Il contadino che diventò maiale
Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Sabato 28 gennaio 1933, Bedizzole, allora paese agricolo del versante bresciano del lago di Garda con una popolazione di poco più di cinquemila anime, si vide preso d’assalto da curiosi di ogni tipo e da fotografi che si accalcavano nella piazza del paese in attesa di sapere qualcosa.
Il motivo di tanta attenzione per quel centro piuttosto tranquillo era davvero fantastico – nel senso letterale del termine. Tutti volevano vedere il contadino trasformato in maiale.
Da due-tre giorni, infatti, sulla bocca di tutti correva il racconto di un episodio mirabolante che sembrava vi si fosse appena verificato. Teatro dell’evento sarebbe stata una zona campestre del paese gardesano. Della voce si occupò per primo il Corriere della Sera del 30 gennaio 1933.
Si narra […] che in una cascina sperduta nella campagna sarebbe stato chiamato d’urgenza il parroco per confortare un moribondo. Quando il buon sacerdote giunse sul posto sarebbe stato condotto, fra le pazze risate dei contadini, al cospetto d’un grasso maiale destinato l’indomani ad essere scannato. Il povero parroco, sorpreso e avvilito per la beffa, si sarebbe ritirato dicendo: “Badate che avete giocato l’oltraggioso scherzo non a me, ma a chi rappresento”. L’indomani mattina nella cascina, per quante ricerche fossero state fatte, non sarebbe stato più rintracciato il capo-famiglia ed i suoi congiunti avrebbero trovato nel porcile non più uno, ma due maiali: uno dei quali arrivato non si sa come, né da dove.
Conclusione: il nuovo maiale non era altri che il contadino trasformato in animale, come conseguenza per la burla che aveva giocato al parroco.
La voce dilagò in pochissimi giorni in tutto il Bresciano e giunse alle autorità civili e a quelle cattoliche. Molte persone “anche di ambienti non contadineschi” si volsero verso queste autorità a voce, per lettera e per telefono, sia sul posto ma anche a Brescia città. La risposta fu estremamente perplessa: non si aveva idea di dove e di come la voce travolgente fosse nata, né si sapeva di qualche fatto recente, in cui avessero avuto parte contadini, preti o animali, che magari avrebbe potuto fungere da “innesco”.
Sembra pure che immediatamente fosse stata scritta da un cantastorie una “favola in versi” ispirata al contadino-maiale della quale, purtroppo, non sappiamo nulla.
Il 1° febbraio Il Regime Fascista di Cremona, come allora si chiamava La Provincia, pubblicò in terza pagina un aspro commento moralistico. Era una credenza sciocca, quella storia, scriveva qualcuno che si firmava “L’Osservatore”, c’era da stupirsi che qualcuno potesse ancora credere che un uomo potesse essere sul serio trasformato in un maiale, ma il fondo di verità, per lui, stava nel fatto che “ogni violazione dell’ordine morale non può rimanere senza pena adeguata…”
Di assai maggior interesse l’edizione del 4 febbraio del Corriere della Sera, in cui un giornalista spiegava di essersi rivolto per chiarimenti all’arciprete di Bedizzole (si trattava quindi della parrocchia di Santo Stefano Protomartire, storicamente la più importante, nel centro dell’agglomerato), che da una settimana andava ripetendo con sempre maggior stanchezza una smentita dopo l’altra: lui non c’entrava, e di contadini e maiali non aveva mai saputo nulla.
La mentalità del sacerdote però era speciale: smentendo, sentiva comunque il bisogno di ricordare che nella letteratura agiografica classica storie simili c’erano, come operate da santi; ma stavolta l’ira divina non avrebbe avuto modo e ragione di colpire… La storia – certo – era “roba da manicomio”, ma il prete si spiaceva soprattutto che la leggenda fosse collocata a Bedizzole, perché lì non c’era nemmeno un miscredente: se ci fossero stati, allora avrebbe capito meglio!
In altri termini, secondo uno schema frequentissimo, la smentita della voce e l’affermazione della sua falsità erano accompagnate da un utilizzo della voce stessa, persino da parte di chi ne era stato vittima. Nemmeno il prete, persona colta, riusciva a prenderne completamente le distanze; anzi, ne approfittava per rafforzare le sue convinzioni e per riaffermare il proprio ruolo sociale. Così la diceria mostrava tutta la sua vitalità e la sua molteplicità di funzioni.
