Il trillo del diavolo

Il trillo del diavolo: ’39

Una nuova rubrica di QueryOnline racconta, un brano alla volta, la musica intrisa di scetticismo e misteri, a cominciare da ’39, degli indimenticabili Queen.

L’album A Night at the Opera (che nel titolo omaggia ovviamente i fratelli Marx, così come il successivo A Day at the races) uscì nel 1975 e segnò l’inizio definitivo del successo che da allora in poi avrebbe accompagnato i Queen fino alla morte (e oltre) del loro front-man, Freddie Mercury, grande animale da palcoscenico con una voce in grado di coprire estensioni e tonalità precluse ai più. Era il quarto LP del gruppo, e conteneva Bohemian Rhapsody, capolavoro indiscusso del rock-pop, promosso con uno dei primi video mai prodotti, ed esempio emblematico della sperimentazione che in quegli anni era cifra caratteristica della musica “leggera” e che attraversa verticalmente tutti i brani dell’album, dalla straniante The Prophet’s Song alla celeberrima Love of my life, con stili e ritmi sempre diversi che spaziano dal progressive alla ballata lenta, per un totale di 11 tracce originali più l’inno nazionale inglese, che la band avrebbe poi sempre usato in chiusura dei propri concerti.

Al di fuori della (gigantesca) cerchia di fan, gli altri brani sono perlopiù poco noti, tranne quello è che unanimemente riconosciuto come uno dei minori più belli: si intitola ’39, l’autore è il chitarrista Brian May, ed è la 39ma canzone da album della band. Si tratta di una ballata folk, aperta da un ritmico giro di chitarra con coro evocativo, e accompagnata dal contrabbasso che John Deacon aveva imparato a suonare in pochi giorni dopo una battuta di May; narra la storia di un gruppo di volontari che partono in esplorazione verso nuove terre, e quando tornano non riconoscono più il mondo che hanno lasciato.

Il ritmo del pezzo, così come l’anno di ambientazione, porta quasi tutti a immaginare che si tratti dei giovani soldati partiti volontari in una delle due Guerre Mondiali, i cui occhi hanno visto troppi orrori e i cui cuori sono invecchiati troppo per essere completamente felici nel tornare a casa, ma in realtà una lettura più attenta, e le dichiarazioni rilasciate da May stesso in un’intervista, mostrano come ‘39 parli di una missione spaziale e di un viaggio nel Tempo: i volontari partono in cerca di nuovi pianeti dove poter andare a vivere, e credono di stare via solo per un anno, ma al loro ritorno scoprono che in realtà è trascorso un secolo, la Terra è invecchiata, e i loro cari sono morti.

Come si diceva, l’autore del brano è Brian May, che vi ha trasposto la sua grande passione per lo Spazio: per inseguire il rock, infatti, dopo la laurea in fisica May aveva abbandonato gli studi ma, dopo la morte di Freddie Mercury e la profonda depressione che ne era conseguita, riprese le proprie ricerche esattamente dal punto in cui le aveva interrotte, discutendo infine la tesi di dottorato in astrofisica nel 2007. Attualmente, collabora con la NASA nell’interpretazione dei dati provenienti dalla sonda New Horizon. Chiaramente, il brano riflette anche delle considerazioni più personali del chitarrista, sulle difficoltà di rimanere in sintonia con il proprio mondo d’origine nel momento in cui gli si apriva davanti il ben più ampio universo del rock, dei tour, del successo. Insieme ai fan, anche May sembra particolarmente legato a questo brano, che continua ad eseguire dal vivo tuttora, durante i concerti con Kerry Ellis o nella nuova formazione dei Queen. Dati i suoi studi, è possibile anche che la canzone non parli di un vero e proprio viaggio nel tempo, quanto piuttosto delle conseguenze della relatività ristretta di Einstein, per cui gli esploratori spaziali sono rimasti vittime del cosiddetto “paradosso dei gemelli“, in base al quale il tempo scorre diversamente fra la Terra e una ipotetica astronave che viaggi verso una stella per poi fare ritorno.

Questo non cambia molto l’effetto finale della canzone, ma ne aumenta il fascino di piccola chicca nascosta, che mette insieme musica, fantascienza e paradossi, con un risultato indimenticabile: quegli occhi che attraversano le generazioni sono ancora un’immagine potente.

TESTO ORIGINALE TRADUZIONE
In the year of ’39 assembled here the Volunteers
in the days when lands were few.
Here the ship sailed out into the blue and sunny morn
the sweetest sight ever seen.
Nel ’39 si riunirono qui i Volontari
ai tempi in cui le terre erano ancora poche.
Da qui la nave salpò verso il mattino blu e assolato,
la visione più dolce mai vista.
And the night followed day
and the story tellers say
that the score brave souls inside
for many a lonely day sailed across the milky seas
ne’er looked back, never feared, never cried.
E la notte seguì il giorno
e i raccontastorie dicono
che quelle anime coraggiose
viaggiarono nei mari lattei per molti giorni solitari
senza mai guardarsi indietro, senza mai aver paura, senza mai piangere.
Don’t you hear my call though you’re many years away
don’t you hear me calling you
Write your letters in the sand
for the day I take your hand
in the land that our grandchildren knew.
Non senti il mio richiamo, anche se sei molti anni distante
non senti che ti chiamo?
Scrivi le tue lettere nella sabbia
per il giorno in cui potrò prenderti per mano
nella terra che conobbero i nostri nipoti.
In the year of ’39 came a ship in from the blue
the volunteers came home that day
and they bring good news of a world so newly born
though their hearts so heavily weigh.
Nel ’39 nel blu comparve una nave,
quel giorno i volontari tornavano a casa
e portavano buone nuove di un mondo nato da poco
ma i loro cuori erano pesanti
For the earth is old and grey, little darling we’ll away
but my love this cannot be
for so many years have gone though I’m older but a year
your mother’s eyes from your eyes cry to me.
La terra è vecchia e grigia, tesoro noi ce ne andremo
ma, amore mio, questo non può essere,
sono passati così tanti anni ma io sono invecchiato solo di uno,
gli occhi di tua madre nei tuoi occhi piangono per me.
Don’t you hear my call though you’re many years away
don’t you hear me calling you
Write your letters in the sand
for the day I take your hand
in the land that our grandchildren knew.
Non senti il mio richiamo, anche se sei molti anni distante
non senti che ti chiamo?
Scrivi le tue lettere nella sabbia
per il giorno in cui potrò prenderti per mano
nella terra che conobbero i nostri nipoti.
Don’t you hear my call though you’re many years away
don’t you hear me calling you
All your letters in the sand cannot heal me like your hand.
Non senti il mio richiamo, anche se sei molti anni distante
non senti che ti chiamo?
Tutte le tue lettere nella sabbia non possono guarirmi come la tua mano
For my life
still ahead
pity me.
Per la vita
che ho ancora davanti
abbi pietà di me.

Immagine di gene1970 da Pixabay

 

4 pensieri riguardo “Il trillo del diavolo: ’39

  • Complimenti, è una delle rare volte in cui un articolo sui Queen è privo di inesattezze. Si capisce che chi l’ha scritto è competente e appassionato.

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  • Complimenti,
    da fan dei Queen, non sapevo di questa interpretazione … Ottima la rubrica, l’unione di scienza e musica è davvero esaltante

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  • Bravissima Sonia, eccellente descrizione della canzone, dati esatti e mi hai fatto venir voglia di riascoltarla. L’amore di Brian per lo spazio trasuda da ogni verso poi.

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