Giandujotto scettico

1916: il misterioso dirigibile a guardia di Torino

Giandujotto scettico n° 24 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (08/11/2018)

Agli inizi del XX secolo nacque l’aviazione moderna, portando con sé la paura di un impiego bellico dei nuovi prodigi tecnici. L’immaginario legato a aeroplani e dirigibili generò un’enorme quantità di fantasie, esagerazioni, previsioni, fenomeni di panico e, non ultimo, miriadi di segnalazioni di velivoli misteriosi su buona parte dei Paesi europei e in parecchie altre parti del mondo. Pur non capendone bene i reali contorni, tutti temevano che la corsa agli armamenti prima o poi avrebbe condotto ad una grande conflagrazione militare.

Da questa psicosi dei “velivoli misteriosi”, ormai molto studiata dagli storici, non rimasero indenni né l’Italia né il Piemonte. Anche gli anni della Grande Guerra ne furono segnati.

Il Giandujotto scettico di oggi rievoca alcuni fatti avvenuti tra il 1909 e il 1916 legati chiaramente alle preoccupazioni politiche del tempo. Di alcune voci e leggende connesse alla Prima Guerra Mondiale, oltre che nel precedente Giandujotto scettico, si è discusso in queste ultime settimane anche in un articolo apparso su Query on Line e in un altro uscito sul sito del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee).

Cominciamo con un esempio dei timori che riguardavano il nostro confine occidentale. Nel 1909 l’Italia era ancora impegnata – anche se con crescenti perplessità – nella Triplice Intesa, il patto che la legava alla Germania e all’Impero Austro-Ungarico in funzione anti-francese. Per questo, il Piemonte di inizio Ventesimo secolo era a contatto con uno Stato potente che, a sua volta, ci ripagava con ampi sospetti. La preoccupazione costante, da noi come in altre parti d’Europa toccate dalla psicosi del dirigibile, era quella della ricognizione aerea sulle fortificazioni e sulle piazzeforti di confine. Per questo errori ed equivoci fioccavano.

Il 4 aprile 1909 un enorme pallone (118 metri) cadde sulle pendici del Monte Argaro, nei pressi di Borgo San Dalmazzo, nel Cuneese. Privo di zavorre e di navicella, s’intuiva provenire dal Paese vicino, ma origine e scopi ne erano misteriosi. La Stampa del 5 aprile 1909 dava come luogo dell’impatto il comune di San Dalmazzo di Tenda, oggi in territorio francese, mentre il maggior periodico di Mondovì, L’Unione Monregalese dell’11 aprile 1909, lo collocava nel paese che abbiamo menzionato. A giudicare dai maggiori dettagli presenti in quest’ultimo, è probabile che il settimanale di Mondovì sia quello più affidabile.

Comunque, il misterioso pallone che aveva dato adito a dicerie varie quasi di certo non era parte di un piano spionistico: erano stati resi noti i nomi delle tre persone a bordo, membri della Società Aeronautica francese, ma i corpi non si trovavano. Dal recupero dei registri si apprese che erano diretti a Torino e che volevano atterrare per riprendere in foto il manto nevoso; giunto al suolo, il pallone si era con tutta probabilità rovesciato, volando lontano e condannando così i tre malcapitati.

Ma questo era solo l’esordio di questa psicosi del sospetto. Il 9 gennaio 1910, poco prima di mezzogiorno, Torino si era fermata. Il giorno dopo La Stampa spiegò che quella mattina moltissima gente aveva visto librarsi nel cielo azzurro un oggetto a forma di sigaro, dotato di navicella. Temevano fosse un dirigibile: nella migliore delle ipotesi, il nostro dirigibile 1 Bis, che dall’autunno 1908 entusiasmava il pubblico, oppure uno Zeppelin tedesco o uno Zodiac francese che aveva valicato le Alpi.

Però sembrava piccolo, “come un giocattolo”, cosa che faceva pensare o che quel velivolo aveva battuto qualsiasi record d’altezza del tempo oppure – come riteneva La Stampa, che ne parlò il giorno dopo – che si trattasse di un pallone lanciato per scherzo anche di di un innocuo pallone sonda. La griglia interpretativa da parte degli osservatori però era una soltanto anche per un pallone di piccole dimensioni: una macchina bellica incombe sul Piemonte!

Ma ecco l’episodio più significativo quanto ad errori commessi e processi mentali dei testimoni.

Siamo alla sera del 13 febbraio 1916. L’Italia è in guerra da otto mesi e ancora una volta Torino si ritrova al centro di un equivoco “aeronautico”. La cronaca de La Stampa del giorno successivo è talmente gustosa che preferiamo lasciare la parola all’articolista.

“Le stelle… e il dirigibile

Nel cielo terso, spazzato da un vento leggero, è riapparsa ieri sera una stella fulgidissima, che pareva tirarsi dietro, a… sessanta centimetri di distanza – vale a dire una bazzecola chilometrica – un’altra stella di minore grandezza, ma non meno brillante.

Il fulgore straordinario dell’astro più grande richiamò l’attenzione della gente che se ne andava a spasso, col naso in aria; qualcuno sostò in ammirazione… altri curiosi fecero lo stesso e, in meno di un’ora, si potevano vedere in vari punti della città foltissimi capannelli di gente estatica che fissava la brillantissima stella e la sua vicina.

Vi fu chi volle trarre l’oroscopo sulla durata della guerra e sulla prossimità della pace, ma i più ingenui videro nientemeno che un dirigibile librato nel cielo a guardia della città. La stella più brillante era per essi il faro di prua e l’altra il faro di poppa della navicella. E non c’era verso di convincerli del grossolano errore. Per poco essi non affermavano di scorgere la forma affusolata del dirigibile e fors’anche il pilota.

I curiosi numerosissimi sostarono a lungo sulle piazze, ritardando l’ora della cena e più d’uno, per levarsi una buona volta la curiosità telefonò ai nostri uffici di redazione per avere più precise notizie.

Vogliamo ridare la pace agli animi turbati e perciò diremo che il dirigibile l’hanno visto soltanto gli occhi della fantasia. Si tratta puramente e semplicemente di due stelle e di un fenomeno naturalissimo: i due astri, tanto ammirati, sono Giove e Venere in congiunzione.

Il pianeta più piccolo era Giove, quello più fulgido Venere, e il loro incontro è avvenuto proprio ieri sera. La distanza dei due pianeti era ieri sera di 27 minuti primi”…

Si noti un particolare: con la guerra diventata realtà, l’articolista non si azzarda a suggerire la possibilità che nei cieli dell’Italia di nord-ovest fosse giunto un dirigibile austriaco o tedesco.

Che cosa potevano sperare, gli abitanti della città che aveva forgiato l’unità d’Italia, se non ad un nostro dirigibile posto “a guardia della città”, mentre altre paure, leggende, voci di ogni tipo si diffondevano negli anni di quella tragedia collettiva?

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