Proprio di recente uno studio di psicologia cognitiva ha dimostrato per via sperimentale il meccanismo di questo genere di discorsi.
Daniel Effron, che insegna Comportamento delle organizzazioni presso la “London Business School”, ha pubblicato una ricerca sulla rivista “Personality and Social Psychology Bulletin” (vol. 44, 2018, pp 729-745). Per realizzarla ha lavorato su un campione di 2.783 americani, cercando di capire come mai, quando si sa che una storia messa in circolazione da altri è falsa, li si possa “scusare” ed anzi usare a proprio vantaggio la notizia che poco prima si è dichiarata una fantasia.
E’ lo schema che accosta una falsità a una cosa che – secondo chi la recepisce – in altre circostanze potrebbe essere vera o verosimile. In questo modo la “bufala” diventa più accettabile agli occhi di chi ha qualche suo motivo (di solito politico, morale, religioso) per ritenerla possibile.
E’ per questo che il prete sul quale circolava la voce di aver trasformato in maiale un contadino (dunque, ne era ingiusta vittima!) invocava la letteratura agiografica o la fede diffusa fra i suoi parrocchiani. Erano ragioni per acuire i contorni della storia e farla vivere – anziché, semplicemente, per riderne a crepapelle.
C’è un altro aspetto da sottolineare: come spesso succede, la pervasività della voce sulla “vendetta del prete” generò ulteriori dicerie sulla sua origine, del cui circuito diventarono parte e sviluppo.
Nel caso di Bedizzole ce ne sono giunte almeno quattro: qualcuno parlava di un ciclista che si aggirava nei paesi della zona raccontando di esser stato testimone oculare del fatto (e il Corriere della Sera si domandava se fosse lui il “gaglioffo” all’origine del racconto o se fosse solo “l’emissario di un gaglioffo”); qualcun altro, di un “prete spretato” ed impostore che avrebbe inventato la storia per attribuirsi poteri occulti e così tornare nel favore delle sue gerarchie di chiesa (!); qualcuno, del ritorno in vita della leggenda di antichi eretici colpiti per aver preso in giro i santi cattolici; infine, c’era chi collegava il racconto a una truffa tentata al Dazio sotto il dominio asburgico, quando un contadino avrebbe cercato di gabellare un maiale macellato e messo in una bara per il suo padrone morto…
La storia fu ripresa dal Corriere quasi dodici anni dopo, l’11 novembre 1944. Particolari identici, ma con l’aggiunta di un particolare: sembrava davvero che in quel periodo e in quella zona fosse scomparso un contadino “noto bestemmiatore” (ma è plausibile che anche questa fosse una delle voci che cercavano di “spiegare” la causa della leggenda…).
Dettaglio curioso: l’articolo del ‘44 s’intitolava Leggenda contemporanea e, per quanto ne sappiamo, si trattò di una delle prime volte in cui quest’espressione comparve in Italia.
A tutto ciò si aggiungano elementi di cultura popolare che probabilmente a quel tempo facevano da cornice a storie del genere: il sacerdote percepito come occultista e i sacramenti letti come magie, anche per la grande preponderanza che allora avevano nella vita religiosa dei cattolici; la conoscenza diffusa della letteratura popolaresca e boccaccesca che irrideva il prete di turno e, cosa più peculiare, la figura del parroco il cui potere “magico” rivelava, in certe occasioni, un versante malvagio e vendicativo.
In un Paese come l’Italia del 2018 e ancor più in aree ormai largamente secolarizzate come quelle del Bresciano, oggi forse racconti del genere sarebbero meno efficaci. Tutto appare, ormai, una storia del genere, tranne che una leggenda contemporanea.
Illustrazione in evidenza: la chiesa parrocchiale di Santo Stefano in Bedizzole, risalente al XVIII sec., sede dell’arciprete che nel 1933 fu coinvolto nella leggenda del maiale-contadino (credit: Wolfang Moroder, immagine Wikimedia Commons).
[si ringrazia Roberto Labanti per la collaborazione]