La cosa che cadde su Tunguska
Prima mattina del 30 giugno 1908, Impero Russo, Siberia centrale, valle del fiume Tunguska Pietrosa (in russo Podkamennaâ Tunguska), esattamente 110 anni fa. Un corpo celeste entrato in atmosfera esplose a qualche km di altezza, devastando 2150 km² (un’area pari a quella dell’intera provincia di Padova) di taiga, la tipica foresta boreale ricca di conifere che caratterizza le alte latitudini euroasiatiche. In ricordo di quest’evento (Tunguska Event, TE), a partire dal 2015, il 30 di giugno è l’Asteroid Day, una giornata che ha lo scopo di richiamare l’attenzione del mondo sui rischi di impatto e sui possibili fattori di mitigazione.
Tunguska tra scienza e media
Di quel che successe in quella regione remota della Russia la maggior parte dei cittadini occidentali rimase inconsapevole. Sulla stampa non uscì nulla, a parte qualche articolo in russo: quelle erano infatti zone abitate solo dagli Evenchi (peraltro a quei tempi conosciuti come Tungusi), un popolo nomade di cacciatori e pastori, con contatti ridotti con il resto dei russi.
In effetti, però, anche chi abitava nei paesi dell’Europa Settentrionale ebbe modo di sperimentare alcuni effetti secondari di quell’esplosione: all’inizio di luglio, in Inghilterra e altrove, “[d]opo una serie di tramonti luminosi abbiamo avuta per due notti di seguito una magnifica aurora boreale. Londra, nelle ore notturne, era soffusa di un pallido chiarore giallognolo sufficiente a lasciar distinguere gli oggetti come di pieno giorno […]” (Corriere della Sera, 3 luglio 1908). Allora si pensò che il fenomeno fosse attribuibile a polvere vulcanica in sospensione in atmosfera, mentre oggi sappiamo invece che era sì polvere, ma del Tunguska Cosmic Body (TCB).
Le diverse spedizioni che si susseguirono, a partire da quella del 1927 organizzata dal pioniere delle ricerche, il mineralogista Leoníd Alekséevič Kulík (1883-1942) non trovarono traccia di un meteorite o di un cratere d’impatto, dando così origine a quello che in russo fu chiamato Tungusskoe divo, la “meraviglia di Tunguska”. Un evento del genere può essere causato da un asteroide (un corpo sostanzialmente roccioso) o da una cometa (un corpo composto da roccia e ghiaccio): i russi si orientarono verso l’ipotesi cometaria, gli studiosi occidentali, invece, preferirono quella asteroidale.
Dalla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, anche Bologna ha avuto un ruolo centrale negli studi su Tunguska grazie all’impulso dei fisici Giuseppe Longo e Menotti Galli (1922-2011). Il gruppo di ricerca che si è formato intorno a loro, a Bologna, al Dipartimento di Fisica, e altrove, ha all’attivo diverse spedizioni nell’area di Tunguska e l’organizzazione di una conferenza internazionale nel 1996 che ha portato, finalmente, studiosi russi e occidentali a confrontarsi sulla natura del TCB.
Nel 2007, sulla rivista scientifica Terra Nova, Luca Gasperini (geologo marino presso l’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ISMAR-CNR, di Bologna), Giuseppe Longo e altri ricercatori, riesaminando le evidenze raccolte durante le spedizioni “bolognesi” a Tunguska degli anni precedenti, hanno ipotizzato che un lago, chiamato Čeko, a circa 8 km a nord-nord ovest dell’epicentro stimato per l’esplosione possa essere quel che rimane del cratere d’impatto di un frammento sopravvissuto a quest’ultima. Il particolare tipo di suolo, un terreno alluvionale in un’area paludosa, insieme con il riempimento da parte di un corso d’acqua, avrebbero contribuito a mascherare le forme tipiche di un cratere. In effetti, pur con tutti i limiti dovuti allo scarso popolamento, non sembrano esserci attestazioni dell’esistenza del lago prima dell’evento di Tunguska. E’ la soluzione del mistero del cratere mancante? Manca ancora la prova conclusiva. Solo nuove indagini in loco potranno dircelo. “La storia del lago continua” racconta oggi a Query Online Gasperini “Abbiamo sottoposto un grosso progetto di perforazione e in questi giorni è in corso una spedizione sul posto, organizzata da noi in collaborazione con ricercatori russi”.
