I misteriosi boati di Entracque
Giandujotto scettico n° 12 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (24/05/2018)
Brontidi. Una parola colta, nota a pochi e comunque ormai quasi dimenticata. Fu coniata nel 1904 da un geologo, Tito Alippi (1870-1959), una figura dai molteplici interessi che non escludevano la metapsichica (come allora si chiamava la parapsicologia) e i fulmini globulari.
Fra il 1896 e il 1925 anche sulla stampa scientifica si moltiplicarono i saggi su questo fenomeno, presunti rumori dall’origine controversa – atmosferica o sotterranea? ci si chiedeva – dalle caratteristiche diverse ma sovente descritti come boati, rombi o simili, parecchie volte in aree montagnose o prossime alle coste marine.
Malgrado l’attenzione per i supposti brontidi non sia del tutto scomparsa fra i geologi, anche in questo caso è chiaro a sufficienza che si trattò di un interesse relativamente passeggero, stimolato da alcune pubblicazioni iniziali e l’attenzione per il quale quanto a risultati scientifici non condusse da nessuna parte.
Sia pure in modo sporadico, anche in Piemonte si è continuato a parlare di rumori persistenti in zone montane. Uno dei casi recenti è quello che mise in allarme la Val Grande di Lanzo nel 1999 e poi nel 2004-2005.
Il Giandujotto scettico oggi però si sofferma su un’altra vicenda, ormai piuttosto remota nel tempo ma assimilabile alla controversia sui brontidi: quella che riguardò una piccola area delle Alpi cuneesi a partire dalla primavera del 1966.
Nella notte sul 7 gennaio di quell’anno, nella zona di Entracque, in val Gesso, furono avvertite alcune scosse sismiche accompagnate da boati. Non ne è chiara l’intensità, ma da subito – stando a La Stampa del giorno 8 – accadde una cosa che accompagnerà tutta questa storia. La popolazione associò i rumori ai lavori per la costruzione della diga del lago artificiale della Piastra, destinata a alimentare la nuova, grande omonima centrale idroelettrica.
Nella convinzione diffusa, quest’opera diventerà la principale indiziata per la lunga serie di “boati” che tormenteranno per anni la zona.
Uno studioso espertissimo della geologia delle Alpi occidentali, l’ingegnere Giancarlo Soldati, docente di matematica a Cuneo (1923-2013), fin da subito spiegherà con chiarezza che le scosse erano ben note in zona e che a causarli erano le frizioni fra i gneiss del massiccio dell’Argentera e i calcari sedimentari della media valle del Gesso. Ma con scarso ascolto.
Quando il 7 aprile due scosse più intense provocarono qualche danno a Entracque e a Valdieri, fu il panico. La colpa, non c’erano dubbi secondo la voce che girava, era della diga dell’ENEL. L’amministrazione comunale di Entracque chiese di arrestare l’immissione delle acque: a partire dal giorno 9 la popolazione cominciò a riferire di più persistenti “boati sotterranei” che cessavano quando l’acqua non era immessa. Qualcuno parlava in maniera assolutamente priva di fondamento scientifico, di “miscele con i calcari, che poi provocavano gli scoppi” (La Stampa del 12 aprile 1966). Il prefetto, dal canto suo, visto il clima di spavento, interpellò diversi sismologi per render conto del “mistero” e fra essi il professor Carlo Morelli, dell’Osservatorio Geofisico Sperimentale di Trieste. Si dispose la collocazione di una piccola rete di sismografi. Da Roma giunse la troupe di TV7, rotocalco televisivo Rai allora popolare.
Il clima era rovente. Quando nella notte sul 15 aprile si avvertirono altri due boati, i più infervorati cominciarono a parlare della possibilità di marciare sulla diga del lago. Mentre l’arrivo dei geologi tardava – alimentando la psicosi – nei giorni successivi i “turisti del boato” arrivavano in zona, curiosi di sentire le scossettine e, soprattutto, i misteriosi scoppi.
