Séralini a Gallipoli, tra pesticidi, OGM e Xylella
Straniante. Se dovessi definire con una sola parola le sensazioni che ho portato a casa dalla mia partecipazione a questo evento, non riuscirei a trovarne una migliore. Ho l’impressione di essere stata, per tre ore circa, in un mondo a parte e di esserne emersa decisamente malconcia.
Gilles-Éric Séralini viene a Gallipoli, a due passi da casa mia, invitato da quattro associazioni. La curiosità di sentir parlare uno scienziato che, nel bene (poco) e nel male (tanto), ha riempito le cronache di mezzo mondo è forte. Non mi stupisce l’argomento scelto: “Pesticidi e OGM: rischi, pericoli ed effetti per il pianeta e la salute”. È quello su cui Séralini si è concentrato da anni, in una battaglia che coinvolge centri di ricerca, istituzioni nazionali ed europee, semplici cittadini e mass media. Ma, contemporaneamente, mi chiedo perché proprio ora si sia deciso di invitare nel Salento uno scienziato che non vive dietro l’angolo. Un’idea ce l’ho, ma spero di sbagliarmi.
Al mio ingresso in sala vengo subito colpita da una cosa: alle 18, l’orario previsto per la conferenza, c’è già molta gente. Da queste parti, prima che sia trascorsa una buona mezz’ora accademica non si vede mai nessuno. Gli eventi scientifici non di rado raccolgono quattro gatti, contando zie e cugini di chi li organizza. Invece qui l’afflusso è costante e in breve tempo la sala è gremita. Molti sorridono entusiasti e si scambiano commenti carichi di aspettativa. Nelle conversazioni di chi mi sta intorno ricorre una parola: Xylella, accompagnata da mezze frasi che adombrano complotti, censure, oscure trame di lobby. Comincio a pensare di non essermi sbagliata, anche se mi sfugge il collegamento: mi sembra tutto un gigantesco fuori tema, come si direbbe a scuola.
Mi guardo intorno mentre cerco un posto: volti sorridenti si salutano, ci si scambia strette di mano. I responsabili delle associazioni, con gentile sollecitudine, passano volantini e invitano a registrarsi. Una signora davanti a me parla con un giovanotto dalla faccia simpatica. Lui le racconta dell’azienda agricola biologica che ha avviato. Lei gli offre una caramella: «Naturalmente è bio!», esclama porgendogliela.
Mentre le sedie vanno velocemente riempiendosi, scorgo sul palco la nota sagoma di Séralini: mi è bastato seguire lo sguardo di molti tra i presenti, incuriositi dal «professore che è un grandissimo esperto di tutte le schifezze che ci ritroviamo nel piatto». Nessuno sembra conoscere le polemiche che hanno coinvolto Séralini, in merito al suo studio sui ratti alimentati con mais NK603 e acqua contaminata con l’erbicida RoundUp (prodotti ambedue da Monsanto), ritirato dopo che ne erano state messe in evidenza le gravissime falle metodologiche.
Non posso fare a meno di pensare che organizzatori e pubblico sembrano brave persone, gente mossa dalle migliori intenzioni, che ha deciso di sacrificare il proprio tempo libero per una causa in cui crede. Mi spiace saperli vittime di autoinganno e involontari veicoli di disinformazione.
Nel frattempo, dopo i convenevoli dei responsabili, parte la proiezione dello spot preparato per pubblicizzare l’evento. Una musica martellante e ansiogena accompagna un repertorio ben noto: eliche di DNA, tizi poco rassicuranti che irrorano campi con maschere antigas e tuta in stile RIS, frasi lapidarie e inquietanti… Una cosa è ben chiara: la parola “chimica” è associata al male, anche se sfugge il collegamento tra i concetti.