L’arrivo in Italia di un’ipotesi “fantastica”
Se oggi forse siamo ad un passo dalla risoluzione dell’enigma Tunguska, non può stupire il fatto che nel corso degli anni siano state proposte una serie di ipotesi “non tradizionali”, come le ha definite Longo in un suo intervento di una decina di anni fa. Fra queste, una in particolare ebbe molto successo, soprattutto -ma non solo- al di fuori della comunità scientifica. In Italia questa ipotesi pare giunse da oltrecortina una sessantina di anni fa: “[p]aradossale ipotesi di uno scienziato […]” (La Stampa, 7 marzo 1959), “[s]arebbe una nave spaziale il meteorite esploso in Siberia nel 1908” (Corriere della Sera, stesso giorno). Entrambi i giornali stavano riprendendo più o meno bene un articolo, “Na Zemi spadla raketa z jiné planety?” (“Un razzo di un altro pianeta è stato lanciato sulla Terra?”), non firmato, che era apparso il giorno precedente su due pagine di un quotidiano di Praga, il Práce, l’organo ufficiale dei sindacati cecoslovacchi.
Vi si diceva che questa ipotesi era stata recentemente presentata da un autore russo, tale Alexandr Kazancev, in un libro intitolato “L’ospite del cosmo” pubblicato dalla “Casa editrice di Stato per la letteratura geografica” di Mosca. Per lo scrittore, “il misterioso ospite del cosmo era stata un’astronave il cui combustibile nucleare era esploso per cause sconosciute”, un qualcosa che era in grado di spiegare l’assenza di un meteorite o di un cratere. Un visitatore proveniente da Marte? Sì e no: secondo i calcoli del pioniere dell’astronautica Ary Šternfel’d (1905-1980), se di astronave doveva trattarsi, questa poteva provenire al limite da Venere. Per Kazancev allora si trattava sì di marziani, ma marziani che erano stati sulla “stella del mattino” per recuperare l’acqua ormai indisponibile sul pianeta d’origine.
In realtà, già prima che Kazancev enunciasse la sua ipotesi nei mesi invernali del 1945/46, qualche altro autore di fantascienza aveva inserito nelle proprie opere l’idea di un’astronave come causa della catastrofe di Tunguska.
E’ il caso, ad esempio, di William Ritt e Clarence Gray (come ci ha segnalato Marco Ciardi), in una serie di strisce giornaliere della storia “The Queen of the Night” dell’universo narrativo di Brick Bradford, in particolare in quella che diversi quotidiani statunitensi pubblicarono il 1 agosto 1945: “uno dei grandi misteri del nostro secolo”, il “cataclisma siberiano” era stato fino ad allora attribuito a “un grande meteorite che aveva colpito la Terra”; in realtà, però, ipotizza Brick “[l]a foresta siberiana può essere stata distrutta non da un meteorite caduto ma dal getto dei reattori di una grande astronave che abbandonava la Terra”.
