Misteri vintage

L’Ufo che andò verso la Luna

Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

È sabato 21 dicembre 1968. Sull’Italia settentrionale si approssima l’ora del tramonto solare. Da quattro anni esatti su un monte della zona del Campo dei Fiori, poco a nord di Varese, e più esattamente su Punta Paradiso, a 1226 metri di quota, è in funzione un osservatorio astronomico voluto con forza dalla “Società Astronomica G. V. Schiaparelli”, animata da un astrofilo e meteorologo per passione, Salvatore Furia (1924-2010).  

Quella sera, all’Osservatorio di Punta Paradiso e in tanti altri posti, quel tramonto doveva riservare uno strano e del tutto inatteso spettacolo celeste. Uno spettacolo globale, ricaduta lieve di un evento di grande portata che in quelle ore si stava consumando.

Per l’Italia, la cronaca principale del fatto apparve sul Corriere della Sera del giorno dopo, cioè il 22 dicembre. Salvatore Furia aveva fatto avere al giornale la nota sintetica di quanto visto da quel punto privilegiato per guardare il cielo:

Ore 18.07, ultime luci del crepuscolo. L’esplosione del nucleo dell’oggetto misterioso appare in fase avanzata. E’ evidente la luminosità dell’oggetto misterioso, che supere quella di Giove.

Ore 18.20, il nucleo è sparito, come disintegrato: al suo posto c’è un vuoto, mentre tutto attorno la materia gassosa si espande.

Ore 18.48, l’alone gassoso perfettamente circolare assume un diametro pari a nove volte quello della Luna, mentre la luminosità va via via decrescendo.

Ore 18.50, non è visibile alcun lucore.

Ore 19.05, l’oggetto misterioso riappare e viene osservato dagli astrofili della “Schiaparelli” con il telescopio Merz equatoriale, con binocoli 50 x 10 e a occhio nudo. La luminosità è maggiore rispetto al primo avvistamento; l’oggetto è costituito da due distinte parti: da un nucleo sferico a destra luminosissimo e da un alone a forma di ombrello aperto a sinistra. 

Furia e i suoi collaboratori fotografarono il corpo con un astrografo mentre i milanesi ingolfavano di chiamate i centralini del Corriere, dell’Osservatorio astronomico di Brera (da dove, anche se con difficoltà data la nebbia, qualcosa era stato visto), dei Vigili del Fuoco, della Polizia, dei Carabinieri… Una signora chiese al centralino del maggior giornale milanese se, visto che in quelle ore ci accingevamo ad avvicinarci alla Luna con l’Apollo 8, da poche ore in viaggio verso il satellite, non potesse trattarsi di “uno scambio di visite tra abitanti di diversi mondi”.  

Da Brera, il direttore, l’astronomo Francesco Zagar (1900-1976), dopo aver detto che il corpo si era formato poco dopo le 18, dichiarò che era visibile verso sud-ovest, nella zona della costellazione dell’Aquila, non troppo discosto dalle coordinate in cui si trovava Venere. Zagar riuscì a seguirlo per un’ora mentre si muoveva con lentezza verso ovest. In una prima fase appariva come un alone che andava aumentando di raggio, nella seconda diventò simile a un “ventaglio” con contorni delimitati e ben pronunciati, di colore giallo-verde (Il Messaggero, 23 dicembre 1968). Lui stesso, in quel momento, confermava “l’inspiegabilità del fenomeno”.

Il 24 dicembre il Corriere aggiunse che il corpo era stato osservato per mezz’ora, in direzione ovest anche nel cielo di Ponte di Legno, in Valcamonica, oblungo, luminosissimo e con scia gassosa.

Non c’è da stupirsi che, dopo queste notizie, il clima in Lombardia sia diventato adatto per la comparsa di storie simili: nel cielo terso della prima serata di Santo Stefano, parecchi milanesi rimasero a guardare stupiti un altro corpo luminoso, in realtà nient’altro che Venere in una delle sue belle performance di pianeta luminosissimo (Corriere della Sera, 27 dicembre 1968).

