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L’incubo di Hill House. Ovvero come non si fa un’indagine sul paranormale

Articolo di Monia Marchettini

Ormai di Hill House parlano tutti. Grazie alla recente serie di Netflix Hill House (2018),  sono ritornati in auge i due film: Gli invasati (The Haunting, 1963, regia di Robert Wise) e Haunting – Presenze (The Haunting, 1999, regia di Jan de Bont) ed il libro da cui tutto ha avuto inizio, L’incubo di Hill House (1959) di Shirley Jackson (1916-1965) edito in Italia da Adelphi (2004).[1]

La storia è quella di un esperimento che dovrebbe attestare la presenza di spiriti in una casa, Hill House, appunto. Un professore invita tre “cavie” a soggiornare con lui nella villa per l’estate, dove pare accadano cose misteriose.

Noi abbiamo scelto di parlarvi proprio del romanzo, che nasce con due possibili letture di cui l’autrice pare essere assolutamente consapevole: il libro pare volutamente ambiguo.

Una possibile lettura dà credito alla presenza dei fantasmi nella casa, ma ne abbiamo una seconda che potremmo definire “una tragedia scettica”, la storia di un’indagine sul paranormale che parte male fin dal principio.

Ci concentreremo sul metodo usato dal professor John Montague (promotore dell’esperimento) prendendo in considerazione alcuni passaggi, perciò si, questo articolo contiene spoiler.  Cercheremo di non rovinarvi il finale. Attenzione, poiché la serie televisiva è molto diversa dal libro qui non ci sono spoiler che la riguardano.

Le chiavi di lettura e i temi dei libri della Jackson

La chiave di lettura principale di questo libro straordinario sta nella duplicità del suo titolo in inglese, The Haunting of Hill House. Infatti “to haunt” ha sia un significato legato al termine italiano “ossessione” sia uno più legato al fantasmi che possiamo tradurre (pur non essendo del mestiere) con “infestare”. Sarà compito del lettore decidere a quale “faccia” del libro dare credito.

Abbiamo anche visto come in italiano sia difficile tradurre questa ambiguità già dichiarata nel titolo: i protagonisti sono degli invasati? Sognano e fanno degli incubi o ci sono delle “presenze”?

Ci sono però altri temi profondamente radicati nel lavoro di Jackson che danno una forte impalcatura alla costruzione scettica del romanzo. Costruiscono il contesto, forniscono spiegazioni e fanno luce sui personaggi.

La fine dei sogni, ovvero la giovinezza rubata. Non vivere alla luce del sole e pienamente la propria esistenza. Nella seconda chiave di lettura, se lo si vuole leggere da scettici, questo è uno dei temi principali del libro mentre altrimenti è ovvio che il tema sono invece i fantasmi.

Eleanor, che  come vedremo è una degli ospiti, è stata costretta a badare la madre malata che è morta per una sua negligenza: questo le causa un senso di colpa fortissimo, ma anche una voglia matta di mordere la vita.

Lo capiamo subito appena la incontriamo tra le pagine: è infatti in modo evidente psicologicamente instabile. Anche in altri libri dell’autrice come Lizzie (1954) e Abbiamo sempre vissuto nel castello (1962) abbiamo eroine la cui infanzia è il problema principale.

Architettura da incubo. Abbiamo Hill House, un labirinto di stanze, una casa costruita appositamente come scherzo ottico, con spifferi perfetti per una casa infestata[2] e le porte che non stanno aperte. L’architettura che mette in difficoltà la mente umana torna molte volte nei lavori della Jackson: il castello dove niente deve cambiare (in Abbiamo sempre vissuto nel castello) e il museo dove lavora Lizzie che si inclina pesantemente su un lato dando inizio allo scompenso mentale della ragazza (nell’omonimo romanzo). La perdita della certezza “architettonica” è un sinonimo importante e annuncia la caduta di altre certezze.[3]

Comunità da paura. La provincia americana nella sua descrizione peggiore è viva e presente nei racconti della Jackson. Comunità violente, che mettono terrore quanto più sono terrorizzate. L’esempio lampante è il breve racconto La lotteria che la Jackson aveva pubblicato nel  1948, dove l’esperienza di comunità diventa riga dopo riga sempre più inquietante.

