Gli alberi luminescenti di Novi Ligure
Giandujotto scettico n° 2 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (04/01/2018)
Era il 17 aprile 1938, quando il Washington Post – allora uno dei maggiori quotidiani degli Stati Uniti – raccontava una curiosa storia proveniente dal nostro Paese: a Novi Ligure (Alessandria) alcuni “alberi luminosi” stavano “disturbando gli automobilisti”, dal momento che dopo il tramonto apparivano circondati da “una misteriosa luce brillante”. Il giornale avanzava un paio di ipotesi per spiegare il fenomeno: o “microscopiche lucciole” oppure fuochi di Sant’Elmo (un tipo di plasma dovuto alla differenza di potenziale atmosferico e al potere disperdente delle punte, visibile a volte sugli alberi delle navi all’approssimarsi di un temporale).
In realtà il mistero, se mistero era mai stato, era già stato risolto alcuni mesi prima: gli eventi risalivano infatti al 1937. Secondo quanto riportava La Stampa già il 14 settembre dell’anno prima, alcune ceppaie di olmi da poco tagliati per sistemare una ripa, di notte apparivano ammantati da un alone fosforescente. La luminosità permaneva per diverse ore anche nei frammenti recisi, generando stupore negli abitanti del luogo accorsi ad osservare il fenomeno.
I curiosi raccolgono i frammenti di legno e se li portano con loro per esperimento nell’oscurità. Sono state prese fotografie e frammenti di legno luminoso sono stati inviati alla Facoltà di scienze naturali di Torino.
Lo stesso giorno Stampa Sera pubblicava un approfondimento sul fenomeno della luminescenza vitale, “che da tanto tempo appassiona non soltanto il mondo dei profani, ma schiere di studiosi”. Descriveva quindi la bioluminescenza, comune a molti animali (tra cui le lucciole) e a diverse specie di funghi e muffe. Concludeva raccontando gli esperimenti del medico e naturalista francese Raphaël Dubois, che tra il 1885 e il 1914 aveva scoperto le due sostanze (la luciferasi e la luciferina) coinvolte nella biofosforescenza di alcune specie di insetti e molluschi.
Ad ogni modo il quotidiano piemontese preferiva non fare ipotesi e rimandava al “responso degli esami tecnici”: il Regio ispettore dell’Agricoltura per la sezione di Novi Ligure aveva infatti spedito alcuni campioni all’Università di Torino, da cui attendeva un parere.
La risposta arrivò quasi due mesi dopo, il 5 novembre, per voce del direttore dell’Istituto botanico di Torino, prof. Carlo Cappelletti (1900-1990). Confermava sostanzialmente le prime ipotesi de La Stampa:
ll legno in seguito all’essiccamento subito non ha più ripreso la luminescenza che ella ha potuto osservare in sito, nemmeno dopo averlo messo in camera umida. Il fenomeno rientra in quella serie ben nota di processi bio-ossidativi dovuti alla presenza sul legno o di micelii fungini o di bacterii che in seguito a processi respiratori di cui sono sede emettono una luce che talvolta può essere anche assai intensa.
Dall’esame microscopico ho potuto mettere in evidenza delle ife fungine sottili appartenenti certamente ad un imenomicete. La causa della fosforescenza deve essere perciò ricercata nella presenza di detto fungo che probabilmente sarà stato l’Armillaria mellea, fungo frequente sulle ceppaie di castagni.
Un fenomeno naturale, ma strano a sufficienza da destare curiosità e fantasie, fino a venir associato nelle leggende popolari a elfi, fantasmi e fuochi fatui: non solo nel 1937, ma anche in tempi più recenti.
Foto di Smit Patel da Unsplash