I divoratori di uomini dello Tsavo
Articolo di Massimo Polidoro
Per quasi tutto il 1898, quando scendeva la notte sulle sponde del fiume Tsavo, in Kenya, il terrore calava sugli accampamenti degli operai. La Imperial British East Africa Company aveva iniziato nel marzo di quell’anno la costruzione di un ponte sullo Tsavo che, attraverso la nuova ferrovia, la Uganda Railway, avrebbe unito il porto di Mombasa all’entroterra ugandese.
Sembrava un’impresa come tante, tipica dell’espansionismo coloniale dell’Impero britannico, che in Africa occupava allora gran parte dei territori del sud e dell’est oltre ad alcuni paesi nell’ovest del continente. Ma non teneva conto del fatto che, proprio in quella zona, due leoni sanguinari avevano instaurato il loro personale “regno del terrore”. Si dice che 135 uomini siano finiti sbranati prima che, non senza molte difficoltà, i leoni venissero finalmente abbattuti.
Spiriti nelle tenebre
Il primo a narrare questa straordinaria vicenda fu l’ingegnere che sovrintendeva i lavori, il colonnello inglese John Henry Patterson. Nel suo libro del 1907, The Man-Eaters of Tsavo and Other East African Adventures, Patterson racconta di come, per nove mesi, due leoni mangia-uomini riuscirono a terrorizzare gli accampamenti finendo per bloccare i lavori per tre settimane nel dicembre del 1898.
Molti dei lavoratori locali erano convinti che gli spiriti di due antichi capi tribù, arrabbiati per i lavori della ferrovia e per l’insulto che questa arrecava alla loro terra, avevano assunto le sembianze dei leoni per impedire il completamento dei lavori. “Fantasma” e “Tenebre” furono i due suggestivi nomi assegnati ai leoni dagli impauriti operai.
Sulle prime, Patterson si mostrò scettico. Nessuno fino ad allora aveva mai sentito parlare di leoni che si nutrivano di carne umana. In genere i leoni preferiscono cibarsi delle carcasse di animali abbattuti da altri predatori e, se proprio devono cacciare, rivolgono le loro attenzioni a gazzelle, bufali o zebre. Gli uomini semplicemente non rientrano nella loro dieta. Patterson ipotizzò quindi che, forse, le prime vittime erano state uccise da banditi interessati ai loro risparmi.
Ma il colonnello dovette ricredersi quando, notte dopo notte, uno dopo l’altro i suoi lavoratori venivano prelevati dalle proprie tende e trascinati lontano per essere sbranati. I segni di lotta, le pozze di sangue e, alla fine, le ossa e i resti mutilati dei poveri operai non lasciavano dubbi su quale fosse stato il loro destino.
Patterson iniziò a trascorrere le notti in cima agli alberi, con il fucile carico e una capra legata sotto nella speranza di attirare i due predatori. Ma ogni volta i leoni colpivano da qualche altra parte.
Ordinò così di costruire dei recinti di rovi intorno ai campi, di tenere il fuoco acceso di notte e di fare rumore a intervalli regolari nella speranza di tenere lontani i leoni. Speranza vana, perché niente sembrava impedire ai due “demoni”, come ormai venivano chiamati, di colpire. Nel buio della notte si udivano i loro ruggiti spaventosi sempre più vicini, poi silenzio assoluto finché, individuata la vittima, uno dei due predatori balzava fuori dalla boscaglia e colpiva. Davvero sembravano due entità soprannaturali, due belve capaci di prevedere e aggirare ogni mossa degli umani.
Un esempio della sfortuna che sembrava perseguitare gli uomini è dato dall’ingegnosa trappola escogitata da Patterson. Fece costruire una gabbia camuffata da tenda al cui interno due coraggiosi operai, protetti da una parete di assi di legno e armati di fucile, dovevano fungere da esca. Passarono le settimane, ma sempre i leoni colpivano altrove. Alla fine, uno di essi entrò nella gabbia, che si chiuse automaticamente quando con la zampa il leone urtò una cordicella che teneva aperta la porta. I due operai però erano così terrorizzati di trovarsi faccia a faccia con il leone che spararono dappertutto tranne che a lui. Riuscirono anche a sfondare la porta della gabbia, permettendo così alla preda di fuggire.
Duri a morire
Il colonnello Patterson era demoralizzato. Aveva tentato di tutto, si era anche messo sulle tracce dei leoni inoltrandosi nella giungla alla ricerca della loro tana, ma non c’era stato niente da fare. Fantasma e Tenebre sembravano imprendibili.