Si entra nel vivo della serata: il primo ospite è Jérome Douzelet, uno chef che ha pubblicato un libro con Séralini. Il suo intervento – piuttosto allarmante nei contenuti ma nel complesso soporifero per via del tono monocorde – mi ricorda un enorme frullato di tutti i cliché della retorica ambientalista. Si passa dal «respirare i pomodori del proprio orto» al «cibo vivo» che si contrappone a quello «industriale che ci avvelena». Si evoca l’immagine romantica dei piccoli produttori e dei prodotti a chilometro zero, migliori senza riserve (anche se, come ha dimostrato Dario Bressanini, è giusto avere qualche dubbio). Anche la non meglio identificata «cucina viva» è tutt’altro rispetto a quella che adopera cibo industriale. En passant si tira anche in ballo Ippocrate e l’importanza che lui riconosceva alla sana alimentazione, ché la citazione classica fa subito colto (anche se a me sembra – ma non sono un’esperta – che nell’originale francese lo chef abbia definito il padre della medicina greca «il santo patrono dei medici»; la traduttrice simultanea rende con l’incomprensibile «padrone»). La narrazione ha il classico stile al quale ci hanno abituato i complottisti: affermazioni perentorie e allarmanti, totale assenza di dubbi, mancanza di fonti verificabili. Per rendere l’idea, si afferma con tono accorato che nel cibo ci sono cose velenose come il terribile glutammato, «molto dannoso per i bambini e causa di autismo e iperattività». La sparata è davvero grossa, per cui, istintivamente, mi guardo intorno: negli occhi di chi mi circonda, però, leggo solo sgomento per la verità rivelata e totale fiducia nelle parole del relatore. Accanto a me una ragazza dall’aria assorta ha in mano un registratore che ha azionato all’inizio della conferenza per fissare ogni parola.
L’espressione «studi scientifici dimostrano» è ricorrente, ma, di fatto, si evita di citare delle specifiche ricerche, perché non si possano verificare le affermazioni. Ogni tanto fatico a trattenere un sorriso, per esempio quando viene fuori la storia delle mucche allevate con il grano dei silos il cui latte diventa piccante. Ma, ancora una volta, guardandomi intorno, noto che sono l’unica a trovare la faccenda ridicola. Allo stesso modo, sono la sola che sussulta quando si critica apertamente la clorazione dell’acqua potabile. Già, il cloro è “chimica”: come ho fatto a non pensarci?
Di tanto in tanto si fa un accenno agli oliveti salentini che vanno protetti dalla cultura industriale e dall’avanzata degli OGM e si chiude con la pubblicità al libro che Douzelet ha scritto con Séralini (Plaisirs cuisinés ou poison cachés, ovvero «piaceri culinari o veleni nascosti»). Al termine della presentazione c’è uno scroscio di applausi, forse in parte liberatorio, perché, come accennato, lo chef non ha dalla sua una retorica che infiamma le folle.
Séralini è di tutt’altra pasta. Ha l’espressione severa e austera di chi mostra di custodire un segreto difficile da tollerare, che è urgente diffondere. Si alza dalla scrivania per parlare con il cipiglio di Cicerone che, in senato, scaglia le sue invettive contro Catilina. Il confronto con la cantilena monotona di chi l’ha preceduto è nettissimo: lo scienziato si atteggia a mattatore e non disdegna i coup de théâtre. Come quello con cui, all’inizio, si conquista l’intera platea. «Pensate alle 10 persone che amate di più. Alzate la mano se qualcuna tra queste persone, compresi voi stessi, è stata colpita dal cancro». Alcune mani si alzano timidamente. «Oppure se alcune tra loro hanno malattie del sistema nervoso come Parkinson, Alzheimer o depressione». Altre mani si levano in alto. «Se sono state colpite da malattie ormonali come il diabete o malattie tiroidee. O da problemi di fertilità. Oppure ancora da deficit del sistema immunitario, malattie autoimmuni o allergie. Chi ha alzato la mano almeno una volta?». La sala è una selva di mani alzate. «Ora guardatevi», aggiunge solenne. «Non siete soli».
Il giochetto è quasi elementare ma ha fatto effetto. Poco importa che sia statisticamente improbabile che esista qualcuno che non ha cari che soffrono di una delle tantissime patologie che rientrano in questo enorme calderone. Tutti sono profondamente colpiti. E Séralini rincara la dose: «In tutto il mondo le malattie non dovute a geni, virus e batteri sono in aumento. Solo pochissimi casi di cancro sono dovuti a fattori genetici». E qui ha inizio una sequela di affermazioni molto perentorie e terribilmente ansiogene che ha lo scopo di ribadire tutti i noti risultati del contestatissimo studio che ha reso Séralini famoso e che ha causato a Elsevier un imbarazzo paragonabile a quello che l’articolo di Wakefield provocò a The Lancet. Dalla narrazione non sono escluse le scioccanti immagini dei ratti sfigurati da enormi tumori, sulla cui eticità si è molto discusso: l’impatto sul pubblico è fortissimo. Di qui parte poi l’operazione di screditamento dei critici del professore, tutti, a suo dire, dipendenti Monsanto. Delle moltissime critiche provenienti dalla comunità scientifica non si fa alcun cenno. Dei suoi conflitti di interesse, di cui tanto si è parlato, men che meno.