Anche Aleksandr Petrovič Kazancev (1906-2002), nato in quella che oggi è Astana, capitale del Kazakistan, ma allora la città russa di Akmolinsk, era ormai uno scrittore di fantascienza a “tempo pieno”, dopo essere stato un ingegnere laureatosi a Tomsk, in Siberia, e un colonnello “tecnico” durante la Seconda Guerra Mondiale (nella quale Kulik morì di tifo in un campo di prigionia tedesco), inviato subito dopo la guerra in Austria per collaborare, per conto dei sovietici, allo smantellamento tecnologico dell’Austria. Ma per lui, quello dell’astronave non era un artificio narrativo, bensì il modo per veicolare “in forma artistica” la sua “ipotesi scientifica”, nata leggendo i resoconti di quanto avvenuto a Hiroshima e a Nagasaki, su quanto era accaduto nel 1908, come scrisse la Literaturnaja gazeta dell’8 dicembre 1945, descrivendo la lettura, a una riunione di scrittori, di un suo racconto che venne poi pubblicato come “Vzryv : Rasskaz-gipotjeza” (lett. “Esplosione: la storia di un’ipotesi”, mai tradotto in italiano) su Vokrug sveta il gennaio successivo. Un racconto che terminava in questo modo:
C’è anche la possibilità che l’esplosione sia avvenuta non in un meteorite di uranio, ma in una nave spaziale interplanetaria alimentata dall’energia atomica. Dopo essere atterrato nella parte alta della Podkamennaâ Tunguska, potrebbero essersi sparsi per studiare la taiga circostante quando la loro nave fu distrutta in una qualche sorta di incidente […]
“Idee utili si possono trovare in buone storie di fantascienza, come Vzryv”, dice a Query Online Giuseppe Longo: Kazancev, ad esempio, “fu il primo a spiegare l’assenza di frammenti o di un cratere d’impatto con un’esplosione in atmosfera. Molti anni dopo, l’idea fu riconosciuta come una buona spiegazione di molti effetti rilevati a Tunguska”. Senza voler fare troppi spoiler (il racconto è stato finalmente tradotto in inglese nel 2015 all’interno dell’antologia Red Star Tales), uno dei personaggi è una donna dalla pelle scura, divenuta sciamana presso gli evenchi: nei suoi rituali ad avere un posto speciale è la “stella del mattino”, Venere, forse chissà, il luogo di origine che nel 1946 Kazancev già immaginava per la sua astronave ad energia atomica.
Lo stesso Gost’ iz kosmosa (lett. “Ospite del cosmo”), citata dal Práce e pubblicato nel 1958, era in realtà una raccolta di racconti dell’ingegnere sovietico: fra questi, “Gost’ iz kosmosa“ (o “Il visitatore sconosciuto”, come lo chiamerà Galassia quando verrà tradotto in italiano, dall’inglese, nel 1963) che diede il titolo alla raccolta e che era già apparso, in una prima versione, nel marzo 1951 su Tehnika–molodëži (una rivista di divulgazione tecnologica per i giovani) e un più breve, e nuovo, “Marsianin” (“Il marziano”, nella traduzione del 1963), idealmente collocato nello stesso universo narrativo.
Proprio il primo di questi due era alla base dell’articolo del Práce. Soprattutto lo era la lunga nota “divulgativa” che Kazancev vi aveva inserito, che non troveremo però tradotta su Galassia. Come infatti scrive lo scrittore Isaac Asimov (1920-1992) nell’introduzione all’edizione statunitense Collier Books di una raccolta di racconti di fantascienza sovietica (Soviet Science Fiction, 1962, a sua volta basata su quella preparata dai moscoviti della statale Foreign Languages Publishing House, A visitor from outer space, 1961), da cui fu poi tratta l’edizione italiana, la nota era “completamente inutile […] e inoltre noiosa” ed era quindi stata omessa “misericordiosamente”: oggi non ci si può che chiedere se la noia aveva colto il curatore già nei primi paragrafi, perché quella su Tunguska era sì “una teoria piuttosto stravagante”, ma di certo non era dell’astronomo russo Gavriíl Adriánovič Tíhov (1875-1960).
In quella nota Kazancev, oltre a difendere la propria ipotesi, esponeva le idee di Tihov sulla possibilità di vita vegetale su Marte e Venere, la questione dei “canali di Marte” e quella dei supposti segnali marziani del 1909 (forse, suggeriva, tentativi di mettersi in contatto con i cosmonauti dispersi?).