Poi, la fortuna iniziò a girare. Il 9 dicembre uno dei leoni fu avvistato, si stava cibando di una scimmia ma era subito fuggito al rumore della gente che si avvicinava. Poiché la scimmia era ancora pressoché intatta, il leone sarebbe senz’altro tornato quella notte per terminare il pasto. Patterson decise di aspettarlo. Visto non c’erano alberi in zona, si fece costruire una piattaforma in cima a tre pali incrociati e si mise in attesa lassù, imbracciando il fucile. Al calare del sole si udì il ruggito del leone affamato sempre più vicino. Sgomento, Patterson si accorse che, invece di avvicinarsi alla scimmia, il leone restava nella boscaglia e girava intorno al trespolo: da cacciatore, il colonnello era diventato la preda. Un esito che non aveva previsto. La tensione era ormai al culmine e il leone non si decideva a fare la sua mossa. Finalmente, quando tra il fogliame l’ombra si fece più concreta, Patterson non si fece pregare e sparò. Un ruggito furioso si levò immediatamente dalla giungla. Il colonnello continuò a sparare alla cieca nella direzione in cui il fogliame si muoveva finché fu sicuro di avere colpito la bestia.
Il giorno seguente ne ebbe la conferma: un leone senza criniera, con la pelliccia scorticata dal continuo passaggio tra i cespugli di spine e colpito dai proiettili, giaceva privo di vita tra le foglie. Era lungo tre metri e ci vollero otto persone per trasportare la carcassa al campo. Il secondo leone fu più difficile da abbattere. Attirato da alcune capre e colpito una prima volta, scomparve per dieci giorni. Il 29 dicembre tornò di notte per colpire ancora, ma Patterson gli sparò di nuovo mettendolo in fuga. Fu inseguito e, alla fine, si riuscì a stanarlo ma continuava ad attaccare e ci vollero ben sette proiettili prima di riuscire a fermarlo per sempre. Anche questo, come il suo compagno di caccia, era un leone privo di criniera ed era lungo circa tre metri.
Qualche tempo dopo, nel corso di un’esplorazione della giungla, Patterson si imbatté in una grotta che conteneva numerosi teschi, ossa umane e alcuni ornamenti in metallo tipici degli indigeni: non poteva che essere il covo dei due terribili mangiatori di uomini.
Leoni mangia-uomini
La storia di Patterson è così avvincente da avere ispirato più volte anche Hollywood. Il primo film dedicato alla vicenda, Buana Devil (1952), fu uno dei primi girati con la tecnica 3D, mentre il più recente, Spiriti nelle tenebre (1996), con Michael Douglas e Val Kilmer, ha vinto un oscar per gli effetti speciali sonori.
Tuttavia, sembra che Patterson abbia un po’ romanzato il suo racconto. Poiché il colonnello vendette le pelli e i teschi dei due leoni al Field Museum di Chicago, dove rappresentano tutt’ora una delle attrazioni più viste del museo, qualche anno fa alcuni ricercatori del Field hanno deciso di condurre un’inchiesta sulla storia per separare i fatti dalla leggenda.
Prima di tutto è stato chiarito che i due leoni dello Tsavo non erano creature anomale o straordinarie. La mancanza di criniera è in realtà tipica dei leoni di quella zona, forse un adattamento evolutivo dovuto al clima molto caldo.
Quanto alla dieta umana, oggi non sorprende più gli studiosi. «Tanto i leoni quanto gli altri felini si sono sempre nutriti di esseri umani, e lo fanno tutt’ora, ogni volta che le condizioni, spesso provocate proprio dall’intervento dell’uomo, lo hanno reso necessario» dice Julian Kerbis Peterhans, docente di scienze naturali alla Roosevelt University e curatore al Field Museum. «Per gran parte della loro storia, insomma, gli uomini hanno rappresentato per i felini semplicemente degli esseri bipedi, lenti e vulnerabili, oltre che un’ottima fonte di proteine».
I ricercatori hanno scoperto che, negli anni 90 del 1800, un’epidemia di peste bovina aveva decimato la popolazione delle prede preferite dai leoni della zona, bufali e zebù. Con la carestia che seguì, anche la popolazione locale fu gravemente colpita da fame e vaiolo ed è possibile che i leoni, in mancanza del loro cibo abituale, abbiano iniziato a familiarizzare con il sapore della carne umana cibandosi di cadaveri.
Infine, leoni anziani, deboli o con qualche difetto fisico o ferita possono adattarsi a cacciare gli uomini non potendo dare la caccia a prede più forti o resistenti. Un esempio di questo comportamento lo si è potuto osservare in Tanzania nel 2004. Il biologo Bruce D. Patterson (che non è parente del colonnello), anche lui ricercatore al Field Museum, ha analizzato i crani e la dentatura dei due leoni dello Tsavo e ha potuto accertare che, in effetti, uno dei due aveva un canino spezzato e altri problemi ai denti mentre l’altro aveva la mandibola rotta. Condizioni che senz’altro rendevano loro più difficile e doloroso cibarsi della carne di altri animali, ben più coriacea di quella umana. Un ulteriore studio, pubblicato il 19 aprile su Scientific Reports, sembra riconfermare questa ipotesi: uno dei due felini aveva probabilmente un ascesso in bocca e aveva perso tre incisivi, cosa che potrebbe avergli fatto preferire cibi più teneri rispetto agli ungulati cacciati in genere dai leoni della zona.
