Il “complotto” dei lebbrosi
Oggi, 28 gennaio 2018, è il 65° World Leprosy Day (#WLD2018), la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra istituita dal giornalista francese Raoul Follereau (1903-1977) nel 1954 per attirare l’attenzione su questa malattia e le persone che ne sono colpite.
Da parte nostra, cerchiamo di farlo raccontando una brutta storia, una fake news ante litteram, risalente all’Europa medievale.
[…] [U]na volta ne vidi cento insieme. Deformi, con la carne in disfacimento e tutta biancastra, sulle loro stampelle, le palpebre gonfie, gli occhi sanguinanti, non parlavano né gridavano: squittivano, come topi.
Così, nel romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa, il novizio benedettino Adso da Melk rispondeva al suo maestro Guglielmo da Baskerville che gli aveva domandato se avesse mai visto nelle campagne gruppi di lebbrosi.
“Essi sono per il popolo cristiano gli altri, quelli che stanno ai margini del gregge. Il gregge li odia, essi odiano il gregge” continuava allora il frate francescano alla risposta del giovane “Ci vorrebbero tutti morti, tutti lebbrosi come loro”.
Il romanzo è ambientato nel 1327, in un monastero sui monti dell’Italia settentrionale. Eco aveva certamente in mente quanto era accaduto solo qualche anno prima al di là delle Alpi, in Francia, quando decine di lebbrosi erano stati sterminati per una falsa voce.
E’ una storia raccontata fra gli altri dallo storico Carlo Ginzburg in Storia notturna. Una decifrazione del sabba (1989), un libro appena ripubblicato da Adelphi con una nuova postfazione:
Ancora più ampio il racconto dell’inquisitore domenicano Bernardo Gui. I lebbrosi «malati nel corpo e nell’animo», avevano sparso polveri avvelenate nelle fontane, nei pozzi e nei fiumi, per trasmettere la lebbra ai sani e per farli ammalare o morire. Sembra incredibile, dice Gui, ma aspiravano al dominio della città e delle campagne; si erano già spartiti il potere e le cariche di conti e baroni.
I lebbrosi erano infatti immaginati come una vera e propria corte. Di quest’idea troviamo traccia nella storia di Tristano e Isotta, la cui più antica redazione conservatasi è quella messa per iscritto dal troviere normanno “Béroul” nella seconda metà del XII secolo: “si trattava di rifacimenti e di variazioni di una leggenda antica e celebre, alla quale certo nuovi e più forti e drammatici colori dovevano essere stati aggiunti proprio da quando, in seguito all’intensificarsi dei traffici e dei pellegrinaggi […] lebbra e lebbrosari erano divenuti sempre più frequenti” come chiosava qualche anno fa il medievista Franco Cardini. Lasciamo nuovamente la parola ad Adso:
[…] [R]icordo una storia di re Marco che doveva condannare Isotta la bella e stava facendola salire sul rogo, e vennero i lebbrosi e dissero al re che il rogo era pena da poco e che ve n’era una peggiore. E gli gridarono: dacci Isotta che appartenga a tutti noi, il male accende i nostri desideri, dalla ai tuoi lebbrosi, guarda, i nostri stracci sono incollati alle piaghe che gemono, lei che accanto a te si compiaceva delle ricche stoffe foderate di vaio e dei gioielli, quando vedrà la corte dei lebbrosi, quando dovrà entrare nei nostri tuguri e coricarsi con noi, allora riconoscerà davvero il suo peccato e rimpiangerà questo bel fuoco di rovi!
Continua Gui (quello vero, non il personaggio di Eco) riportato da Ginzburg:
Molti, dopo essere stati imprigionati confessarono di aver partecipato a riunioni segrete o capitoli, che i loro capi avevano tenuto per due anni di seguito allo scopo di ordire il complotto. Ma Dio ebbe pietà della sua gente: in molte città e villaggi i colpevoli furono scoperti e bruciati. Altrove la popolazione inorridita, senza aspettare un giudizio in piena regola, sbarrò le case dei lebbrosi e le diede alle fiamme insieme ai loro abitanti. In seguito però si decise di procedere in maniera meno precipitosa: e da quel momento i lebbrosi superstiti risultati innocenti furono, con provvida decisione, reclusi in luoghi in cui avrebbero dovuto restare a consumarsi in perpetuo senza uscire più. E perché non potessero più nuocere né riprodursi, gli uomini e le donne vennero rigidamente separati.
