Speciale Umberto Eco: con il CICAP in cerca dei “Diabolici”
Che Umberto Eco potesse avere simpatia per il CICAP lo sospettavamo sin dalla fondazione del Comitato nel 1989. In fondo Il pendolo di Focault, uno straordinario viaggio nella mente di creduloni e cospirazionisti, era uscito solo da pochi mesi. Eppure, pensavamo Lorenzo Montali e io, allora due studenti universitari poco più che maggiorenni, chi eravamo noi per disturbare uno dei più celebrati scrittori viventi, oltre che uno studioso di fama internazionale?
Così, l’idea di coinvolgerlo rimase nel cassetto. Almeno fino a quando, nel 1994, fu lui a parlare del CICAP in una delle “Bustine di Minerva” che curava su l’Espresso. Ne fummo entusiasti e subito gli scrivemmo una lettera per ringraziarlo, informandolo che avevamo attivato un’adesione a suo nome e dichiarandoci felici anche «solo di poterla immaginare tra i nostri lettori».
Non ci aspettavamo risposte. Chi è così impegnato non può certo rispondere a tutti gli ammiratori che gli scrivono, pensavamo. Invece Eco ci stupì scrivendoci dopo pochi giorni: «Devo confessarvi che da anni, cioè da quando avevo pubblicato Il pendolo di Focault, mi attendevo che vi metteste in contatto con me».
Incredibile, noi non volevamo disturbarlo e lui non aspettava altro.
«D’altra parte» continuava «proprio la pubblicazione di quel libro mi ha fruttato una quantità enorme di lettere che raccolgo in una cartella chiamata “Diabolici”, e che costituisce un dossier di credulità varie che un giorno o l’altro mi piacerebbe utilizzare».
Ci autorizzava poi a servirci come meglio credevamo di «quella che è in ogni caso una manifestazione di interesse e solidarietà per il vostro lavoro».
Negli anni seguenti, poi, ci mandò suoi articoli e interventi che pensava avrebbero potuto interessarci. Dal canto nostro cercavamo di farlo partecipare a uno dei nostri convegni. Solo che non era facile.
«Grazie per l’invito» scrisse in un’occasione «ma in quei giorni sono sciaguratamente impegnato per una commissione di concorso. Si tratta di un’esperienza assolutamente paranormale (ma Old Age)».
Ci riprovammo l’anno dopo.
«Ho consultato il mio astrologo personale», rispose, «e mi ha detto che è in predicato un viaggio a New York tra fine ottobre e inizio novembre per l’uscita americana di un mio libro».
Suggeriva allora di inserire un suo possibile intervento al Convegno all’interno di «una tavola rotonda con molte persone in modo che se poi non ci sono non muore nessuno».
Come se davvero nessuno avrebbe potuto fare caso alla sua assenza.
Ci riprovammo ancora, visto che ogni volta lui ripeteva che partecipare «mi farebbe un grandissimo piacere», ma ogni volta impegni improrogabili rendevano impossibile la sua presenza.
Così, un bel giorno ci disse che, se volevamo, potevamo andare da lui per registrare un suo saluto in video da trasmettere nel corso del Convegno. «Sono pronto a qualsiasi registrazione ultrafanico-prano-ufologica» dichiarò.
Non ce lo facemmo ripetere due volte. Con Marino Franzosi e Luigi Garlaschelli, dunque, andammo il giorno concordato nel suo meraviglioso appartamento di Milano con vista sul Castello Sforzesco.
Ci accolse con molta semplicità e simpatia e ci fece accomodare nel suo salone. Sistemammo la telecamera e iniziammo una chiacchierata che durò quasi tutto il pomeriggio. Non eravamo ancora abbastanza accorti e le riprese risultarono troppo scure e poco professionali, ma lui c’era e parlava con trasporto e ironia degli argomenti che più ci appassionavano.
Poi, quando finimmo, ci accompagnò per un piccolo giro turistico della casa, lungo un corridoio pieno di libri, nella stanza dei libri rari e poi giù fino al suo studio di lavoro, strapieno fino al soffitto di decine di migliaia di libri.
«Ne ho cinquantamila» precisò. «Di più non ce ne stanno. Così, quando ne entra qualcuno di nuovo che voglio conservare, qualche altro deve uscire».
Ma non se ne liberava veramente, i libri in eccesso li trasferiva poi nell’abitazione di campagna che aveva a Monte Cerignone, nelle Marche.
Non gli ponemmo l’ovvia domanda che assale chiunque si trovi di fronte una biblioteca del genere, vale a dire l’inevitabile: “Ma li ha letti davvero tutti?” Anche perché, da tempo, non eravamo di quelli che considerano la biblioteca solo un deposito di libri letti, ma piuttosto uno strumento di lavoro.
Tuttavia, lo stupore nei nostri occhi per tanta magnificenza lo spinse a un commento. «Vi capita mai di prendere in mano un libro che non avete mai aperto, incominciate a leggiucchiarlo e vi accorgete che sapevate già tutto quel che diceva? Ovviamente, se credessi al paranormale direi che, avendo nel corso degli anni toccato varie volte quel libro, per spostarlo, spolverarlo, anche soltanto per scostarlo onde poterne afferrare un altro, qualcosa del suo sapere si è trasmesso, attraverso i polpastrelli, al cervello, e noi lo abbiamo letto tattilmente, come se fosse in alfabeto Braille».