I geologi giunsero, piazzarono i sismografi, ma la pressione dell’opinione pubblica locale crebbe finché, dal 1° maggio 1966, l’ENEL sospese per tre mesi l’immissione delle acque nei canali sotterranei. Stampa Sera del 30 aprile parlò di “manifestazioni di entusiasmo” per la decisione. Lo stop era, in modo del tutto illogico, considerato la “prova” che la colpa di sismi e boati era della nuova, grande struttura.
Ma l’entusiasmo durò poco: l’11 maggio giunsero altre due scosse a diga chiusa e nuovi boati…
Dunque, non era colpa della diga? Ma no! Il capro espiatorio restava quello. Il 17 maggio un lettore di Entracque si vide pubblicare una sua lettera su Stampa Sera. Dalla chiusura della diga non è che i boati fossero scomparsi: erano solo diminuiti, e lui ne contava con attenzione numero ed intensità. In questo modo la pseudorelazione di causa-effetto fra attività della diga, sismi e boati veniva rafforzata, anziché risultare indebolita…
Di fatto, lavori di consolidamento tennero chiusa la diga sino al 1° settembre. A inizio novembre i boati ripresero ad esser riferiti dalla popolazione, mentre i geologi continuavano a ripetere che si trattava di normale, modesta attività sismica di assestamento e che la centrale non aveva nulla a che vedere con quanto accaduto (Stampa Sera del 2 novembre 1966) – ammesso che un fenomeno ci fosse davvero e che invece non si violasse quello che gli scettici chiamano imperativo categorico di Hyman.
Poi, quando la storia sembrava essersi esaurita, a fine inverno ’67 la paura dei botti riprese il sopravvento, anche stavolta con conseguenze clamorose.
In febbraio, infatti, i boati erano tornati, seppure – a quanto pare – con un’intensità inferiore rispetto a quella dell’anno precedente. Il panico collettivo si riaccese e raggiunse un nuovo parossismo.
La Stampa del 7 marzo annunciò che il sindaco di Entracque aveva chiuso le scuole. Il primo cittadino di quel paese e quelli e dei comuni vicini inviarono un telegramma al presidente della Repubblica, Saragat, per chiedere di far chiarezza sui rumori che spaventavano tutti. Le scuole furono rapidamente riaperte, ma non bastò. La sera del 13 quasi tutta la popolazione di Entracque si radunò a tarda sera davanti al municipio per chiedere provvedimenti contro i “boati sotterranei”. Malgrado non si fosse trovata nessuna evidenza di colpevolezza per i supposti rombi, la richiesta era di nuovo quella di un decreto prefettizio di chiusura della diga. Dovettero arrivare da Cuneo il questore e il comandante del gruppo Carabinieri per calmare la folla.
I lavori proseguirono, le opere diventarono imponenti, mentre una parte degli abitanti continuava a guardare a dir poco con sospetto l’ENEL e i suoi “boati” – giacché si direbbe proprio che le due cose, nell’opinione di alcuni quasi coincidessero – e, cessata la fase di psicosi collettiva, il mistero dei “rumori” diventò parte del patrimonio culturale della zona, sopravvivendo, per quanto ne sappiamo almeno per un decennio.
Nell’ottobre del 1970 in Prefettura si discusse dell’intervento di non meglio precisati “tecnici russi” richiesti di occuparsi della cosa (La Guida, Cuneo, 30 ottobre 1970), ma non è chiaro se l’idea ebbe seguito.
Ancora, nel 1977, quando una notte fu avvertito un altro botto, risultò che il sindaco del tempo, Aldo Quaranta, attribuiva i rumori alla diga dell’ENEL, ormai in funzione. I dirigenti dell’impianto smentirono ancora danni, rumori assordanti o legami con movimenti tellurici (La Stampa, 22 febbraio 1977).
Poi la saga dei boati di Entracque parve esaurirsi e passò all’eterna storia delle paure per le nuove tecnologie, per l’innovazione e – ancor di più – per la trasformazione del panorama e del territorio, a volte improvvisa, incomprensibile, destabilizzante, rumorosa.
Foto di Blackdelia, da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0.