Nel mezzo, si palesa il riferimento alla Xylella: l’idea di Séralini sul problema è molto chiara. Xylella fastidiosa è favorita dai pesticidi. Gli ulivi colpiti, se non vengono trattati e ci si limita semplicemente ad annaffiarli, si rigenerano: «D’altronde non hanno vissuto tanti anni per niente!», esclama strappando un sentito applauso. La proporzione è, a suo dire, del 98% (49 olivi su 50), ma non c’è modo di controllare questi dati, perché non viene fornito alcun riferimento bibliografico. «Probabilmente vi stanno proponendo olivi OGM», dice. Mi pare molto strano che il professore non sappia che gli olivi OGM, al momento, non esistono. Afferma di essere stato un esperto di vite OGM per la Francia e sottolinea con forza: «non funziona». Aggiunge che tutti gli OGM hanno la caratteristica di richiedere più pesticidi.
La soluzione concreta che Séralini e il suo amico chef offrono prevede l’uso di piantine aromatiche in prossimità degli olivi per allontanare l’insetto vettore (ovvero la sputacchina) e aiutare la pianta a disintossicarsi. Non credo serva commentare.
Non manca, ovviamente, la promozione del libro e dei metodi per la detossificazione con principi attivi naturali messi a punto dal laboratorio del professore. Nessuno dà segni di cogliere il nesso con i discussi studi dello scienziato e le loro finalità.
Lo scroscio di applausi, al termine dell’intervento, è davvero sentito. Tutti sembrano vedere in Séralini un eroe senza macchia e senza paura, novello San Giorgio contro il drago delle multinazionali.
Non ho il tempo di riprendermi dal cumulo di fandonie ascoltate che gli interventi di chiusura degli organizzatori mi gettano nello sconforto. Scopro che a invitare Séralini è stato un medico, una persona che dovrebbe conoscere il metodo scientifico e l’importanza della corretta analisi statistica dei dati. Poi vengo a sapere che sono in progetto incontri di “formazione” nelle scuole per parlare di tematiche analoghe, e che uno di essi, presso un liceo della provincia, si è già tenuto. Il pensiero che una scuola permetta che a parlare ai ragazzi siano persone con evidenti problemi nel distinguere la realtà dalla fantasia, per fare disinformazione, mi riempie di indignazione.
Da ultimo, la notizia-bomba: si intende far tornare Séralini in Italia perché possa redigere una perizia da presentare al TAR e alla Commissione Europea, allo scopo di smentire le deduzioni «dei baroni universitari». Ma per farlo occorre coprire le spese, perché, come si ribadisce: «Non abbiamo i milioni di euro che prendono Silletti & Co.!». Per consentire a Séralini di scrivere questa perizia su un argomento di cui non sa palesemente nulla, così da gettare discredito sugli scienziati che se ne stanno occupando, è stato disposto un banchetto per raccogliere offerte in fondo alla sala. Prima di uscire vedo diverse persone porgere banconote con l’aria di chi è felice di sacrificarsi per una giusta causa. Poi varco la soglia e mi ritrovo sotto una pioggia che rappresenta perfettamente il mio stato d’animo.
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Nota
Per una sintesi del caso Séralini, si può leggere qui (in inglese):
https://www.sciencebasedmedicine.org/the-seralini-gmo-study-retraction-and-response-to-critics/
Tra le risorse in italiano, si possono citare le seguenti:
http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/09/25/criminal-mais/
http://oggiscienza.it/2013/12/03/il-caso-seralini-limportanza-della-peer-review-e-dellonesta/
http://oggiscienza.it/2014/07/03/seralini-ogm-e-un-paper-sparito-ma-poi-ricomparso/
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