Senofonte Squinabol, professione fantasma
Giandujotto scettico n° 26 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (06/12/2018)
Dal 2004 la più antica biblioteca civica del Piemonte, quella della città di Cuneo, realizza dei suoi “Rendiconti” (Nerosubianco Edizioni) nei quali raccoglie una serie di contributi originali sulla storia, la cultura e la società cuneese. Dotato di uno sguardo assai ampio, ogni singolo annuario viene messo a disposizione di tutti in formato pdf, un po’ di tempo dopo la sua presentazione in versione cartacea, attraverso questa pagina istituzionale della Biblioteca Civica.
Per l’edizione relativa al 2018 è stato chiesto un contributo come CICAP Piemonte anche a noi che ci occupiamo del Giandujotto scettico. Abbiamo quindi provato a indagare su una vicenda di fantasmi cuneesi del tutto dimenticata.
La ricostruzione è stata inserita alle pagine 248-250 del volume, curato da Stefania Chiavero, direttrice della Biblioteca, e dai bibliotecari Dora Damiano e Roberto Martelli. La raccolta è stata presentata domenica 18 novembre 2018 presso il Centro incontri della Provincia di Cuneo in occasione della manifestazione Scrittorincittà. Uno dei due autori dell’articolo (Sofia Lincos) è anche intervenuto brevemente per delineare i termini di questa curiosa, antica faccenda.
Per il nostro sito abbiamo preparato una versione più estesa con la quale ora vi raccontiamo gli esiti del nostro scavo. Buona lettura!
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Siamo nel 1879. Da dieci anni, presso l’istituto scolastico più prestigioso di Cuneo, il Regio Liceo-Ginnasio Silvio Pellico, che ha sede nell’ex convento delle Clarisse, poi caserma dei “Cacciatori delle Alpi”, vicinissima alla chiesa di Santa Chiara, insegna nelle classi ginnasiali il professor Giuseppe Maria Squinabol. Quest’uomo dal cognome insolito (è di origine aostana) è stato trasferito a Cuneo da Como, e con lui ci sono due figli.
Uno di questi sarà il protagonista principale della nostra storia.
Il professor Squinabol abita in un appartamento di un edificio di proprietà Paglieris che probabilmente è quello all’angolo fra piazza Virginio e l’attuale via Rossi, allora via degli Ospizi, forse più o meno sopra l’odierno Caffè Campana.
Una vita ordinata, si direbbe. Ma quell’inizio di primavera riserverà grosse sorprese, in quella casa, e un bell’argomento di discussione nei caffè e nei salotti cuneesi.
Il 22 marzo, un ignoto corrispondente da Cuneo della Gazzetta Piemontese (il primo nome con cui si chiamò La Stampa) manda al giornale, che la pubblicherà il 25, la storia che in città tutti già dibattono da giorni. La casa del prof. Squinabol è invasa dagli spiriti. I campanelli (di certo ancora a trazione meccanica, non elettrici) suonano da soli e sui balconi e sulle finestre “piovono” lettere misteriose che non sa chi deponga. Squinabol, preoccupato, va in Questura, ma le indagini del commissario Lucchesi, in servizio in città da meno di due mesi, per ora non approdano a nulla. Mistero.
Appena nove giorni giorni dopo, però, i contorni della faccenda si chiariranno e assumeranno tratti divertenti e lievemente inquietanti allo stesso tempo. Il 3 aprile, addirittura in prima pagina, un altro corrispondente da Cuneo della Gazzetta Piemontese (si firmava “Nipote d’Arcos”) faceva pubblicare una lunga spiegazione della dinamica dei fatti, che però condurranno nei mesi successivi a qualche piccolo guaio per quella famiglia.
La faccenda delle scampanellate si era complicata. Non si capisce bene come, ma non solo gli “spiriti” continuavano a suonare dopo che il professore aveva fatto mettere una cancellata davanti al portone e staccare il cordone del meccanismo, ma ora mandavano anche lettere dai toni minatori scritte con inchiostro simpatico. Se fra tre mesi non sloggiate da qui, troveremo modo di farvi sloggiare.
Gli appostamenti della Polizia non funzionavano. Gli spiriti agivano da dentro l’edificio, non da fuori… Dieci lettere in tutto, alcune in parte bruciate, ma il campanello, almeno, dopo l’arrivo dei poliziotti i fantasmi non lo facevano suonare più. Squinabol, intanto, aveva minacciato di punizioni i figli, se fosse risultata qualche complicità con i babau.
