Pagine Scettiche

Pagine scettiche – Northanger Abbey, di Jane Austen

Questa rubrica è dedicata a libri e film usciti ormai da qualche anno e che trattano il sovrannaturale e lo scetticismo in maniera diversa e inattesa. Naturalmente, gli articoli contengono spoiler e anticipazioni per chiunque non abbia letto o visto le opere trattate.

E’ una verità universalmente riconosciuta che un lettore in possesso di gusto per la buona scrittura e la lieve ironia debba innamorarsi delle opere di Jane Austen (semicit.)

Se poi il lettore è di sesso femminile e non sogna il Principe Azzurro ma un compagno di vita, allora si trasformerà seduta stante in una Janeite e tale rimarrà per sempre e tutto il resto del tempo. Si consideri infine che, essendo patrimonio della cultura inglese, le riduzioni cine-televisive dei suoi romanzi sono state interpretate da attori del calibro di Laurence Olivier, Colin Firth, Hugh Grant e Alan Rickman, e sarà facile capire perché oggi la sottoscritta indossa una maglia con una citazione di Mr. Darcy e non di Renzo Tramaglino (è una storia vera, posso presentare evidenze fotografiche).

Jane Austen è stata un’autrice geniale, che ha raccontato con ironia indulgente la società inglese sua contemporanea, ma cogliendone caratteristiche e sfumature che la contraddistinguono ancora oggi: in tutto, ha scritto sei romanzi, più alcuni incompiuti e i cosiddetti Juvenilia. Dopo una storia d’amore finita male, non si sposò, diventando l’amata zia di molti nipoti e vivendo con la madre e la sorella Cassandra (anch’ella nubile) fino a una morte piuttosto prematura, ad appena 42 anni, per una malattia la cui esatta diagnosi è ancora in discussione, forse linfoma forse tubercolosi. Cassandra e gli altri parenti distrussero gran parte delle sue carte e lettere private, così da lasciare a noi posteri solo un’immagine vaga di quella che dev’essere stata la sua vita reale.

Jane_Austen_coloured_versionPur essendo un numero decisamente ridotto, ed esplorando tematiche sempre abbastanza simili fra loro, i sei romanzi rappresentano un’umanità varia e ricca, con personaggi che di volta in volta si fanno archetipi di tipologie ben definite, a cui la vita alla fine arride sempre, come premio per i valori in cui credono o per il grande cambiamento che hanno saputo operare su se stessi. Se lo chiedete a me, ovviamente, nessuno può eguagliare Lizzie Bennet ed Elinor Dashwood, ma esistono nutrite schiere di fan di Emma o Anne Elliot (di Fanny no, non ne sono pervenuti un granché). E tuttavia, il mio primo, personalissimo incontro con  “zia Jane” non è avvenuto né a Pemberley né nel Devonshire, ma a Bath, e fra le pagine di quello che è probabilmente ritenuto il minore di tutti i romanzi, Northanger Abbey.

Dopo essermi sciroppata le 1027 pagine de I misteri di Udolpho, potevo forse non gettarmi a capofitto su quella che ne era la parodia? Northanger Abbey  nasce infatti come trasposizione umoristica della letteratura gotica tanto in voga all’epoca e che la Austen stessa apprezzava, probabilmente senza però condividerne i toni eccessivi (a me verrebbe da dire iper-eccitati) e le eroine troppo sentimentali, sempre pronte a svenire al minimo fruscio d’aria, anche un pochino deboli e fragili.

La trama: in vacanza a Bath, la giovane e impressionabile Catherine Morland fa conoscenza con due famiglie molto diverse fra loro, gli egoisti, avidi, arrampicatori sociali Thorpe e gli onesti, affettuosi, sinceri Tilney. Questi ultimi la invitano a soggiornare alcune settimane nella loro dimora avita, l’abbazia di Northanger, dove l’immaginazione di Catherine proietterà tutte le fantasie più assurde scatenate dai troppi romanzi gotici letti. Alla fine naturalmente vissero tutti felici e contenti.

Direte: beh, tutto qui? Sì. E no, ovviamente, perché in Northanger Abbey la trama è funzionale allo stile e allo scopo caricaturale, e quindi secondaria rispetto a questi. Non essendoci rimasto molto dei suoi scritti personali, non sappiamo se l’Abbazia volesse essere solo una parodia o anche un omaggio alla signora Radcliffe, di cui magari Jane Austen sapeva apprezzare quelle stesse sfumature inattese di cui abbiamo parlato qui; quel che è certo è che il romanzo è un’opera giovanile, rielaborato in un secondo momento, ma forse pensato per rimanere all’interno della cerchia familiare, visto che – in maniera del tutto anomala rispetto il suo solito – qui la Austen spesso si rivolge direttamente al lettore o gli strizza l’occhio.

Gothic novels: The heroine is pious
Adam Frost and Zhenia Vasiliev per theguardian.com

Se i capitoli ambientati a Bath sono dedicati alle sconcertanti assurdità dei caratteri umani, tutta la parte all’interno dell’Abbazia (anche la struttura del romanzo ricalca l’opera della Radcliffe, dove a Udolpho si arriva solo nella seconda metà avanzata) ripropone invece tutti gli stereotipi e i luoghi comuni della narrativa gotica, per poi farli implodere su se stessi in una conclusione prosaica e ovvia, con effetti umoristici che strappano qualche risata ancora oggi.

Catherine non fa in tempo a vedere l’Abbazia che la durezza caratteriale del generale Tilney l’ha già reso colpevole, nella sua immaginazione, di aver ucciso la moglie, se non addirittura di tenerla ancora prigioniera in una stanza segreta. La camera che le viene assegnata è confortevole e nient’affatto lugubre, ma deve celare qualche segreto, ed ecco quindi Catherine che sobbalza alla vista di una cassapanca:

“È davvero strano! Non mi aspettavo una cosa del genere! Una cassapanca così immensa e pesante! Che cosa può contenere? Perché è stata messa qui? In quella rientranza poi, come se si volesse nasconderla! Ci guarderò dentro, costi quel che costi, ci guarderò dentro… e subito anche… […] Con questo stato d’animo si accinse all’impresa, e la sua fiducia non la tradì. Con uno sforzo deciso tirò indietro il coperchio, e al suo sguardo stupito apparve un copriletto bianco di cotone, accuratamente ripiegato, adagiato in un angolo della cassapanca in beata solitudine!

E via così, finché nelle fantasie di Catherine non irrompe l’avidità umana, che la costringe a fare i conti con una realtà più meschina e meno affascinante di quella dei suoi amati romanzi.

A differenza di quanto è accaduto per gli altri romanzi, di Northanger Abbey esiste un’unica riduzione televisiva, non particolarmente memorabile come messa in scena e recitazione, ma fedele al testo e quindi piuttosto godibile. Insomma, se avete voglia di un debunking veramente d’epoca, leggero e ironico, se non avete mai letto niente di Jane Austen  e vi sentite pronti per iniziare la vostra storia d’amore con lei, queste 220 pagine di trollagine anti-paranormale sono un ottimo punto di partenza.

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