Arrival, il film
***ALLERTA SPOILER: L’articolo contiene spoiler di alta entità sulla trama del film. Se ne sconsiglia la lettura a chi non desiderasse anticipazioni***
Arrival è il film diretto da Denis Villeneuve, tratto dal racconto Storia della tua vita di Ted Chiang, che al momento sta riscuotendo un successo planetario di critica, pubblico e nomination agli Oscar, ben 8.
Da queste parti lo attendevamo fin da quando è stato presentato a Venezia, e alla prima occasione siamo corsi a vederlo in versione originale.
In brevissimo la trama: 12 astronavi spaziali atterrano (ma forse sarebbe più corretto dire che si avvicinano) in altrettanti punti della Terra, e Governi ed Eserciti devono decidere come affrontare l’evento. In America vengono convocati fra gli altri il fisico Ian Donnelly (interpretato da Jeremy Renner, l’Hawkeye degli Avengers) e la linguista Louise Banks (Amy Adams), incaricata di cercare di aprire un canale di comunicazione con gli alieni. Sarà proprio lei a scoprire cosa vogliono gli extraterrestri e a portare il loro dono all’umanità.
E quindi? Quindi hanno ragione la critica, il pubblico e anche l’Academy: Arrival è un bellissimo film di fantascienza, ma anche un meraviglioso film tout-court, con una fotografia emozionante e alcune scelte stilistiche che vi rimarranno nel cuore, con un impianto scenico fortemente malickiano, ma con una narrazione più inclusiva e lineare. Ottime le prove d’attore, sebbene forse Amy Adams sia appena un filo sopra le righe (non ha infatti ottenuto la candidatura come miglior attrice protagonista).
Per la prima volta, gli alieni vengono raccontati e raffigurati per come potrebbero realmente essere, qualcosa di totalmente diverso da ciò che riusciamo a immaginare, senza antropomorfismi di sorta o veicoli spaziali incomprensibilmente illuminati con le luci di posizione. Quel loro rimanere sospesI a mezz’aria, e quegli interni dalla gravità rovesciata e spogli come una grotta ben rappresentano l’alterità della loro dimensione, così come la loro conformazione fisica e il non-linguaggio che usano. Altrettanto “maturo” e corretto è l’aver dipinto per una volta i militari come essere senzienti e non idioti burattini di latta.
I tentativi scientifici di trovare un linguaggio comune e di tradurre i pittogrammi della loro scrittura sono estremamente affascinanti, per come pongono la domanda forse più centrale nella questione aliena: se mai dovessero giungere sulla Terra i visitatori dello Spazio, come potremmo comunicare con loro? Senza comunicazione è possibile un contatto reale?
(Una risposta possibile: se sono stati in grado di sviluppare la tecnologia necessaria ai viaggi inter-galattici probabilmente si saranno muniti anche di una sorta di Babel Fish che consenta di parlare con le altre razze, soprattutto quella che sarà loro utile fra tremila anni. Tuttavia, è una risposta ancora una volta in ottica umana, che non tiene conto dei diversi processi mentali che gli alieni potrebbero avere rispetto a noi).
Ma è proprio su questo punto che il nostro entusiasmo si è leggermente affievolito: quando abbiamo letto di un film di fantascienza la cui protagonista principale sarebbe stata una linguista, ci aspettavamo di vedere un’opera incentrata sul mistero di questo incontro, sulle sue conseguenze, su cosa significhi per l’umanità, su come si possa instaurare una relazione con un altro così lontano e diverso. Invece il film si inclina leggermente più verso la storia personale del personaggio di Louise Banks, con un artificio narrativo meno originale di quanto non sembri e ciò può lasciare insoddisfatto lo spettatore con l’approccio più scientifico, o anche quello che desiderava un afflato più universale e meno individuale, dove le storie dei singoli fossero decisamente più secondarie, come in Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo (di cui ovviamente Arrival è discendente diretto). Infine, l’idea della percezione temporale che gli alieni donano alla Adams e all’umanità non è nuova, affonda le radici nei Tralfamadoriani di Vonnegut, e lascia aperta qualche perplessità sul perché sembri che solo la Adams riesca a vedere il tempo in questo modo.
Si tratta ovviamente di una critica fortemente permeata dai gusti e dalle aspettative personali, e nulla toglie alla solidità cinematografica e di genere del film, che rimane comunque un prodotto di livello altissimo e di cui auspichiamo degni epigoni in futuro.
Nonostante la descrizione molto dettagliata riportata nel commento al film Arrival, non posso essere d’accordo con il considerare questo un bel film. Nei fatti, che in fondo si tratti di un film mediocre traspare anche dalla recensione stessa, dove emergono alcuni -ma non tutti- tra i difetti grossi di un film che pretende di essere molto più di quel che è.