Leggende e verità
Quanto al numero di vittime fatte dai due leoni, il colonnello Patterson inizialmente parlò di 28 persone e poi, nel corso del tempo, il numero salì fino a 135. Esaminando i valori di collagene presenti nelle ossa e nella cheratina delle pellicce conservate al museo, è stato oggi possibile a Bruce Patterson e ai suoi colleghi misurare i cambiamenti isotopici che confermano l’evolversi di una dieta umana (vedi approfondimento). Tuttavia, dai valori riscontrati nei resti dei leoni si è potuto calcolare che uno dei due animali si sia nutrito di circa dieci uomini, mentre l’altro di 24. Anche sommandoli, si arriva a un massimo di 35 persone divorate: cento in meno di quelle volute dalla leggenda.
Infine, l’antro delle belve: la caverna con gli scheletri umani trovata dal colonnello Patterson. Una spedizione organizzata dal Field ha cercato di rintracciarla seguendo le indicazioni contenute nel libro del colonnello. Non è stato facile, ma nel 1997, utilizzando quattro diverse squadre di perlustrazione, una caverna identica a quella fotografata da Patterson è stava individuata. Distava solo un chilometro e mezzo dalla linea ferroviaria dello Tsavo. Ma le ossa non c’erano più.
Forse furono prelevate da una spedizione antropologica dell’Università di Cambridge negli anni 1920 o magari sono state spazzate via dalla pioggia e sprofondate nella palude adiacente. Per gli studiosi, però, è possibile che la grotta vista da Patterson non fosse la tana dei leoni, bensì qualcos’altro. Le famiglie Wataita, presenti nella zona da secoli, usano infatti da sempre seppellire i propri morti in posizione seduta. Dopo un certo periodo, il teschio viene recuperato e sistemato insieme ad altri teschi al riparo in una caverna o in altre cavità rocciose. Sono stati fatti degli scavi nell’area per trovare eventuali ossa e determinarne l’origine, ma senza risultati; la scoperta di artefatti Wataita da parte di Patterson, però, rappresenta una conferma dell’ipotesi sepolcrale.
Chi oggi volesse avere una pur vaga idea di quello che poteva rappresentare trovarsi al cospetto di Fantasma e Tenebre, comunque, non ha che da recarsi al Museo Field di Chicago. Non saranno stati due spettri con poteri soprannaturali, ma certamente i due leoni dello Tsavo (o quel che ne resta) sono ancora oggi capaci di inquietare chiunque li osservi da vicino.
Approfondimento: L’analisi con gli isotopiAl Field Museum, dalle pellicce e dai teschi dei leoni di Tsavo, sono stati prelevati campioni di ossa e pelo per determinare in quali quantità è presente il Carbonio-13. Questo isotopo del carbonio, infatti, può aiutare a capire il tipo di dieta di un animale. L’erba contiene quantità importanti di C-13 e gli erbivori, come le zebre, che se ne cibano presentano forti tracce di C-13 nelle loro ossa e nei loro peli. Allo stesso modo, chi come i leoni si ciba di erbivori presenterà a sua volta tracce importanti di questo isotopo. Al contrario, leoni che si sono cibati di animali con una dieta più varia, come gli uomini, presenteranno tracce più basse di C-13. Questo però ancora non basta per dire che un leone si è cibato di esseri umani. Serve anche l’analisi di un altro isotopo, l’azoto 15, accumulato dai divoratori di carne. La sua presenza è molto forte se il leone si è cibato di animali esclusivamente carnivori (come gli sciacalli) e meno forte se si è cibato di creature onnivore come gli uomini. Confrontando questi dati, i ricercatori sono potuti arrivare a capire che in effetti i leoni si erano nutriti di essere umani e hanno determinato il totale di uomini mangiati dai due leoni: 34,5. |
Immagine di copertina: Leone fotografato nello Tsavo. Foto di Emilian Danaila da Pixabay
Proviamo a fare del debànchin: – non erano due, ma uno allo specchio; non era un leone, bensì il basset hound della Signora Mallory e non ha divorato alcuno: le vittime si erano semplicemente ubriacate ed erano state prese per defunte dagli altrettanto ubriachi componenti del cantiere. E poi il caso non è accaduto in Africa, ma in Groenlandia, dove non si stava costruendo una ferrovia, ma un porto per l’hovercraft. O be’.