Biografie

In ricordo di Umberto Veronesi

di Chiara Segré (Biologa, Responsabile Supervisione Scientifica Fondazione Umberto Veronesi)

@ChiaraSegre

Quando Andrea Ferrero mi ha chiesto se avevo piacere di scrivere un articolo in ricordo del Professor Umberto Veronesi per Query online, non ho avuto un attimo di esitazione. E non solo perché spero che il Professore avrebbe apprezzato, lui che da anni sosteneva l’operato del CICAP e che aveva accettato con entusiasmo di esserne uno dei garanti scientifici, ma perché sento di avere un debito personale nei suoi confronti. Tutta la mia carriera professionale, per me ricca di soddisfazioni, si è svolta grazie anche a lui: ho iniziato come timida e impacciata tesista nei laboratori di ricerca dell’Istituto Europeo di Oncologia, dove poi mi sono fermata quasi 8 anni conseguendo anche un dottorato. Ispirata anche dall’operato del Professore, mi sono sempre interessata alla divulgazione della scienza, ed è grazie alla Fondazione Umberto Veronesi che ho potuto trasformare questa passione in un lavoro.

Ricordare il Professore per me ha quindi un duplice valore: “collettivo”, perché il suo operato di medico ha permesso enormi progressi in campo oncologico di cui tutti noi potremo beneficiare all’occorrenza, e “personale”, per essere stato una fonte di ispirazione e di opportunità professionali.

Nato nel 1925 alle porte di Milano, Umberto Veronesi faceva parte degli italiani nati prima del boom economico, che hanno vissuto le bombe della Seconda Guerra Mondiale, sono cresciuti con meno risorse delle generazioni seguenti nate negli agi del Secondo dopoguerra senza aver contribuito a crearli, e che hanno ricostruito l’Italia contribuendo a renderla il paese moderno in cui tutti noi viviamo. Chi ha avuto il piacere di conoscere di persona il Professore, non ha potuto non coglier immediatamente quello spirito, tipico degli uomini e delle donne della sua generazione, di chi ha lavorato sodo e con passione per ottenere grandi risultati ma che è al contempo è rimasto sempre umile, ben conscio della fatica per arrivare fino a lì.

Umberto Veronesi di cose grandi ne ha fatte tante: non per esagerazione viene spesso definito il padre dell’oncologia italiana; in effetti, non vi è area della ricerca e della cura dei tumori nel nostro paese che non abbia un debito nei suoi confronti. All’Istituto dei Tumori di Milano, sua “dimora professionale” per quattro decenni dove ha introdotto la maggior parte delle sue innovazioni come oncologo, nell’atrio di ingresso campeggiano il suo volto e il suo nome, insieme a quello di altri colleghi, sotto la scritta: “Qui nacque l’oncologia italiana”.

Nel 1965 fu tra i fondatori dell’AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, prima charity italiana in ambito biomedico. Veronesi, con la caratteristica capacità di visione di insieme, aveva intuito che per far decollare davvero la ricerca sul cancro in Italia, che già poteva vantare ottime scuole e centri di eccellenza, occorreva adottare il modello americano delle charity no profit private e indipendenti dallo Stato. Fu un’intuizione vincente.

Ma il più grande contributo di Umberto Veronesi nella cura dei tumori, ciò per cui era noto e stimato in tutto il mondo, è stata sicuramente la prima dimostrazione dell’equivalenza prognostica, per certe forme di tumore alla mammella, tra un intervento chirurgico demolitivo, la mastectomia radicale (rimozione del seno e, spesso, anche di tutti i linfonodi limitrofi e persino di ampie aree dei muscoli toracici) e uno conservativo, la quadrantectomia, cioè la rimozione del solo quadrante del seno in cui è localizzata la massa maligna. Era il 1981 quando il New England Journal of Medicine pubblicò un articolo, firmato da alcuni oncologi milanesi guidati da Umberto Veronesi, in cui si dimostrava per la prima volta in modo solido e supportato da evidenza che la quadrantectomia dava alle donne operate per tumore al seno le stesse probabilità di guarigione rispetto alla mastectomia, ma con un grande vantaggio in termini di qualità della vita e di integrità psicologica. Questo, a sua volta, si traduceva in una maggiore propensione delle donne ad accettare e iniziare le cure senza aspettare o esitare, perché meno menomanti della propria identità femminile.

Fu una vera e propria rivoluzione mondiale in oncologia. Veronesi aveva sfidato, e abbattuto con gli strumenti della scienza, il dogma imperante dell’epoca: imporre il “massimo trattamento tollerabile”, sostituendolo col “minimo trattamento efficace”. Nel caso di un tumore, togliere quanto più tessuto possibile sembrava la soluzione più logica; inizialmente la maggior parte della comunità medica guardò con grande scetticismo, se non con preoccupazione (più di uno pensò che Veronesi fosse un “folle irresponsabile”), alla novità proposta dal professore milanese; molti erano convinti che avrebbe significato un aumento della mortalità tra le pazienti. Lo stesso Veronesi ha più volte raccontato che gli anni di studio e trial clinici condotti per verificare la sua ipotesi furono per lui fonte di grande angoscia. Se si fosse sbagliato, non solo avrebbe compromesso per sempre la sua carriera di medico, ma avrebbe dovuto portare sulla coscienza il peso di aver proposto alle donne un trattamento meno efficace. E invece i risultati di oltre un decennio di sperimentazione clinica gli diedero ragione: per molti tumori al seno non era più necessario mutilare e menomare le donne per garantire ugualmente la massima probabilità di sopravvivenza.

