Amabili resti
Avete presente quel libro delizioso (e se non ce l’avete presente correte ai ripari e leggetelo subito) che è Tre uomini in barca (per non parlare del cane)?
Se lo conoscete, ricorderete che uno dei tre uomini eponimi è Harris, capace di trovare un goccio di scotch in qualsiasi parte d’Inghilterra e grande, grandissimo appassionato di cimiteri, anche lì, ovunque si trovi nel paese. Ecco, confesso che negli anni di fedele e ripetuta lettura del più celebre romanzo di Jerome K. Jerome, questo passaggio mi fa sempre sentire un po’ chiamata in causa, perché anch’io non riesco a resistere dal mettermi a gironzolare in qualsiasi camposanto mi capiti di passare, leggere con interesse le lapidi e disquisire lungamente sulla sorte delle famiglie estinte. Il fatto che la tomba di famiglia si trovi in un cimitero monumentale, e fosse una delle gite tipiche cui mi trascinava mia nonna da piccola, probabilmente ha avuto il suo peso nel crearmi questa passione.
Riconosciamolo, però, le storie che passano sui graniti delle tombe sono irresistibili, le voci che si sovrappongono, le persone sempre onestissime e amatissime, le foto che ti fanno piombare in un’altra epoca… dovremmo avere meno paura dei cimiteri, e viverli con un approccio più anglosassone e rilassato.
Non a caso, forse, le sepolture più curiose che mi sia capitato di conoscere sono localizzate proprio fra l’Inghilterra e l’America, mentre in Italia si trovano per lo più quelle con un forte substrato religioso, per esempio gli ossari dei frati Cappuccini (celebre quello di Roma, dove, ripensandoci, mi portò in visita zia. E’ proprio una cosa di famiglia, ammettiamolo), che costellano mura e soffitti in un effetto così inquietante e raccapricciante che, se lo chiedete a me, si perde pure un po’ l’effetto di memento mori in favore di un più secolare “ciao zi’! Noi andremmo, eh”. O le varie salme dei santi esposte sugli altari delle chiese. Da Santa Maria Goretti a San Pio da Pietralcina a Santa Caterina da Bologna, molti sarebbero i casi in cui i cadaveri riesumati non avrebbero presentato segni di decomposizione, a conferma quindi della santità in vita e morte (in realtà, diversi di questi corpi sono conservati bene per l’età che hanno, ma certamente non incorrotti, mentre altri sono stati abilmente ricostruiti).
Un caso celebre, sempre in Italia, è quello di Rosalia Lombardo, morta a 2 anni di polmonite, e fatta imbalsamare, dal padre affranto, dal più grande esperto dell’epoca, che usò una miscela di elementi tali da conservarla quasi perfettamente per novant’anni e oltre, guadagnandole il soprannome di “mummia più bella del mondo”. Rosalia è sepolta nell’altra famosissima chiesa dei Cappuccini, quella di Palermo, e da quando è stata spostata in una collocazione più sicura a mantenerne lo stato di conservazione qualcuno dice di averla vista aprire e chiudere gli occhi, portando a riprova anche dei video del fenomeno. Tuttavia, i video non sono in presa diretta, ma sono montaggi dei fermo-immagine delle telecamere di sicurezza, e l’effetto è probabilmente provocato solo dai diversi giochi di luce della nuova postazione sugli occhi che non sono mai stati completamente chiusi.
Simili alle mummie italiane, sono i cosiddetti “bog bodies”, le mummie di palude diffuse principalmente nei paesi del nord Europa, e fra Irlanda e Gran Bretagna. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di resti umani antichissimi, che l’ambiente microbiologico delle torbiere in cui sono stati rinvenuti ha contribuito a mantenere in condizioni quasi perfette: l’uomo di Tollund, di 2000 anni fa, ad esempio, ha il corpo quasi intatto e un volto da sembrare solo addormentato, mentre i capelli dell’uomo di Grauballe e dela ragazza di Yde hanno praticamente solo cambiato colore.
