Il terzo occhio

Le ossa di Babbo Natale?

No, in redazione non siamo posseduti dallo spirito del Grinch del Dr. Seuss (per quanto il macabro titolo – pur senza punto interrogativo – lo abbia proposto la Caporedattrice). E neppure abbiamo deciso di fare pubblicità occulta a una catena di negozi di scarpe. Nel decidere di scrivere questo articolo, abbiamo invece pensato di ispirarci a un intervento dal titolo “Le ossa di San Nicola rivelano come era realmente Santa Claus” che Kristina Killgrove, una bioarcheologa della University of West Florida, ha pubblicato sul suo blog in questi giorni festivi.

Tutte le versioni del Babbo Natale moderno, chiamato Santa Claus nei paesi anglofoni, derivano principalmente dallo stesso personaggio storico: San Nicola, vescovo di Myra (oggi Demre, situata nell’odierna Turchia.

Così scrive la versione italiana di Wikipedia in testa alla sua voce dedicata a “Babbo Natale”.

Chi era Nicola? Della sua reale biografia poco sappiamo: come ricorda lo storico dell’arte Michele Bacci (che alla figura del santo ha dedicato il volume  San Nicola. Il grande taumaturgo, pubblicato da Laterza nel 2009, che richiameremo spesso nel proseguimento di questo articolo)  “nessuno [se ne] occupò seriamente prima dell’VIII e IX secolo, epoca cui risalgono i più antichi testi agiografici”, diversi secoli dopo rispetto a quando Nicola sarebbe vissuto, intorno all’epoca di Costantino. Come ricorda sempre Bacci (p. X):

Il principio enunciato nella prima metà del Novecento da un grande studioso di letteratura agiografica, il padre Hyppolite Delehaye, secondo cui il culto precede sempre l’elaborazione della leggenda può essere considerato forse un po’ troppo meccanico, ma sostanzialmente vero. L’identità storica di figure così lontane nel tempo è quasi sempre il risultato di un processo di graduale «messa a fuoco», che ha inizio intorno ad un sepolcro, si sviluppa attraverso la frequentazione pubblica di un luogo considerato santo, subisce una svolta decisiva con la costruzione di un santuario e il coinvolgimento nella vita rituale, e fa un salto di qualità quando riesce a superare la dimensione locale trasformandosi in luogo di pellegrinaggio universale e dando vita a nuovi fenomeni di culto lontano dal proprio focolaio originario.

Per quel che qui ci interessa, è quando accadde a Myra, in Anatolia, sul mare Egeo durante il primo millennio. Il sepolcro attribuito ad uno dei suoi primi vescovi, Nicola appunto, divenne un luogo sacro, in cui si sarebbe manifestato il favore di una figura considerata santa, attorno alla quale si costruì un’agiografia che rielaborò materiali vecchi e nuovi.

Nel 1087 un gruppo di baresi impegnati nel commercio di granaglie con il Levante durante il viaggio di ritorno decise, con l’intenzione di difendere le spoglie dalla minaccia turca (qualcuno dice che di buone intenzioni sia lastricata la via che porta all’inferno), di procurarsi le reliquie del santo con quella che Bacci ha descritto come un “pio furto” o meglio “una sorta di rapina armata”: dopo aver cercato di convincere con le parole i custodi a rivelare dove erano conservati i resti, procedettero con maniere più rudi finché non misero mano su alcune parti dello scheletro che erano conservate all’interno della chiesa. Sono i resti oggi conservati nella Basilica di San Nicola di Bari. Luigi Martino, professore di anatomia presso l’università di Bari, ebbe modo di studiarli nel 1957 con una ricognizione anatomica. Ecco come Kristina Killgrove riassume i risultati delle analisi del medico barese:

Sono i resti di un individuo di sesso maschile che al momento della morte aveva più di 70 anni. Era di altezza media per quei tempi, [intorno 1,67 metri], con una corporatura medio/snella. Il viso di San Nicola, corto e largo, presentava larghi zigomi, un’ampia fronte e un mento leggermente aggettante. Il naso, di media lunghezza, evidenzia una frattura guarita. Com’è comune in persone di età così avanzata, San Nicola aveva numerosi denti cariati, così come un’artrite cronica della colonna vertebrale e del bacino.

Partendo dagli studi di Martino, nel 2004 il canale televisivo britannico BBC2 realizzò un documentario intitolato The Real Face of Santa, per il quale l’antropologa Caroline Wilkinson, allora alla Manchester University e oggi alla Liverpool John Moores University, realizzò una ricostruzione forense dell’aspetto del santo: gli inglesi ebbero così la possibilità di vedere il “vero volto” di Babbo Natale, con la carnagione olivastra ma con capelli e barba bianca; in linea con le caratteristiche somatiche dell’Asia Minore e con i canoni estetici degli ecclesiastici dell’epoca, ma soprattutto, per barba e capelli, con l’immagine classica di Babbo Natale (nella riproposizione del 2014 la barba pare essersi allungata). Negli anni ‘50 Martino aveva invece preferito non allontanarsi dall’iconografia tradizionale, presentando un Nicola calvo e con barba curata.

Le ossa di Babbo Natale sono quindi sepolte a Bari? La questione non è così semplice.

