Interviste

Alla scoperta dell’effetto placebo

Spesso, quando si discute dell’efficacia di una terapia in studio, si cita il “placebo” come termine di paragone. Ma cos’è il placebo? Perché, quando si sperimenta una terapia, si confronta con il placebo e non, come ci si potrebbe aspettare, con l’assenza di terapia?

 “Placebo” è la prima persona singolare del verbo latino “placere” (“io piacerò); si presume che l’utilizzo in ambito medico sia stato tratto dall’Antifona del Salmo 114 dell’Ufficio dei Defunti (“Placebo Domino in regione vivorum”, “Piacerò al Signore nella terra dei viventi”), ma l’origine del termine è oggi ancora incerta; il concetto di “effetto placebo” si diffonde in medicina dall’inizio del XX secolo, durante il quale acquisisce un’importanza cruciale nella valutazione dell’efficacia delle terapie mediche.

Per capire di cosa si tratti e in che modo viene utilizzato nella ricerca medica, QueryOnline ha intervistato Fabrizio Benedetti, professore ordinario di Neurofisiologia e Fisiologia Umana all’Università degli Studi di Torino e all’Istituto Nazionale di Neuroscienze, autore del libro “l’Effetto Placebo. Breve Viaggio tra Mente e Corpo” pubblicato da Carocci Editore.

Ci può spiegare brevemente cos’è l’effetto placebo?

L’effetto placebo è l’effetto terapeutico che segue alla somministrazione di una terapia inerte (il placebo), cioè priva di qualsiasi azione terapeutica, come, ad esempio, un bicchiere d’acqua o una zolletta di zucchero. Ovviamente, né l’acqua né lo zucchero acquisiranno mai proprietà terapeutiche; ciò che è importante è il contesto psicosociale che si trova intorno al paziente, come le parole del terapeuta. Queste inducono aspettative positive di miglioramento, e ciò attiva nel cervello del paziente dei meccanismi specifici.

Ci può dire di più su questi meccanismi?

Le aspettative positive indotte dalle parole del medico, oppure da qualsiasi altra cosa (il credere nelle proprietà terapeutiche di qualsiasi cosa), attivano nel cervello del paziente sostanze simili alla morfina, che si chiamano endorfine. Queste possono, per esempio, ridurre il dolore al solo credere che il dolore diminuirà, anche se in effetti si è somministrata solo dell’acqua fresca.

Da quanto tempo si usano i placebo per verificare l’efficacia delle terapie? E perché è così importante?

La storia del placebo nei trial clinici per verificare se una terapia funziona è molto lunga e complicata. Per farla breve, visto che il solo credere in una terapia può produrre un miglioramento, è necessario paragonare una nuova terapia con un placebo, al fine di vedere se il miglioramento è semplicemente un effetto psicologico. Se la nuova terapia produce gli stessi effetti di un placebo, vuol dire che non ha un’azione specifica.

Se per i farmaci sembra abbastanza facile creare delle terapie placebo, come si fa nel caso di operazioni chirurgiche, agopuntura, psicanalisi o manipolazioni fisiche? Ci sono casi in cui non è possibile creare un placebo adeguato?

Sì, ci sono molti casi in cui non è possibile creare un placebo adeguato, per esempio la psicoterapia e la fisioterapia. Come si fa a fare una psicoterapia placebo (cioè finta)? E come si fa a fare una fisioterapia placebo (cioè finta)? E’ decisamente un po’ complicato, quindi non si sa ancora se molte di queste terapie agiscano semplicemente mediante un effetto psicologico (effetto placebo). Per superare questo ostacolo, per esempio, si è provato a far somministrare una psicoterapia da un terapeuta finto, ma particolarmente empatico (per esempio, un insegnate di storia) è poi lo si è confrontato con la psicoterapia somministrata da uno psicoterapeuta vero con anni di esperienza. Ebbene, in alcuni studi è emerso che sono migliorati i pazienti sia dello psicoterapeuta finto che di quello vero. Quindi, in effetti, a volte è sufficiente essere empatici e instaurare una buona relazione con chi sta male.