I problemi iniziano nel primo capitolo: Il criterio di selezione dei testimoni

Quando il libro della Jackson si apre “l’esperimento” del professor Montague, l’indagine su Hill House, è già iniziata. Infatti ci viene mostrato il criterio di scelta dei partecipanti.  A partire dal terzo paragrafo uno scettico ha già le mani nei capelli; il talento della scrittrice chiarisce subito la natura dell’esperimento, non troveremo niente di scientifico in questa indagine.

Il professor John Montague, laureato in antropologia, aveva preso il dottorato con l’oscura sensazione che in quel campo si sarebbe avvicinato il più possibile alla sua vocazione autentica, l’analisi dei fenomeni paranormali. Teneva al suo titolo poiché, non avendo le sue indagini alcunché di scientifico, sperava gli conferisse un’aura di rispettabilità e perfino di autorità accademica.[4]

Sebbene il professore sia interessato a procedere scientificamente semplicemente non è capace a farlo: la sua posizione è quella dell’uomo che crede.

Come sceglie i partecipanti all’esperimento? Selezionando una dozzina di nomi tra coloro che hanno avuto già un’esperienza paranormale.

Setacciò gli archivi delle società di parapsicologia, gli indirizzari delle riviste del settore, i resoconti degli studiosi, e mise insieme una lista di persone a cui in un modo o nel’altro, non importa quanto fugacemente o ambiguamente, erano capitate esperienze fuori dal comune. (p. 10)

Montague procede poi spedendo loro lettere che non nominano direttamente i fantasmi, ma che “avevano una certa ambigua dignità, intesa a far presa sull’immaginazione di un tipo di destinatario davvero speciale” (p.11). Fino all’arrivo dei partecipanti alla casa lui non ha mai parlato con loro, non ha idea di come possano affrontare lo stress o se siano psicologicamente instabili. Questo in un certo senso è per lui secondario, l’importante è che abbiano dimostrato di essere sensibili a determinati fenomeni.

Alla fine avremo un gruppo composto da lui stesso: Theodora, una ragazza indipendente, Eleanor, che ha assistito ad un fenomeno di poltergeist da bambina e un giovanotto nipote della proprietaria della casa. Molto male.

Il metodo Montague

Il professore ha già un’idea precisa di come vorrebbe che andassero le cose e fin da principio lavora per ottenerle: scegliendo le “cavie” più adatte ai suoi scopi.

A prima vista il “metodo scientifico” sembra rispettato: ad un’ipotesi segue un esperimento.

Sappiamo però dalle sue stesse parole che questa ipotesi si basa su fonti poco attendibili e che ci sono diverse teorie sul perché la casa non sia abitabile.

Ai più esperti sarà saltato subito agli occhi un altro aspetto: la presenza del professore nella casa invalida l’esperimento. Lui non dovrebbe essere lì.

La sua persona diventa inevitabilmente un punto di riferimento, le sue parole influenzano la mente delle sue “cavie” e lui, non diversamente da loro, è coinvolto nelle dinamiche dell’esperimento. Se è vero che un certo coinvolgimento è inevitabile (e infatti gli esperimenti, quando possibile, si conducono in doppio cieco), lui rinuncia volontariamente ad una visione lucida dei fatti.

Le sue azioni sono poi quantomeno discutibili: non resiste infatti a creare dell’aspettativa nel gruppo.

Il professore agisce senza l’aiuto di professionisti esterni. Tutto è sulle spalle delle sue “cavie” che vedremo avranno dei ruoli da lui stabiliti secondo quelle che per lui sono le loro doti paranormali. Questo non va che ad eccitare la fantasia dei suoi compagni di esperimento che cominciano ad entrare nei loro “ruoli”, autosuggestionandosi.