Infatti, che il film si incentri sulla vicenda personale della protagonista non è solo un difetto per le aspettative di chi voleva una storia più “universale” o scientifica.
Il vero grande problema di Arrival è che lo fa a metà e male.
A metà, perché la storia personale prende a tratti troppo spazio, a tratti troppo poco.
Male, perché – come accennato nella recensione – la storia non è altro che un dramma familiare strappalacrime , che fallisce nel suo intento proprio perché descritto a metà.
C’è poi un altro aspetto critico, anch’esso accennato nella recensione: il tema del tempo, della sua immutabilità, in condizioni dove si viene a conoscenza di eventi futuri. Non conosco il riferimento portato dall’autore della recensione, ma diciamolo: si tratta oramai di un tema trito e ritrito – e proprio in questo film, trattato male.
Lo abbiamo visto tra le prime volte in Timecrimes, un film eccellente, poco conosciuto e tremendamente low-budget. Lo abbiamo rivisto ripreso uguale nel concetto, ma con altra trama e dinamiche, in Predestination, che pure riesce ad essere un film guardabile, sebbene strano.
E ne abbiamo percepito qualcosina anche nell’immenso Interstellar (che, proprio per questa accennata mancanza di originalità, mi aveva fatto storcere un po’ il naso)
Ma a peggiorare le cose, in Arrival, a differenza che nei sopracitati esempi, manca un ‘Meccanismo’, mediante il quale si ha queso scambio presente-futuro. più propriamente, in Arrival si tratta di visioni del futuro, non di viaggi nel tempo, ma poco importa: come fa lei ad avere queste visioni? La risposta è: ma ovviamente sono gli alieni che in qualche modo le trasmettono questo dono…meh, non mi convince per niente.
Passando ad altri aspetti “secondari”, che invece sono considerati come notevoli e ben riusciti nella recensione. Siamo sicuri che si tratti di rappresentazioni così originali degli alieni non-umanoidi? Non ne sono così convinto. Non so voi, ma a me sembrano calamari giganti. Ovvero animali, per come li possiamo immagininare. Non c’è un grande sforzo verso rappresentazioni stravaganti e originali: Roba da pescheria. Che poi, non si sa perché, se l’alieno non è umanoide deve sempre averne qualche cosa del polpo, di norma. È il caso del tamarrissimo (e pessimo) “independence day”, dove abbiamo alieni metà umani e metà…calamari.
Riguardo al tema principale: il linguaggio. Anche qui, la recensione cerca di essere positiva, ma l’autore non riesce a nascondere la totale consapevolezza che una razza evoluta non avrebbe bisogno di “farsi capire”, giocando mezz’ora al giorno a “indovina chi” con le scimmie antropomorfe, mentre gli eserciti si preparano a sganciare le atomiche.
Infine, un ultimo aspetto riguarda la “ricercatezza” della fotografia, che a detta della recensione riesce a cogliere l’abisso esistente tra uomini e altri. Sarà, ma a me sembra piuttosto una furba scelta stilistica per abbattere i costi. Il film consiste infatti in una serie di passeggiate in un tunnel scuro, con alla fine uno schermo e, dietro di questo, due calamari avvolti nella nebbia….meh…
In sintesi, si tratta di un film che scopiazza troppo da altri film (e film recenti!) e che nasconde dietro molta vaghezza e presunta complessità, una storia mediocre, poco chiara e caratterizzata da scelte stilistiche scadenti.
Il racconto da cui è tratto il film è sbilanciato proprio nel senso che meno piace al recensore: la parte attinente alla ricerca di un canale comunicativo con gli alieni è strumentale alla riflessione su cosa comporterebbe per l’essere umano agire conoscendo già le conseguenze delle proprie azioni, una bella e sentita riflessione sulla (non) possibilità del libero arbitrio in un cosmo, com’è quello descritto, per esempio, dalla teoria della relatività, in cui si può fare a meno del tempo.
il film nel suo complesso splendido, con una trama interessante, buona sceneggiatura, recitazione gioco normale e l’atmosfera di pressione. Non è un’attrazione intrattenimento, e di buona qualità, fantasia tanto atteso. Il film tocca un tema molto importante del concetto di tempo, sulla morte, sull’amore, sulla imperfezione di persone. Denis Villeneuve, bravo! (a proposito, vi consiglio anche di guardare il suo film “Sicario” http://www.itafilm.video/2932-sicario-2015-88.html . E ‘cool!)