Ci sono anche casi in cui i problemi etici sono enormi, per esempio la chirurgia. Infatti la chirurgia placebo è una chirurgia finta, in cui si anestetizza il paziente, lo si “apre” ma non si fa nulla, lo “si richiude”, lo si sveglia, lo si sottopone a terapia antibiotica per evitare infezioni, ecc. ecc. Nonostante l’enorme dilemma etico di fare una cosa del genere, molti studi di chirurgia finta (placebo) hanno dimostrato che alcuni sintomi, per esempio il dolore, possono migliorare anche se in effetti non si è fatto nulla. In altre parole, il rituale chirurgico ha un impatto psicologico enorme sul paziente.

Quindi i placebo possono avere “forza” diversa? Detto in altri termini, un’operazione chirurgica placebo ha la stessa efficacia di un farmaco placebo?

Più è complesso il rituale, maggiori aspettative di beneficio induce. Un’iniezione ha un effetto psicologico maggiore di una pillola. L’agopuntura è un rituale molto complesso che induce effetti psicologici molto potenti.

Anche la modalità attraverso cui si somministra un placebo (ad esempio, le parole usate per descriverlo) può influire sulla sua efficacia?

Certamente sì. Più si inducono aspettative positive, più l’effetto è potente.

Come mai esistono persone più soggette all’effetto placebo e persone meno soggette?

Ci sono almeno tre meccanismi che spiegano perché alcuni rispondono al placebo mentre altri no.

  1. L’apprendimento gioca un ruolo fondamentale. Se un placebo viene dato per la prima volta, alcuni rispondono, altri no. Se invece viene dato dopo ripetute terapie efficaci, quasi tutti rispondono.
  2. Diverse varianti genetiche rispondono diversamente ad un trattamento placebo.
  3. Tratti di personalità diversi producono risposte diverse. Per esempio, è stato dimostrato che gli ottimisti e coloro che cercano il rischio rispondono ad un trattamento placebo molto meglio di altri.

Per finire, cosa può dirci del nocebo? Ci può fare qualche esempio?

L’effetto nocebo è l’opposto del placebo:  avviene quando si inducono aspettative negative. Molti effetti collaterali dei farmaci sono effetti psicologici negativi (nocebo), dovuti alla lettura delle istruzioni della confezione (il cosiddetto bugiardino). Un altro esempio è dato dalle notizie allarmistiche dei mass media, le quali possono indurre dei veri e propri fenomeni di massa. Un ultimo esempio è la diagnosi negativa che, se comunicata male, può indurre effetti nocebo molto potenti.

Foto di danilo.alvesd da Unsplash

4 pensieri riguardo “Alla scoperta dell’effetto placebo

  • Ma è solo pubblicità al suo libro…visto che nulla dice di nuovo su placebo e nocebo…

    dando per scontato un gap enorme fra i due in favore del primo…

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  • Allo stato attuale dell’ arte, non esiste certezza che l’ Effetto Placebo esista. Ma il consensus scientifico sulla sua esistenza è enorme. Ogni volta che ci si trova in difficoltà a dar spiegazioni sul successo di una terapia che non dovrebbe dar risultati, si ricorre a San Placebo. Sarà opportuno ricordare, allora, anche a Voi Scettici, che lo insegnate abitualmente agli altri, cosa dovrebbe avere l’ Effetto Placebo come dimostrazione della sua esistenza: 1)Studi policentrici internazionali in doppio cieco e randomizzati, dai dati sovrapponibili;2) Meccanismi d’ azione noti e aree cerebrali esattamente mappate 3) prevedibilità qualitativa e quantitativa dell’ effetto placebo suddiviso per forme farmaceutiche (con scala di valori) ed eventuali altre terapie, compresi gli interventi chirurgici. Tutte cose che non ha. Ad esempio questo studio Torinese che suscitò un’ ondata di entusiasmo nazionalistico 4 anni fa, è stato condotto su volontari, cosa che lo inficia in partenza.
    http://www.lastampa.it/2011/10/03/scienza/e-nel-cervello-la-provache-l-effetto-placebo-funziona-9ymc9LkaXGaEQuBGXKtQFK/pagina.html

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  • “Ma il consensus scientifico sulla sua esistenza ( dell’ effetto “placebo” e/o “nocebo” )

    è enorme”… ( citazione )…

    Allora provi ad insegnare agli scienziati come fare a distinguere la Scienza dalle fandonie,

    anche dalle sue…, oppure provi a leggere un qualsiasi “bugiardino”…e ciò a cui fa riferimento

    per vantare le qualità terapeutiche, vere o presunte che siano, del “farmacon” in questione…

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