Ed ecco lo sviluppo decisivo. La sera del 29 marzo il figlio minore del professore, il diciottenne Senofonte, che frequenta il “Pellico”, si presenta spaventatissimo con la madre presso l’ispettore Lucchesi raccontando che all’uscita dal Liceo, spinto a recarsi sul ponte sul Gesso da un presunto appuntamento fissatogli da un conoscente, sarebbe stato aggredito da due individui con la faccia sporcata dal carbone che lo avrebbero portato in un boschetto di salici sulla sponda destra del fiume, legato e minacciato di morte se avesse raccontato qualcosa. Erano dunque questi i “fantasmi” che lanciavano i biglietti bruciacchiati?
Lucchesi non credette a una parola di quel che diceva il giovane Senofonte, malgrado questi adducesse un graffio sul petto che secondo lui era il segno lasciatogli da una lama brandita dai due aggressori. Per niente impressionato, Lucchesi condusse il ragazzo sul luogo della presunta aggressione. Tenendolo d’occhio si accorse che il ragazzo faceva scivolare a terra un’altra delle letterine misteriose. Era dunque lui il responsabile delle scampanellate e delle apparizioni delle lettere degli spiriti firmate con segno di croce.
Il ragazzo non volle dire perché lo faceva, ma rimediò una denuncia con doppio capo d’imputazione: minacce e simulazione di sequestro.
Solo tre giorni dopo, il 5 aprile, anche La Sentinella, in toni ironici annuncerà che responsabile di tutto era il figlio minore del professore e che il din din, din din che ora si udiva in quella casa non era più quella degli spiriti ma quello della Pubblica Sicurezza che suonava alla porta perché aveva smascherato il colpevole. Almeno fino a quel momento La Sentinella non aveva dato soverchia importanza alla storiella, lasciando campo libero al maggior giornale torinese. Nel numero del 3 aprile, però, ne aveva approfittato per criticare l’efficienza della Polizia in città, menzionando Lucchesi ma senza accennare alla scoperta del “fantasma” che invece La Gazzetta Piemontese aveva recato a Cuneo già quella mattina. In compenso La Sentinella seguirà con attenzione il procedimento giudiziario al quale il nostro diciottenne sarà sottoposto.
Il 18 maggio 1879, infatti, Senofonte Squinabol comparve davanti al pretore Bernardi (pubblico ministero Quaglia), difeso dall’avvocato Collino Pansa. Cinque i testi d’accusa fra i quali Lucchesi, due quelli a difesa. Pubblico numerosissimo. Caduta subito l’accusa di minacce (quelle ridicole contenute nelle lettere dei “fantasmi”) restava però la simulazione di reato.
A difesa di Senofonte, due suoi compagni di scuola, purtroppo non nominati dal periodico, e le buone parole sul ragazzo di un suo ex-insegnante, Mondino, e dell’anziano generale Carlo Tarditi, eroe risorgimentale, che dipinge il liceale come uno scienziato in erba, studiosissimo, promettente. Ed ecco il primo colpo di scena: per un difetto procedurale, il pubblico Ministero ritiene che vi siano gli estremi per il non luogo a procedere. L’avvocato difensore è soddisfatto e tutto sembra andare per il meglio. Ma il Pretore, meno ben disposto, non è d’accordo. La simulazione di reato c’è, ma, considerata la minore età, il nostro fantasma Senofonte se la caverà senza reclusione, con sole venti lire di ammenda…
Passato il breve clamore, probabilmente presa dal padre una sonora lezione, tutto si placa. Senofonte torna ai suoi studi liceali e, in veste di spirito, dopo i due resoconti del 18 e del 20 maggio 1879 scompare dalle cronache.
Ma, allora, perché Senofonte Squinabol inscenò quella breve farsa, nel marzo di quell’anno? Sarebbe stato impossibile a dirsi se una chiave di lettura abbastanza plausibile non ci fosse giunta da un articolo comparso sulla Sentinella venticinque anni dopo gli eventi. Nel frattempo, infatti, Squinabol era diventato una personalità di rilievo, e quindi nel suo numero del 28 giugno 1904 La Sentinella ne approfittò per rievocarne la presenza giovanile a Cuneo. Lo fece ad opera di un altro insegnante del “Pellico” che a suo tempo era stato compagno di liceo di Senofonte, il prof. Giovan Battista Aimonetti.
