciano appena possibile e proseguono per cinque giorni, ma “il mare non restituisce i propri morti”, e la Sarah Joe e il suo equipaggio scompaiono per sempre. (Sì, viene da pensare alla sequenza finale de La Tempesta Perfetta.)

Nel 1988 John Naughton, biologo marino che aveva partecipato alle ricerche di nove anni prima, sta conducendo degli studi faunistici su un atollo disabitato delle Isole Marshall, a circa 2000 miglia dalle Hawaii, raggiungibile solo attraverso uno stretto canale. D’un tratto, la sua squadra rinviene i resti di una piccola imbarcazione sul cui bordo, sotto la sabbia, è ancora leggibile lo stato di appartenenza e il nome: Sarah Joe. A meno di cento metri, una croce di legno e un tumulo di coralli. Una delle pietre più grandi tiene fermi dei fogli, come nelle sepolture cinesi. Vicino alla croce, un osso di mandibola umana, non del tutto sbiancata dal sole, a riprova di una sepoltura recente.

Scavando la tomba, non appena possibile, vengono trovate altre ossa (non lo scheletro completo), e gli esami determinano che erano appartenute a uno dei membri della Sarah Joe, Scott Moorman. Degli altri quattro, tuttavia, non viene rinvenuta la minima traccia, nemmeno da successive spedizioni e ricerche svolte su incarico delle famiglie.

Probabilmente, la tempesta uccise tutto l’equipaggio, ma Scott Moorman rimase a bordo (vivo o morto?, le analisi non poterono determinare momento e causa del decesso), percorse 2000 miglia e approdò tramite l’unico, impervio, ingresso sull’atollo. Lì i suoi resti si adagiarono in un punto che li protesse finché non furono rinvenuti da un qualcuno che scelse di seppellirli secondo i propri costumi, senza informare le autorità, forse perché si trovava sull’isolotto per motivi illegali (pesca di frodo?). Una considerevole quantità di coincidenze che si sono verificate contemporaneamente a dispetto delle probabilità, ivi compresa la scoperta del relitto da parte di qualcuno che conosceva la storia e non dal controllo di sorveglianza periodico che si era svolto pochi anni prima.

3) I guardiani del faro delle Flannan Isles

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Foto di Chris Downer da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 2.0

Questa naturalmente è la mia preferita.

Siamo in Scozia, a dicembre del 1900, un anno prima era finalmente terminata la costruzione del faro, dove ora lavorano tre guardiani e un turnista. Tutto procede tranquillamente, il 6 c’è il carico di rifornimenti e il cambio con il quarto guardiano. La notte del 15, però, la luce del faro non si accende. Se ne avvede un vascello di passaggio, che avvisa le autorità appena giunto a terra. Il 21 dovrebbe essere effettuato il consueto approvvigionamento e cambio di personale, ma il maltempo lo impedisce. Il battello di rifornimenti, l’Hesperus, riesce finalmente a raggiungere l’isolotto il 26 dicembre, ma a riva non c’è nessuno. E nemmeno nell’entroterra. Sia il cancello che la porta d’ingresso sono chiusi, i letti sono sfatti, ma il resto è in ordine, con gli utensili da cucina puliti e solo una sedia caduta in terra. Appeso a un gancio c’è un impermeabile, il regolamento prevede che i guardiani non possano uscire senza indossarlo. Gli stoppini per accendere il faro sono pronti.

Il registro dove i faristi tengono una sorta di diario di bordo è però fermo al 15 dicembre, giorno in cui – si legge – sull’isola si è abbattuta una violenta tempesta. Si cercano a lungo i tre guardiani, ma non se ne trova traccia.

L’inchiesta stabilì che i tre uomini erano stati inghiottiti da un’onda anomala, mentre cercavano di riparare una cassa contenente attrezzi da lavoro; un’ipotesi avanzata successivamente ha sostenuto che fossero stati travolti dall’acqua che normalmente si deposita invece nelle grotte sotterranee che caratterizzano geologicamente l’isola. Entrambe le argomentazioni, tuttavia, non spiegano come mai uno di loro avesse abbastanza fretta da non indossare l’impermeabile in un clima proibitivo e da ribaltare la sedia mentre passava, ma abbia trovato il tempo di chiudere porta e cancello. Questo, unito all’inquietudine che luoghi del genere possono suscitare, ha dato lo spunto per numerose teorie alternative, da quella per cui uno degli uomini sarebbe impazzito, avrebbe ucciso i suoi compagni e poi si sarebbe suicidato, a quella secondo la quale i guardiani sarebbero stati uccisi dal “Fantasma dei Sette Cacciatori”, altro nome con cui sono note le Flannan Isles.

Sebbene, come sempre, la plausibile ricostruzione degli eventi sia probabilmente più semplice e forse prosaica, la storia ha lasciato un’impronta duratura nell’immaginario collettivo, e il mistero del faro è diventato protagonista di canzoni, poesie, cortometraggi, sondaggi ed episodi di Doctor Who.

Immagine di apertura: Foto di Kyle Myburgh da Unsplash

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