L’autosuggestione è un fattore da tenere ben presente quando si parla di paranormale:

In realtà l’autosuggestione è la condizione in cui si trova la maggior parte delle persone che sostengono di avere poteri paranormali e non ha niente a che vedere né con l’intelligenza né con il grado di istruzione. Anzi, è un processo psicologico molto potente che può ingannare anche lo scienziato più esperto.[5]

Non solo tutti sono avvisati che c’è qualcosa, ma alcuni partecipanti all’esperimento cominciano a sentirsi “speciali”, in grado di vedere quel qualcosa.

L’effetto aspettativa

Arriviamo al capitolo terzo. I nostri protagonisti sono tutti riuniti attorno al professor Montague davanti ad un bel caminetto. È un momento cruciale della storia che non va sottovalutato.

Ovviamente pur essendo consapevole dell’effetto aspettativa il professore ha messo troppa carne al fuoco spedendo lettere ammiccanti così non può che raccontare l’oscura storia di Hill House e tutte le dicerie ad essa connesse.

Non solo. Come abbiamo già capito il professor Montague cavia-ricercatore è il campione indiscusso dell’effetto sperimentatore: parteggia senza ombra di dubbio per un riscontro positivo della sua teoria; le teorie che spiegano scetticamente l’insalubrità della casa lo convincono poco.

Basta? Ovviamente no, il professore indica anche perché sono lì: in pochi minuti Theodora viene indicata come telepate ed Eleanor scopre di vedere i fantasmi. Dico scopre perché il fenomeno di poltergeist a cui avrebbe assistito (una pioggia di pietre sulla sua famiglia) lei l’aveva sempre attribuito alla cattiveria dei vicini. Elemento che come abbiamo detto torna spesso nei libri della Jackson: comunità chiuse, provinciali e spesso violente.

Tutti sono ora ben preparati ad essere vittima dei fantasmi: il professore ha creato un dramma che va al di là delle sue aspettative e che è troppo inetto per controllare e comprendere fino in fondo.

La raccolta dati

Abbiamo ormai capito che il lavoro del professor Montague non ha niente a che fare con un’osservazione rigorosa. La sua ipotesi si basa sul “sentito dire”, ma già ad un terzo del libro abbiamo un dato sconcertante: oltre ai tre poveretti che ha coinvolto, non si è portato dietro nessun strumento utile a raccogliere dei dati.

Potrebbero essere infatti utili strumenti per fare fotografie, registrazioni audio, kit per raccogliere campioni ecc. La strumentazione dipende dall’ipotesi che si è fatta e non bisogna esagerare, ma noi abbiamo visto che il professor Montague non è proprio ferratissimo su questo punto. Per assurdo, se ci fossero delle presenze nessuno potrebbe provarlo.

Anche la raccolta delle testimonianze lascia a desiderare: nonostante Montague sappia di persone che hanno vissuto brevemente a Hill House nessuna di queste ha mai detto di aver percepito qualcosa di strano, semplicemente hanno ammesso di odiare la campagna.

Sembra ovvio: una ricerca serva a raccogliere dati, ma qui nessuno lo fa (correttamente).

O meglio, ai partecipanti viene chiesto di scrivere un diario sulle loro impressioni, ma questo lavoro di scrittura non viene mai controllato durante il soggiorno. Ricordiamo che le “cavie” sono sempre insieme, confrontano le loro esperienze, influenzandosi a vicenda e aumentando la possibilità di creare falsi ricordi e suggestioni.

Con questi presupposti tenere un diario probabilmente non servirebbe a capire se ci sono i fantasmi a Hill House, ma forse permetterebbe di bloccare l’esperimento quando ancora non ha preso una piega tragica. Infatti Eleanor si sente “personalmente” chiamata dalle “presenze” della casa. Anzi comincia a pensare di esserne la causa: andrebbe allontanata al più presto dall’esperimento.

Non solo non è possibile raccogliere dati in queste circostanze, ma i partecipanti cominciano a dare segni di squilibrio: la convivenza diventa presto difficile, con l’aumento  della tensione tra i partecipanti all’esperimento.