Probabilmente era stato lui uno dei testimoni a discolpa davanti al pretore Bernardi. Però, alle lodi di Aimonetti per la carriera accademica di Squinabol, di cui si dirà fra poco, un certo Gioanin aggiungeva di seguito una sua lettera che, invece che lodare lo scienziato, preferiva ricostruire la storia dei fantasmi di piazza Virginio. E lo faceva fornendo dettagli divertenti fino allora non diffusi.
Senonfounte – così lo chiamavano in città – per Gioanin da adolescente era stato “un terribile inventore di ben complicate e costrutte burle”. Fra queste, inutile dirlo, quella degli spiriti.
Iniziato dall’allora vice-bibliotecario della Biblioteca Civica Vincenzo Abre alle scienze naturali, voleva andare all’Università, ma il bilancio del padre rendeva la cosa difficile. Allora, probabilmente insieme ad altri, aveva legato i cordoni dei campanelli fra loro e si era ingegnato per scrivere le lettere minacciose con lo scopo di convincere i genitori che era meglio lasciare il capoluogo della Granda… Anche dopo la confessione del ragazzo, i suoi giovani complici se ne sarebbero infischiati dell’intervento della Questura, tanto – prima di smettere per sempre – da dare un’ultima scampanellata “spiritica” a tutti gli appartamenti di quello che era noto come il “Palazzo giallo” di via degli Ospizi.
Quando si scoprì l’arcano i cuneesi per un po’ avrebbero adottato il modo di dire: a l’ero i gieuc d’ fisica d’ Senonfounte.
Comunque sia, nel difendere Senofonte nel processo del 1879 il vecchio generale Tarditi aveva visto bene.
Nato a Como nel 1861, Senofonte era arrivato a otto anni a Cuneo insieme alla famiglia, al seguito del padre. Come si è visto, rapito dalle scienze naturali, il nostro Senofonte non si arrestò agli spettri adolescenziali di piazza Virginio.
S’iscrisse davvero all’Università, laureandosi in Scienze naturali a Genova (aveva iniziato a Torino, ma nel frattempo il padre era stato trasferito a Sanremo) ma non prima di aver dato prova di doti notevoli di botanico, e questo a cominciare dagli anni di permanenza nella nostra città. A vent’anni, infatti, nel giugno del 1881, come documenta una nota del professor Corrado Boccaccini (1855-1902), che insegnò per venticinque anni scienze naturali al “Pellico”, Squinabol aveva trovato alla confluenza Gesso-Stura un rarissimo esemplare di Typha minima, pianta la cui scoperta cuneese è, alla lontana, all’origine del Sito naturale di Importanza Comunitaria Stura di Demonte.
Ma era solo agli inizi della sua attività. Lasciata la nostra città per gli studi superiori, diventò assistente presso la Facoltà di Scienze dell’Università genovese, presso la quale cominciò a pubblicare lavori di paleontologia e geologia, non ultimo insieme a studiosi illustri come Arturo Issel (1842-1922). Intorno al 1894, però, presso quell’ateneo dovette capitargli qualche guaio di natura amministrativa, perché lo abbandonò per andare a insegnare in un istituto tecnico di Padova, dove proseguì anche la sua attività di ricerca in specie come geologo ma orientandosi sempre più all’insegnamento nella scuola secondaria e alla stesura di manuali di scienze. Suo fratello maggiore, Giacomo, fu ufficiale degli alpini e rimase nella Granda, perché prestò servizio in reggimenti stanziati a Ceva e a Mondovì.
Lontano a lungo dalla nostra regione, Squinabol vi rientrò intorno al 1908 per andare ad abitare con la famiglia a Torino, dove fu a lungo insegnante, preside dell’Istituto Tecnico “Sommeiller”, collaboratore importante per le collane scientifiche della casa editrice “Paravia”, provveditore agli studi per le scuole medie della provincia e libero docente presso l’Università. Nel complesso ha al suo attivo più di cento pubblicazioni.
Morì l’11 maggio 1941 nella sua casa di corso d’Annunzio 38, a Torino, assistito dai tre figli.
E forse, chissà, se nel marzo del 1879 non avesse giocato ai fantasmi nel centro di Cuneo, non sarebbe diventato uno scienziato e la sua vita sarebbe trascorsa senza le passioni, la furia dello studio e della ricerca sulla natura per le quali, ancora oggi, sopravvive nei cataloghi delle biblioteche italiane e straniere.
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