In una qualche forma la voce doveva già circolare a Carcassonne, in Occitania, verso la fine del 1320. In una protesta al re di Francia Filippo V (1293-1322), infatti, fra le altre cose si affermava che i lebbrosi si stavano apprestando a diffondere il loro morbo “con veleni, pozioni pestifere e sortilegi”. Le autorità locali suggerivano al Re di rinchiudere i lebbrosi dividendo maschi e femmine e, bontà loro, si offrivano di amministrare redditi, elemosine e lasciti dei lebbrosi in cambio del loro mantenimento. La voce sull’avvelenamento delle acque da parte dei lebbrosi era già in circolazione a Périgueux, nel sud-ovest della Francia, il 16 aprile 1321 (Giovedì Santo), estendendosi poi in tutta l’Aquitania e in varie altre parti del regno. Diffondendosi, la voce si modificò e si amplificò, anche grazie ai processi e alle dichiarazioni sotto torture: i responsabili del complotto erano i lebbrosi (la versione meno complessa), oppure questi erano stati istigati dagli ebrei (del resto, l’accusa di avvelenare le acque era già stata utilizzata altrove contro questi ultimi e nel documento di Carcassonne li si accusava di profanare l’ostia consacrata procurata loro dai lebbrosi e da altri cristiani), a loro volta spinti a ciò dal re di Granada, l’ultima monarchia musulmana in terra di Spagna, allora retta dall’emiro Ismāʿīl I (1279-1325), pronipote del fondatore della dinastia dei Nasridi.
Ma è un dettaglio, come ci ricorda Ginzburg: “i re saraceni, lontani anzi irraggiungibili, erano un elemento di contorno, operante solo sul piano simbolico”. Il saraceno fa paura, ma è esterno.
Lebbrosi ed ebrei sono invece “nemici interni”, che stanno al margine del gregge, che odiano il gregge, per usare le parole di Guglielmo/Eco: fanno molta più paura e suscitano invidia per i loro beni. E, non è da poco, possono essere acchiappati e puniti. Dal basso, e si ebbero i linciaggi. Dall’alto: con i processi intentati dalle autorità civili e religiose e con gli editti reali, prima contro i lebbrosi, a giugno, e poi contro gli ebrei, a fine luglio. Poi, un poco alla volta, la voce si esaurì e così le persecuzioni che aveva generato.
Contro gli ebrei riemerse nuovamente con l’arrivo della peste nel 1348, ma questa è un’altra storia.
Per Ginzburg ci si trovò di fronte a due complotti. Non, ovviamente, attribuibili ai lebbrosi o agli ebrei. Ma di quello contro i lebbrosi, e di quello contro gli ebrei:
L’ondata di violenze contro i lebbrosi, scatenata dal primo, dilagò nel Sud e nel Sud-Ovest [della Francia], con una propaggine a oriente, nella zona di Losanna. Quella, di pochissimo posteriore, suscitata dal complotto contro gli ebrei, colpì invece soprattutto il Nord e il Nord-Est.
E ancora:
Parlando di complotto non si vuole semplificare indebitamente un intreccio causale complesso. Può darsi benissimo che le prime accuse siano nate spontaneamente, dal basso. Ma da un lato, la rapidità con cui la repressione si diffuse, in un’età in cui le notizie viaggiavano a piedi, a dorso di mulo, tutt’al più a cavallo; dall’altro, la ramificazione geografica del presumibile epicentro di Carcassonne […], rivelano l’intervento di azioni deliberate e coordinate, volte ad orientare in una direzione predeterminata una serie di tensioni già in atto. Complotto significa questo e soltanto questo.
Forse oggi queste riflessioni andrebbero riconsiderate (ed eventualmente confermate) tenendo conto di quanto elaborato in questi anni in tema di leggende contemporanee, di panici e del ruolo che possono avere interessi e gruppi sociali nella loro diffusione. Consapevoli però di trovarci di fronte ad episodi che possiamo solo ricostruire fino ad un certo punto. Anche Ginzburg scriveva che
Altrettanto assurdo sarebbe supporre che tutti gli attori della vicenda (escluse le vittime) agissero in malafede. In realtà la malafede è, in questo contesto, irrilevante – oltre che inverificabile. L’uso della tortura nei processi per strappare una versione già confezionata, o la fabbricazione di falsi per scopi più o meno pii sono […] operazioni che è possibile compiere anche in perfetta buona fede, nella convinzione di certificare una verità di cui malauguratamente mancano le prove. Coloro che ordinarono, sollecitarono o confezionarono le prove della presunta congiura – dai sacchetti pieni di erbe velenose, alle confessioni false, alle lettere apocrife – potevano anche essere convinti della colpevolezza dei lebbrosi e degli ebrei. Che lo fosse la grande maggioranza della popolazione, sembra più che probabile. Quanto alle autorità […] non sapremo mai fino a che punto credessero all’innocenza di coloro che perseguitavano. Ma il loro intervento fu decisivo. Descrivere tutta la vicenda come un’oscura convulsione della mentalità collettiva che travolse tutti gli strati della società, è una mistificazione. Dietro l’apparente unanimità dei comportamenti s’intravede un campo di forze, di diversa intensità, ora convergenti ora in conflitto.