Prima di tutto, non sappiamo se i baresi siano davvero tornati nella loro città con i resti del corpo di quello che, nei tempi antichi, era stato il vescovo di Myra. E’ la tradizione a sostenerlo, e in quanto tale può essere o meno accolta dal lettore moderno. Si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che i resti recuperati siano di qualche altro personaggio conservato in quella chiesa: del resto non è detto che con le minacce si ottenga la verità (se poi questa era conosciuta dai custodi). Tra l’altro, tredici anni dopo la scena si sarebbe ripetuta, questa volta ad opera dei veneziani: non si arresero di fronte all’evidenza del passaggio dei baresi e tornarono anch’essi con dei resti, trovati in una diversa parte del santuario di Myra e oggi conservati presso la chiesa di San Nicolò del Lido della città lagunare. Secondo Martino, che ha avuto modo di esaminare anche questi nel 1992, i frammenti ossei sono compatibili con quelli di Bari e quindi le due città avrebbero parti diverse dello stesso scheletro: il condizionale sembra però essere più che opportuno.

In seconda battuta, poi, nel Mediterraneo dell’XI secolo, la figura di Babbo Natale ancora non era nata. Come ci si sia giunti è anch’essa questione complessa e in parte ancora non chiara. Fu comunque nell’Europa centro-settentrionale del tardo medioevo, dove il culto di San Nicola era giunto da tempo, e non nel Mediterraneo di qualche secolo prima che il santo assunse il ruolo di portatore di doni in occasione della sua festa, il 6 dicembre, rielaborando così alcuni aspetti della sua agiografia.

Non è però detto che questa attribuzione sia direttamente collegata con la figura moderna di Santa Claus (il nome con cui la figura di Babbo Natale è conosciuta nei paesi anglosassoni). Bacci, in effetti, nel suo studio argomenta a favore di un passaggio di testimone con una serie di figure che gli studiosi definiscono collettivamente “Compagni di San Nicola” e che, almeno a partire dal XVII secolo, in diversi luoghi di lingua germanica (ma non solo), accompagnano il santo in sorte di messe in scena in maschera delle sue visite. Questi servitori, che come scrive Bacci (p. 173) avevano

un aspetto spaventoso […] dai tratti animaleschi, rivestit[i] da una fitta peluria (talora sostituita da un abito di pelliccia), con una folta barba, talvolta anche con un paio di corna in testa, […] sempre nell’atto di recare sulle spalle un sacco, che […] serviva [loro] per portare via i monelli

rispondevano a nomi diversi a seconda della località: ad esempio, nell’area alpina dove si parla bavarese (compresa la provincia di Bolzano), sono noti come Krampus, mentre nella Germania settentrionale e centrale sono invece chiamati Knecht Ruprecht (“servo Ruprecht”). Per quanto attestate solo in età moderna, si tratta di figure che affondano le loro radici nel folklore, e sono stati proposti rapporti con l’Uomo selvatico e con alcuni personaggi legati al mondo degli inferi. Soprattutto però, il loro ruolo principale era quello di spauracchi, per terrorizzare e punire i bambini che si erano comportati male nel corso dell’anno e che quindi non meritavano i doni portati dal santo.

Queste figure, che in certi luoghi e momenti, godettero di una certa autonomia slegata da quella del personaggio religioso di cui assunsero spesso anche una variante del nome (Samichlaus, Klaubauf, Klaus, Pelznickel etc.) sarebbero secondo secondo Bacci (pp. 175-176) alla base della del moderno Babbo Natale:

Con l’avvento della società borghese dell’Ottocento si registrò la tendenza a privilegiare il servitore rispetto al padrone, che era troppo connotato in senso confessionale: privato dei suoi aspetti più spaventosi, il vecchio Klaus si trasformò in una figura bonaria […]. Ai tratti derivati dall’uomo selvatico, come in particolare la peluria trasformata in pelliccia e il rapporto con la vegetazione, si affiancheranno sempre di più anche quegli elementi che […] lo rendevano quasi una metafora di quella fredda stagione, come il robone rosso che si era utilizzato in passato per la personificazione dell’inverno e la lunga barba che denunciava l’età avanzata dell’anno che stava per finire.

Questo sarebbe accaduto prima in Germania, poi in terra americana, dove l’emigrazione di lingua tedesca verso gli Stati Uniti avrebbe fatto sì che queste tradizioni si diffondessero e ne incontrassero altre, di supposta origine olandese, relative a Nicola come portatore di doni (in occasione della sua festa, non ancora del Natale). Fu proprio qui, nella borghesia del nord-est degli USA, che si svilupperà il Babbo Natale che tutti conosciamo: ad un giovane immigrato di origine tedesca Thomas Nast (1840-1902), dobbiamo l’elaborazione grafica della figura che ancora oggi, con piccole modifiche, ci capita di vedere innumerevoli volte in questi giorni pre-natalizi.

Qualunque sia stato il ruolo di san Nicola nella costruzione del nostro Babbo Natale, non ha comunque molto senso chiedersi se Santa Claus sia, o meno, sepolto a Bari o quale fosse il suo vero volto. Il rapporto fra le due figure è in ogni caso oggi piuttosto debole: il vecchietto vestito di rosso che porta i doni è il frutto – provvisorio – di una lunga serie di processi all’interno della cultura folklorica e della pop culture e continuerà a vivere finché qualcuno se ne farà portatore. Ed è quello che accadrà, come ogni vigilia di Natale, anche stanotte, quando a credere nella sua esistenza saranno sicuramente tanti bambini ai quattro angoli del mondo.

Ci permettiamo però di augurarci che questi ultimi siano stati tutti buoni e obbedienti e che quindi abbiano in dono quanto da loro desiderato. Non vorremmo che invece della visita di Santa Claus, ricevano quella di un qualche Krampus, incautamente da noi evocato, ancora in attività come spauracchio per i monelli perché non informato dei cambiamenti sopravvenuti. Nel caso ciò succedesse, dichiariamo fin d’ora che nessuna responsabilità può essere a noi imputata.

Immagine: Una cartolina novecentesca (parte di una serie) di autore sconosciuto: la didascalia recita “Saluti dal Krampus”. Fonte: Wikimedia Commons, pubblico dominio

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