Fra critiche e apprezzamenti
Ma torniamo a come la teoria fu accolta sulla stampa italiana del 1959. Dopo i rilanci “da agenzia” che abbiamo sopra citato, furono due corrispondenti da Mosca, i giornalisti Maurizio Ferrara (1921-2000, padre di Giuliano) su L’Unità dell’8 marzo e Vero Roberti (1910-?) ancora sul Corriere della Sera del 18 marzo, a dar voce alle critiche che, almeno dal 1948, avevano accompagnato in patria l’ipotesi, spiegando che quella di Kazancev era una “bella favola” e che l’autore era stato preso “nel vortice della sua fantasia” (Roberti):
Dopo aver letto questa favola, ci siamo rivolti al prof. Luzki, del Planetario di Mosca, per conoscere il suo parere sull’ipotesi della nave spaziale precipitata nel cuore della Siberia. Egli ha dichiarato che [Kazancev][…] è solo un romanziere e che non ha alcuna competenza scientifica nel campo dell’astronautica. La sua favola è solo fantascienza. Anche le esposizioni cosiddette scientifiche a commento del racconto sono frutto della fantasia. (Corriere della Sera)
[…] Krinov [Evgenij Leonidovič Krinov, già discepolo di Kulik e, allora uno dei massimi esperti su Tunguska, 1906-1984] e gli altri scienziati sostengono apertamente che l’ipotesi di [Kazancev] […] è pura «ciarlataneria» e che essa serve non a far progredire la scienza ma la […] sensazione […], utile solo agli scrittori scandalistici. (L’Unità)
Al limite, chiosava Ferrara, “come spesso accade, la verità è nel mezzo. Vero cioè che si tratti d’una meteorite, non vero che si tratti di una meteorite esplosa a terra, come fino ad oggi sostenevano gli scienziati”. Una considerazione con cui, come abbiamo visto sopra, è d’accordo, al di là delle questioni terminologiche, anche Longo.
Molto più benevolo nei confronti dell’ipotesi fu invece un periodico di astronautica, missilistica e fantascienza pubblicato a Roma, Oltre il Cielo, edito dal giornalista aeronautico e scrittore di fantascienza Armando Silvestri (1909-1990) e diretto da un altro giornalista aeronautico, Cesare Falessi (1930-2007). Nel numero di giugno di quel 1959 fu pubblicato un articolo dello stesso Kazancev, intitolato “Il meteorite di Tungus era un’astronave marziana?” (di cui per il momento non siamo riusciti a ricostruire l’origine) in cui l’autore sovietico riaffermava la propria ipotesi. Il testo era preceduto da un redazionale non firmato in cui la si accoglieva con interesse: “finora sembra l’unica a dare perfetta spiegazione dei fenomeni che seguirono ed accompagnarono la spaventosa esplosione del 30 giugno 1908”.
Sul numero precedente, quello della seconda metà di maggio, in un articolo intitolato “Pionieri dell’infinito” (che faceva parte di un’inchiesta sui dischi volanti) era stato un giornalista allora residente a Bolzano, che andava sotto lo pseudonimo di Peter Kolosimo (1922-1984) a parlare per primo su questa rivista dell’ipotesi del russo: “[…] i Sovietici asseriscono d’avere nel loro territorio addirittura un’astronave: è questa l’affascinante ipotesi sostenuta da Alexander Kazansev […] ed appoggiata da da numerosi scienziati”. Fatte salve alcune anticipazioni in anni precedenti, è nel 1959, qui con Kolosimo come altrove nel mondo, che, almeno in Occidente, l’ipotesi dell’ingegnere sovietico iniziò a fondersi con i discorsi sugli UFO (successivi, è bene ricordarlo, rispetto a “Vzryv”), con cui rimarrà indissolubilmente legata (nel 1967, Kazancev divenne vicepresidente del primo gruppo ufologico sovietico). Purtroppo non possiamo qui seguire gli sviluppi successivi dell’ipotesi: ci rimane solo un po’ di spazio per una coda interessante, sempre del 1959, che riguarda lo scrittore russo.
Paleocontatti e l’origine dell’uomo
In quel 1959 Kazancev stava già accarezzando, ancora una volta attraverso una storia di fantascienza, un’idea ancora più fantastica rispetto a quella di Tunguska: non solo c’era o c’era stata la vita su Marte e Venere, ma questa aveva forse influito in passato su quello terrestre.