Il coraggio e la tenacia di Veronesi insegnano molto anche sulla realtà del progresso scientifico. Raramente le innovazioni, che sfidano lo stato dell’arte di una professione scientifica, sono subito accolte, nonostante le prove di efficacia. Il Professore non ha mai smesso di ricordarlo sempre, ai giovani medici e ricercatori che ha incontrato, fino agli ultimi giorni: “Abbiate il coraggio di osare e seguire le vostre intuizioni, anche contestando l’autorità corrente. Solo così può esserci un reale progresso scientifico”. Naturalmente, sempre sostenuti da solide basi empiriche e studi rigorosi.

Successivamente Veronesi, insieme ad altri colleghi all’Istituto Europeo di Oncologia, centro all’avanguardia nella ricerca e nella cura dei tumori da lui voluto e fondato nel 1994, fu tra i primi a mettere a punto la tecnica del linfonodo sentinella nel tumore al seno: in caso di tumore alla mammella viene analizzato il linfonodo più vicino alla sede di insorgenza per valutare la presenza di cellule tumorali e decidere se  e quali linfonodi togliere senza necessariamente procedere con uno svuotamento ascellare completo, che comporta molti effetti collaterali (gonfiori, edema e dolori al braccio corrispondente, con abbassamento della qualità della vita). Un altro, fondamentale passo verso l’attenzione per la donna, vista come una persona e non solo come paziente.

Parallelamente, Umberto Veronesi si è sempre distinto per l’impegno pubblico, convinto che un vero scienziato non debba esimersi da occuparsi di temi civili e del progresso della collettività, sfruttando gli strumenti universali del metodo scientifico e i valori intrinseci di democraticità, libertà e uguaglianza della scienza.

Dal 2000 al 2001 fu Ministro della Salute nel secondo governo Amato: fu il principale promotore di quella che viene comunemente chiamata “legge antifumo”, approvata poi dal successivo ministro Girolamo Sirchia, che vietava il fumo in tutti i luoghi pubblici. Un grande passo avanti in termini di tutela della salute pubblica e di civiltà, e che ha reso l’Italia uno dei primi paesi a prendere concrete misure contro questa piaga: un impegno che è stato tra i primi abbracciati dalla Fondazione Umberto Veronesi col progetto No Smoking Be Happy, attivo dal 2008.

Altrettanto importanti sono state le grandi battaglie etiche portate avanti dal Professore, spesso precorrendo i tempi e senza paura delle inevitabili polemiche e opposizioni: dal testamento biologico all’eutanasia, dal diritto all’autodeterminazione del singolo alla legalizzazione della cannabis, dai diritti degli omosessuali, alla tutela degli animali e al vegetarianismo. E’ per perseguire anche questi obiettivi che il Professore fondò nel 2003 la Fondazione Umberto Veronesi, utilizzando l’ammontare della vincita del premio saudita King Faisal International Prize Award, conferitogli quello stesso anno per i suoi meriti in ambito medico e scientifico. La Fondazione Veronesi si è sempre distinta da altre charity biomediche perché nella sua missione non vi è solo il, fondamentale, sostegno alla ricerca, ma anche un’attiva divulgazione scientifica e le battaglie etiche.  La Fondazione rappresenta la concretizzazione operativa del pensiero di Umberto Veronesi: non c’è vero progresso scientifico se la conoscenza non viene diffusa al di fuori dei laboratori e se non si tengono in considerazione le implicazioni etiche e sociali. Al centro di tutto l’impegno, come sempre l’uomo (e la donna), per eliminare, o rendere meno dolorose e devastanti, le malattie, migliorando la nostra vita qui e ora, sulla Terra, senza aspettare una eventuale ricompensa ultraterrena.

Umberto Veronesi non ha mai fatto mistero della perdita di fede in un Dio o in una vita dopo la morte, a volte scontrandosi col mondo cattolico italiano, più spesso dialogando con fermezza ma serenamente, come è sempre stato nel suo stile. Gli orrori della Seconda Guerra Mondiale prima, e quelli del cancro poi (soprattutto pediatrico, fino agli anni Ottanta molto difficile da curare), gli avevano sottratto quella fede in un Padre Creatore trascendente al mondo che aveva ereditato da bambino dalla madre, molto devota. Ma possedeva un amore per la vita e per l’umanità che non lo ha mai abbandonato in tutte le attività come medico e come uomo.

Il suo testamento morale è degnamente sintetizzato in una frase che ripeteva spesso negli ultimi tempi: “Andate avanti perché il mondo ha bisogno di scienza e ragione”. Una “chiamata alle armi” ai giovani, un’eredità che tutti noi possiamo e dobbiamo raccogliere, la stessa missione che ogni giorno da oltre 25 anni porta avanti il CICAP, nelle cui attività il Professore ha sempre creduto proprio per la stretta comunione di intenti.

Come ha ricordato il figlio maggiore Paolo nel commovente discorso durante le celebrazioni laiche di congedo a Palazzo Marino a Milano l’11 novembre: “Purtroppo non posso dirti buon viaggio, perché non ci hai mai creduto ed io nemmeno, ma ti dico che resterai per sempre nei nostri cuori”.

Grazie Prof.!

Foto a cura dell’Associazione Amici di Piero Chiara, da Flickr, licenza CC BY 2.0.

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