Ce lo dice anche Stephen King nel saggio sull’horror “Danse Macabre” (1981):

Shirley Jackson usa le convenzioni del Nuovo Gotico Americano per esaminare la natura dell’uomo sotto una forte pressione psicologica, forse occulta

Accade però qualcosa di ancora peggiore: armata di tavoletta ouija, uno strumento utilizzato nella comunicazione mediatica che sfrutta la suggestione e l’azione ideomotoria  arriva la moglie del professore, che spazza via ogni autorità del marito e mette ancora più alla prova la stabilità di Eleanor che comincia a sentirsi effettivamente l’unica con un vero contatto con le “presenze” della casa. Per non spoilerare troppo, forse è il caso di fermarci qui…

Per concludere

Sappiamo che “affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie”[6], però qui basterebbe il “Baloney detection kit” o “Kit anti-bufala”  ideato da Carl Sagan (1934-1996)[7], un decalogo utile per capire se siamo davanti ad affermazioni di cui ci possiamo fidare, ad esempio un punto fondamentale è chiedersi da chi provengano le informazioni e le fonti di cui disponiamo.

Infatti, come abbiamo visto, tutte le informazioni che le “cavie” hanno su Hill House si basano su un’unica fonte: le parole del professor Montague. Il professore si pone come esperto ed autorità in materia, la sua ipotesi è basata su dicerie di paese e su ciò che crede sia vero. Il suo credere lo porta ad ignorare tutte le ipotesi ragionevoli.

Ogni passaggio dell’esperimento è criticabile dal punto di vista scientifico: soprattutto non è prevista nessuna raccolta dati quantitativa e anche dal punto di vista della qualità siamo scarsi: ogni dato viene raccolto dalle “cavie” stesse. Quasi ogni punto del “fuffometro”[8], che è una delle possibili traduzioni del “Baloney detection kit”, cede sotto un esame rigoroso. Ora, la Jackson non era una divulgatrice scientifica, ma era una scrittrice coi fiocchi, forse non aveva in mente precisamente il “Baloney”, ma sapeva cosa dovevano (o non dovevano) fare i suoi personaggi per mettersi irrimediabilmente nei guai.

Così, per il rasoio di Occam quattro persone rischiano di perdere la ragione per porte che non stanno aperte, uno spiffero e l’irregolarità di un progetto architettonico in una casa semidiroccata…

Forse bastava mandarci un bravo architetto.

Note

[1] Esistono anche due precedenti traduzioni del libro di Jackson, entrambe col titolo : La casa degli invasati, SIAD, Milano, 1979 e, ancora, Mondadori, Milano, 1989

[2] Alcune case infestate trattate sul sito del CICAP le trovate a https://www.cicap.org/n/tags.php?id=361

[3] Una possibile lettura che ci interessa meno in questo frangente, ma è comunque importante data la profondità della Jackson è un sottotesto femminista specialmente in Hill House: la casa, che per la donna degli anni ‘50 era il posto a lei assegnato nella vita è in realtà pericolosa e le si può ritorcere contro.

[4] Shirley Jackson, L’incubo di Hill House, Adelphi, Milano, 2004, p. 9.

[5] Stefano Bagnasco, Andrea Ferrero, Beatrice Mautino, Sulla scena del mistero, Sironi Editore, Milano, 2010

[6] Frase che ormai è un “motto” del scetticismo e che è stata attribuita un po’ a tutti; cfr. https://pdfs.semanticscholar.org/680a/f879710dbdaa10378fe5f3478bd2044197c3.pdf

[7] Carl Sagan, Il mondo infestato dai demoni: La scienza e il nuovo oscurantismo, Baldini & Castoldi, Milano, 1997 pp. 259-260

[8] Andrea Ferrero, Stefano Bagnasco, I ferri del mistero: Strumenti e idee della scienza per esplorare l’insolito, I Quaderni del CICAP, Padova, 2014

Un sincero ringraziamento a Roberto Labanti che ha fornito il suo prezioso supporto durante la stesura di questo articolo fornendomi preziosi suggerimenti e interessantissimi spunti. Eventuali errori sono esclusivamente una mia responsabilità.

2 pensieri riguardo “L’incubo di Hill House. Ovvero come non si fa un’indagine sul paranormale

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