Una caratteristica di molti bog bodies è che presentano ferite nette o resti di corda intorno al collo: gli studiosi ritengono che non si tratti di persone morte casualmente nei pressi delle torbiere, ma che siano stati vittime di sacrifici rituali, anche perché lo stato di conservazione ha consentito di scoprire che si trattava probabilmente di appartenenti ai ranghi più alti della società, perché la loro dieta era ricca di proteine e avevano un aspetto curato. Questo non vale per tutte le mummie, ovviamente: per esempio Windeby I era malnutrito, ed è stato ucciso in maniera più violenta degli altri, forse affogato nella palude stessa, con l’aiuto di grosse pietre che non gli hanno permesso di tornare a galla. Per questo, si ritiene che possa essere stato assassinato anziché sacrificato.
In tempi più recenti, parliamo di inizio ‘800, mentre passeggiavate per cimiteri avreste potuto inciampare nelle mortsafe, le cassaforti per morti: delle grandi gabbie di metallo pesante posizionate sopra le lapidi. La maggior parte degli esemplari si trovavano in Scozia, qualcuno anche in remoti villaggi inglesi, e oggi non ne rimangono molti, arrugginiti e rovinati dal tempo. Quelle in Scozia e in Inghilterra sono di solito molto semplici e massicce, mentre le uniche che si possono vedere in America sono eleganti ed elaborate, in modo da richiamare vagamente un gazebo da giardino. Si trovano nel Mt. Zion Graveyard, a Catawissa in Pennsylvania, soprannominato dagli abitanti della zona “Hooded Graves Cemetery”, il cimitero delle tombe incappucciate. Due sono ormai rovinate dal tempo, ma una è rimasta in condizioni perfette, ed è quella di Sarah Ann Boone, morta a 22 anni, la cui bianca lapide è ancora eretta e perfettamente leggibile. L’Hooded Graves Cemetery è peculiare perché, oltre a essere l’unico caso americano, le tre tombe appartengono alla stessa famiglia: oltre a Sarah Ann, morta il 18 giugno del 1852, vi riposano anche sua cognata Asenath, morta il 26 giugno del 1852, e sua cugina Rebecca Clayton, morta il 12 maggio sempre del 1852.
Tre donne di una stessa famiglia, morte giovani anche rispetto agli standard dell’epoca e a distanza di poche settimane l’una dall’altra, le cui tombe sono bloccate da delle gabbie in ferro battuto, unico caso in tutta l’America… le leggende che ci sono nate intorno si sprecano. La versione più diffusa, e che riguarda tutte le mortsafe in generale, è che le gabbie venissero poste dai superstiziosi vittoriani per impedire ai morti di uscire dalle tombe, magari trasformati in vampiri succhiasangue.
Ovviamente non è così, e la localizzazione geografica delle gabbie, che come dicevamo è concentrata in particolare in Scozia, dovrebbe già dare qualche indizio sul loro reale utilizzo: si tratta infatti di un sistema di sicurezza per impedire che le salme venissero trafugate dai bodysnatcher, che per l’appunto riaprivano le tombe recenti per vendere i cadaveri a medici e professori che li utilizzavano per studiare l’anatomia umana. Fra questi celeberrimi furono Burke e Hare, (ispiratori anche del racconto di Robert Louis Stevenson Il Ladro di cadaveri, e del recente film con Andy Serkis e Simon Pegg), che operarono proprio a Edinburgo, in Scozia per l’appunto. Come poi si sia arrivati al caso di Catawissa, in Pennsylvania, è un’altra storia, non chiarissima, anche se è evidente che si trattava di qualche convinzione profonda della famiglia delle tre ragazze, e che secondo alcune ricostruzioni potrebbe avere a che fare proprio con un medico locale che in quel periodo si dilettava in dissezioni cadaverica.