Poi, di fronte alla nostra espressione, si fece una risata. «Visto che faccio parte del CICAP credo naturalmente che la spiegazione sia più semplice. Ogni volta che si sposta il libro probabilmente vi si getta uno sguardo, si apre qualche pagina a caso, qualcosa nella grafica, nella consistenza della carta, nei colori, parla di un’epoca, di un ambiente. E così, poco per volta, di quel libro se ne assorbe gran parte. E poi, mentre gli anni passano, leggiamo altri libri in cui si parla anche di quello, così che senza rendercene conto apprendiamo che cosa dica».
Ecco come, emulando il suo Guglielmo da Baskerville, e in perfetto stile CICAP, Umberto Eco risolse per noi il piccolo mistero della “lettura involontaria”.
Negli anni seguenti provammo a coinvolgerlo in maniera più organica nel Comitato, proponendogli di entrare tra i membri onorari, insieme a Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia. Ma, con nostro stupore, ci rispose che forse non era il caso: «è meglio se quella carica rimane ai Nobel».
Ci rimanemmo male, forse avevamo esagerato e il suo era stato un modo elegante per farci capire di non tirarlo troppo per la giacchetta, così non insistemmo.
Eppure, continuava a parlare del CICAP nei suoi articoli e quando mi capitò di coinvolgerlo per qualcuno dei miei libri rispondeva sempre con entusiasmo. Così, nel 2009, tornammo alla carica. Ancora una volta ci sorprese.
«Una richiesta di far parte del Comitato dei Garanti me l’avevate fatta, credo, una ventina di anni fa. Poi ve ne siete dimenticati. Se si tratta di un gioco stagionale, ricominciamo, solo che prima eravamo solo tre e adesso una caterva. Comunque sempre a disposizione».
Ci rendemmo conto che per la seconda volta, la troppa educazione e timidezza ci avevano fatto perdere anni in cui avremmo potuto averlo ufficialmente con noi. Era chiaro che al suo primo diniego avremmo dovuto insistere un poco per averlo tra i garanti e lui avrebbe accettato.
Questa volta, però, non ci facemmo scrupoli e rinnovammo con decisione l’invito. Finalmente accettò: «Come ho detto, sempre a disposizione. Naturalmente con Rita e Rubbia mi troverò in Olimpo».
Quando cercammo di portare in edicola Scienza & Paranormale, come allora si chiamava la rivista del CICAP, lui ci incoraggiò: «Ritengo che mettere in edicola la rivista del CICAP sia anzitutto un dovere morale e non posso che manifestare piena solidarietà per l’iniziativa. Cercherò naturalmente nei limiti del possibile e delle mie competenze di dare ogni tanto un contributo, se non altro attingendo al mio archivio intitolato ai Diabolici e che contiene lettere di visionari di ogni genere che purtroppo ricevo con regolarità».
Purtroppo, il progetto si rivelò poi troppo oneroso e fummo costretti a rinunciare.
Negli anni seguenti, comunque, Eco continuò a segnalare il nostro lavoro nei suoi articoli, partecipò al libro 11/9 La cospirazione impossibile, da me curato con gli esperti del CICAP, e scrisse anche la postfazione per Complotti, bugie e leggende metropolitane, uscito lo scorso anno insieme a Focus.
Il tema dei complotti, del resto, restava tra quelli che più lo affascinavano. A esso aveva dedicato anche il suo ultimo romanzo, Numero zero, e ancora ne aveva parlato, citando ampiamente il CICAP, durante la lectio magistralis con cui, lo scorso anno, aveva accettato dall’Università di Torino una nuova laurea honoris causa. La quarantunesima.
Il lavoro del CICAP, insomma, restava sempre nei suoi pensieri e con molto divertimento aveva compilato una straordinaria Storia dei luoghi e delle terre leggendarie, dove il Comitato e il lavoro dei suoi collaboratori ritornavano spessissimo. Anche nella dedica della copia che mi mandò volle rendere esplicite le sue intenzioni: «In spirito CICAP!».
Se n’è andato troppo presto, proprio quando le farneticazioni cospirazioniste sono in piena fioritura: una voce forte e autorevole come la sua, che riusciva a rimettere al loro posto ogni delirio con una battuta, non si trova facilmente.
Chissà che un giorno, rimettendo a posto le sue carte, non salti fuori quel faldone dedicato ai “Diabolici” di cui più volte ci aveva parlato. Una sua pubblicazione permetterebbe di rendere ancora più evidente la fascinazione di Umberto Eco per le bizzarrie dell’intelletto umano.
«Le cerco per due motivi, l’uno perverso l’altro virtuoso» aveva detto. «La perversione è che sono affascinato dalla stupidità. L’intelligenza non mi affascina. Se Einstein riesce a capire il principio della relatività generale, vuol dire che il mondo è fatto così e lui ci è arrivato. Credere invece che la terra sia quadrata è un indice della flessibilità della mente umana».
E il motivo virtuoso?
«Che attraverso gli errori (e non stupidità, Tolomeo non era idiota, pure se si è sbagliato) si arriva sempre a qualche verità. È il momento della serendipità. Si scopre una cosa per caso: a Colombo è successo con l’America. Attraverso i viaggi, le fantasie le utopie, gli errori si arriva a capire la verità per vie tortuose».
Proprio quello che al CICAP sosteniamo da sempre quando diciamo che studiando le pseudoscienze e le bufale si finisce per capire meglio come funziona la scienza. Ecco perché Umberto Eco e il CICAP erano fatti uno per l’altro.
Massimo Polidoro
Foto di Donovan Reeves da Unsplash
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