Oggi, almeno qui in Europa, quando accaduto nel 1321 non potrebbe più succedere. Ma la lebbra, una malattia infettiva di origine batterica, curabile e in modo gratuito, continua a colpire, con, nel mondo, almeno 200.000 nuovi casi all’anno. E, come ricordavamo l’anno scorso, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la marginalizzazione, esiste ancora oggi:
Lo stigma secolare associato con la malattia rimane un ostacolo per le auto-segnalazioni e il trattamento precoce. L’immagine della lebbra deve essere cambiata a livello globale, nazionale e locale. Un nuovo ecosistema, in cui i pazienti non esiteranno a farsi avanti per la diagnosi e il trattamento in una qualsiasi struttura sanitaria, deve essere creato garantendo che non vi saranno discriminazioni e promuovendo l’integrazione.
Non può più essere che i malati di lebbra siano “gli altri, quelli che stanno al margine del gregge”.
Immagine in evidenza: miniatura da manoscritto di opera di Vincenzo da Beauvais, XIV secolo (Pubblico dominio, via Wikimedia Commons)
La lebbra o malattia di Hansen (dal nome del medico norvegese Gerhard Henrik Armauer Hansen, 1841-1912) è una malattia infettiva e cronica che può essere causata da due batteri la cui storia genetica si separò milioni di anni fa, Mycobacterium leprae, scoperto da Hansen nel 1873, e Mycobacterium lepromatosis scoperto da Xiang-Yang Han solo nel 2008.
Uno studio filogenomico appena pubblicato (open access) dal bio-informatico Andrej Benjak (del Global Health Institute, École Polytechnique Fédérale de Lausanne, in Svizzera) et al. su Nature Communications, basato su 154 genomi (contemporanei) di M. leprae provenienti da 25 stati suggerisce che il batterio oggi attestato abbia avuto origine in Eurasia, probabilmente in Estremo Oriente. “Questo e altri studi pubblicati a partire dal 2013 hanno capovolto la precedente narrazione di un’origine africana” ha notato su Twitter la storica della medicina Monica H. Green (Arizona State University), non coinvolta in questa ricerca “almeno nella forma che si manifesta attualmente come una malattia umana” (il serbatoio naturale del batterio non è stato ancora identificato). Green aggiunge che questo studio supporta l’ipotesi, già avanzata in precedenza, che come patogeno umano M. leprae sia relativamente giovane: Benjak e collaboratori stimano che l’ultimo antenato comune delle linee del batterio attualmente in circolazione risalga a 3699 anni fa, quindi a circa al 1700 a.C. “Tutte le linee esistenti e testimoniate da aDNA [DNA antico] per ora documentate derivano da questa singola introduzione umana” riassume Green (ricordando che possibili evidenze paleopatologiche di lebbra sono stata segnalate per l’India del 2000 ca. a.C. e per l’Ungheria del 3700 ca. a.C., ma queste date precedenti “non sono necessariamente in conflitto con la datazione stimata da Benjak e al., perché sappiamo che M. leprae come organismo ha diversi milioni di anni” e che quindi potrebbero essere, se confermate, manifestazioni dovute a precedenti esposizioni al batterio). La ricostruzione filogenetica proposta da Benjak e al. darà da che pensare agli storici della medicina medievale. Linee precedentemente documentate nel Nord Europa dell’11/12 secolo (parte del subtipo 2F) sembrano infatti avere in comune un antenato (risalente all’incirca al 500 d.C.) con due campioni raccolti nell’Etiopia contemporanea: cos’è accaduto? Alla stessa domanda sarà necessario rispondere, nota Green, per il subtipo 3I, documentato nella Danimarca e nel Regno Unito medievale. Originato apparentemente intorno al 1 secolo d.C., è oggi diffuso fra gli scoiattoli britannici, ma è presente anche nelle Americhe. |
Nel 1344 circolava la Voce che i NO VAX volessero far ammalare di morbillo tutti i sani, spargendo fake news sui vaccini.