Giandujotto scettico

Torino, 1939: razzi, missili e false comete

Giandujotto scettico n° 6 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (01/03/2018)

Fu uno spettacolo davvero curioso, quello a cui i torinesi assistettero verso le 21 del 7 ottobre 1939: una “cometa” che partiva dal basso, con una doppia scia luminosissima, che si muoveva piuttosto lentamente e che a 2000 metri di quota si trasformò in una piccola “luna” abbagliante, per poi spegnersi dopo un po’.

In molti pensarono che la misteriosa luce fosse legata alla cometa Giacobini-Zinner (da cui deriva lo sciame meteorico delle Draconidi), che stava per rendersi visibile e che sei anni prima aveva prodotto spettacoli incredibili.

La spiegazione era invece un’altra. Un po’ prima della metà degli anni ’30 del secolo scorso, infatti, a Torino era sorto un sodalizio interessato a sperimentare razzi e motori a reazione, come modi per spingersi verso l’“ultrastratosfera”, cioè verso lo spazio.

Ne fu ispiratore soprattutto la peculiare personalità di Giorgio Cicogna (1899-1932), che fu uno dei primi scrittori di fantascienza in Italia e si appassionò al volo spaziale – al punto da rimanere ucciso nell’esplosione di un motore che stava testando, proprio a Torino, nell’agosto del 1932. Non fu purtroppo l’unica vittima di questa “corsa allo spazio ultrastratosferico” sulle rive del Po: dopo di lui scomparve anche un ufficiale della Marina, Alberto Cuniberti (1899-1934), mentre provava una tuta da palombaro in una piscina della città.

Rimase invece in vita il più brillante e dotato di capacità tecniche del gruppo, l’ing. Claudio Belmondo, che aveva finanziato Cicogna e che, insieme agli altri, intorno al ’33 aveva dato vita al “Centro studi di propulsione a reazione”, che da lì a poco ebbe sede presso la ditta meccanica di Belmondo, la “Società anonima Volugrafo”, in corso Belgio 107 (i relativi edifici sono scomparsi). Nella Seconda Guerra Mondiale la “Volugrafo” produsse tecnologie originali ed avanzatissime anche per le Forze armate.

Ma la vera passione di Belmondo erano i razzi. Nel settembre-ottobre del ’39 Stampa Sera dedicò a questo suo hobby una serie di servizi.

Belmondo impiegava razzi in bachelite, una resina fenolica allora usatissima, lunghi 60 centimetri, stabilizzati con giroscopi collegati ad impennaggi e spinti da propellenti liquidi, che arrivavano a tre chilometri di distanza e a qualche migliaio di metri di altezza. Nulla di lontanamente paragonabile con le esperienze in corso in altre parti del mondo, in primo luogo da parte dell’americano Robert H. Goddard, ma pur sempre abbastanza innovativi per l’epoca. Belmondo progettava di dotarli di carichi per la guerra psicologica (ad esempio, volantini) e poi aggiungere motori a reazione dopo la spinta iniziale a razzo, per arrivare a testare veri missili a lunga autonomia.

Ma la realtà era quella di esperimenti ancora piuttosto modesti, sia pure fatti con il sostegno delle autorità, a partire dal capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, il generale Giuseppe Valle.

Nonostante questo, i lanci rappresentavano una visione meravigliosa e inquietante per la popolazione, che non era abituata a simili spettacoli. Ebbene sì: la “cometa” del 7 ottobre 1939 era proprio dovuta a uno dei razzi di Belmondo, munito di una sfera di un chilo di magnesio, che era stato fatto partire da Valle Ceppi – una località sulla collina torinese, sotto la basilica di Superga. Era stato quello, incendiandosi, a produrre la sensazione della “luna” in espansione, di cui Stampa Sera si era occupata il 9 ottobre.

Curiosamente, la “cometa” torinese del 1939 aveva anticipato in modo un po’ casalingo un genere di casistica ufologica che avrebbe avuto parecchio successo negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale: quella generata, a partire dagli anni ’50, da lanci di razzi-sonda sino ad alte quote, con contemporaneo rilascio di gas luminosi per lo studio geofisico della ionosfera, come nel caso degli “Skylark” inglesi.

Dopo la fine del conflitto Belmondo continuò per un po’ i suoi esperimenti a Torino. Ma ormai era il tempo dei grandi missili balistici, quelli nati dalla guerra, e del balzo vero e proprio verso lo spazio: un’impresa che sarà coronata, nel giro di pochi anni, dalla capacità di sfuggire per la prima volta alla gravità terrestre.

Immagine: Giorgio Cicogna, morto a Torino nel 1932 mentre sperimentava un motore per razzi. Fu il padre del gruppo di appassionati cui apparteneva l’ing. Belmondo.

Foto di SpaceX da Unsplash