A mio avviso, comunque, la parte migliore delle gite cimiteriali è la lettura degli epitaffi, dove, se siamo particolarmente fortunati, oltre ai vari “bravissima persona, uomo esemplare, donna superlativa” (e vi risparmio la scontata battuta che seguirebbe, ma se volete facciamo come all’ikea, ve la costruite da voi), potremmo incappare in qualche iscrizione un po’ più originale e inquietante.
A parte i pittori che dormono sotto una pietra dove la frase “Qui giace John Renie” può essere letta 45760 volte, c’è per esempio il laconico epitaffio di Nick Beef, che riporta solo il suo nome. La particolarità? Il nome è finto, la tomba appartiene a Patric Abedin di New York, e dentro naturalmente non vi riposa nessuno. Il lotto l’ha comprato da giovane, ma la pietra è stata posta solo nel 1996 seguendo un impulso momentaneo mentre svolgeva le pratiche per seppellire sua mamma. Tutto questo perché? Per avere un pur flebile collegamento con il presidente Kennedy, da lui particolarmente amato. Giusto, dimenticavo di dirvi che il lotto è quello accanto e la lapide è pressoché identica a quella di Lee Harvey Oswald, il comunista che uccise il presidente a Dealey Plaza il 22 novembre del 1963.
Il mio preferito però rimane quello di Lilly E. Gray, seppellita a Salt Lake City nel 1958. Poche parole sull’iscrizione tombale, nome, data di nascita, di morte e quel “Victim of the beast 666” che ha fatto drizzare le antenne a tutti i paranormalisti del mondo, tanto che qualcuno le ha dedicato anche un sito web con un progetto finalizzato a scoprire la verità su Lilly e sul diabolico epitaffio della sua tomba. L’ipotesi attualmente più in voga è che l’epitaffio sia opera del marito di Lilly, che in qualche modo incolpava l’odiato governo della morte della moglie, e ha voluto lasciare ai posteri traccia delle sue accuse. Ma un’altra, forse meno probabile, e a mio avviso più affascinante, è quella che nella Bestia 666 vuol leggere un riferimento all’Autostrada 666, che attraversa lo Utah e dove, chissà, Lilly potrebbe essere morta in un incidente.
Ancora più peculiare e irrisolto è infine l’epitaffio di Betty Stiven: situata a Tobago, in un cimitero al cui ingresso troneggia una grande insegna che ne segnala la presenza, la lastra di pietra nera collocata direttamente in terra riporta scolpite in bianco le parole
Beneath these walls are deposited the bodies of Mrs. Betty Stiven and her child. She was the beloved wife of Alex B Stiven. To the end of his days will deplore her death, which happened upon the 25th day of November 1783 in the 23rd year of her age. What was remarkable of her, she was a mother without knowing it, and a wife without letting her husband know it except by her kind indulgence to him.
(Sotto questo muro si trovano i corpi di Mrs. Betty Stiven e di suo figlio. Era l’amata moglie di Alex B Stiven. Fino alla fine dei suoi giorni piangerà la sua morte, che avvenne il 25 novembre del 1783, durante il suo 23mo anno di vita. Di lei fu notevole che fosse una madre senza saperlo, e una moglie senza lasciarlo sapere al marito, tranne per la gentile indulgenza verso di lui.)
Ora, mentre la prima parte dell’iscrizione non è del tutto incomprensibile – considerando ad esempio l’ipotesi che sia morta prima di accorgersi di essere incinta, cosa che magari è stata rilevata per ragioni ignote post-mortem – la metà riguardante la moglie che non l’ha fatto sapere al marito è decisamente più criptica. Leggenda vuole che Betty fosse una giovanissima schiava e si ammalò gravemente durante la gravidanza, tanto da partire quando ancora incosciente: i 4 figli partoriti le furono tenuti nascosti, da cui l'”essere madre senza saperlo”, mentre la questione coniugale potrebbe essere legata alla convinzione che un uomo fosse sposato con la donna di cui prendeva la verginità.
Altri interpretano l’epitaffio in chiave più metaforica, ma nessuno ha finora saputo dare una risposta univoca e convincente alla sorte di Betty.