In ottobre pubblicò a puntate sulla Komsomol’skaâ pravda un nuovo romanzo, Planeta bur’ (“Il pianeta delle tempeste”), ambientato su un Venere per la prima volta raggiunto da una spedizione russo-americana, che si sarebbe trovata di fronte a strane piante (ancora una volta Tihov!), rettili preistorici e a quelli che sembravano i resti di un’antica civiltà:
Io penso che l’alto livello di civiltà dei marziani non potesse aver fine. Quegli esseri pensanti debbono aver seguito ambedue le vie: una parte della popolazione del pianeta si trasferì nelle sue viscere e, forse, vive ancor oggi, dopo numerose mutazioni biologiche, essendo riuscita ad adattarsi alle nuove condizioni di vita, nel corso di un miliardo di anni.
– Mentre un’altra parte della popolazione ha costruito le città cosmiche, i satelliti artificiali, le stazioni spaziali per una migrazione in massa sui pianeti vicini! […]
– Hai ragione […] Può essere benissimo che le cose si siano svolte proprio così. I marziani si trasferirono dapprima su Venere e poi sulla Terra… oppure su ambedue i pianeti contemporaneamente. E’ stata una grande migrazione cosmica. […]
Il passaggio che abbiamo citato è tratto dalla traduzione italiana del romanzo, Il pianeta delle tempeste, che fu pubblicata in sette puntate già fra il 31 ottobre e il 5 dicembre 1959 sul settimanale comunista Vie nuove, fondato nel 1946 dal padre di Longo, Luigi, e allora diretto da Maria Antonietta Macciocchi (1922-2007). Una traduzione apparsa nell’immediatezza dell’edizione originale che sembra finora essere sfuggita ad importanti repertori come il Catalogo Vegetti della letteratura fantastica.
Da lì a pochissimo, in URSS, alcuni esponenti di quella stessa intellighenzia di cui faceva parte Kazancev iniziarono apertamente a parlare e scrivere della possibilità di “paleocontatti” con extraterrestri: di queste idee, almeno dal 1961, Kazancev, si fece alfiere. Si tratta di una versione in salsa sovietica di quella teoria degli antichi astronauti che, come ci ha raccontato Ciardi nel suo importante Il mistero degli antichi astronauti (2017) si stava sviluppando negli stessi anni anche qui in Italia con lo scrittore di fantascienza Luigi Rapuzzi (1905-1968) e con, ovviamente, Kolosimo.
Ma questa è un’altra storia, su cui forse torneremo: limitiamoci qui a segnalarne il rapporto con la “bella favola” dell’astronave della Tunguska.
Questo articolo è il primo risultato di un progetto di ricerca più ampio sulla genesi, lo sviluppo e la ricezione in Occidente dell’ipotesi di Kazancev. Sono grato, in ordine alfabetico, a Chris Aubeck e alla comunità di Magonia_Exchange, Keith Basterfield, Radka Behenská e la National Library of the Czech Republic, Renzo Cabassi, Marco Ciardi, Elena Iorio, Paolo Fiorino, Luigi Foschini, Luca Gasperini, Mikhail Gershtein, Gian Paolo Grassino, Pierre Lagrange, Anders Liljegren, Clas Svanh e l’AFU, Giuseppe Longo, Isaac Koi, Ulrich Magin, Bruno Mancusi, Luis R. González Manso, Claude Maugé, Ray Nelke, Hans-Werner Peiniger, George Piliev, Vladimir V. Rubtsov (1948-2013), Edoardo Russo e gli archivi centrali del CISU, Giuseppe Stilo perché in momenti diversi, hanno gentilmente messo a disposizione le loro competenze e/o hanno fornito materiale anche raro per l’intero progetto.
Stefano Dalla Casa, Alessia Donzelli, Andrea Ferrero, Sofia Lincos e Anna Rita Longo hanno letto versioni preliminari di questo scritto e hanno fornito utili suggerimenti. Sviste ed errori sono, ovviamente, solo mie responsabilità.
Immagine in evidenza: Gli alberi caduti fotografati da Kulik nel maggio 1929 ((c) Sito Tunguska, Università di Bologna)
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