In un telegiornale Rai delle 13.30 andato in onda nei giorni successivi allo show del giorno 21, Salvatore Furia (uno dei protagonisti della nostra storia, per certi versi), fu intervistato in diretta su quanto aveva visto subito dopo la parte dedicate al volo dell’Apollo 8. Sembra che Furia in quell’occasione abbia avanzato qualche ipotesi sulle cause dei fatti, ma non ne sappiamo di più (Corriere della Sera, 27 dicembre 1968).

Per fortuna disponiamo di un’altra dichiarazione di Furia circa le cose che aveva preso in considerazione. E’ contenuta in un’intervista che gli fu fatta dal giornalista Sandro Dini per Il Messaggero del 23 dicembre. In realtà nessuna ipotesi gli sembrava calzare bene per l’Ufo di due giorni prima: l’esplosione di un satellite era impensabile, l’emissione di una nube di sodio da un razzo neppure (erano troppo brevi, secondo lui, rispetto a quanto visto), la disintegrazione di un razzo vettore neanche (il corpo si sarebbe comportato come una meteora) e, infine…

…un residuo di combustibile del razzo lanciato ieri da Capo Kennedy, un “Saturno 5”, nella zona di parcheggio intorno alla Terra. Abbiamo scartato anche questa ipotesi per il fatto che a quell’ora il “Saturno” si trovava a 80 mila chilometri dal punto in dove appariva la luminescenza. 

Dopo quest’ultima considerazione, per Furia il fenomeno visto e ripreso da lui e dai suoi era “destinato a rimanere per sempre un mistero”.

In realtà le cose non stavano così. Non ci è chiaro quanto tempo ci volle perché almeno gli osservatori più informati si rendessero conto di ciò che era successo davvero.

Nei mesi successivi al dicembre 1968 su diverse riviste astronomiche comparvero notizie di osservazioni dello stesso fenomeno fatte da vari punti dell’Europa occidentale e meridionale e dall’Africa di nord-ovest. La cosa interessante è che nemmeno in quella fase chi raccoglieva le notizie di osservazioni ottiche di fenomeni celesti “curiosi” di almeno una di quelle testate riuscì a mettere insieme i vari frammenti e a imboccare la via giusta per la spiegazione.

Un esempio è costituito da L’Astronomie, la rivista della Société Astronomique de France. Cominciò a parlare di quello che era successo nel numero di giugno 1969 (p. 268). Un astrofilo norvegese, da Sorlandsbauen si vedeva collocare la sua osservazione di quella sera fatidica nella rubrica ”oggetti sospetti”, ma, soprattutto, poco sotto, tutta una serie di astrofili dal nord al sud della Francia, ma anche uno di Rabat, in Marocco, che avevano riferito sul corpo luminoso visto in quei momenti, per il redattore de L’Astronomie avevano visto la nube di sodio emessa da uno dei razzi-sonda che venivano lanciati sovente dal poligono delle Landes, nel sud-est del Paese!  

Solo quattro mesi dopo il giornale francese rettificò, fornendo finalmente ai suoi numerosissimi lettori la spiegazione esatta. Nell’edizione di ottobre ‘69 (p. 416) chiarì come stavano le cose:

Il sig. Futaully, dell’Osservatorio di Parigi-Meudon, ci fa notare che in realtà si trattava della ionizzazione dei gas liberati dall’esplosione al momento della separazione dello stadio S-IVB dall’Apollo 8, seguita dall’eiezione di ossigeno liquido e di idrogeno liquido rimasti nel serbatoio dell’S-IVB. Chiediamo ai lettori di voler scusare l’errore. 

Sul numero di dicembre 1969 (p. 469) fu il turno di un astrofilo marocchino di Tangeri e di un altro di Rabat, molto più a sud. Anche a loro fu finalmente spiegato che non si trattava di una nube di sodio, come loro stessi avevano sospettato, forse mal consigliati dalla stessa Astronomie, ma dell’Apollo 8.

La rivista astrofila britannica The Astronomer alle pp. 128 e 139 della sua annata 1969 fu più chiara. Descriveva almeno tre avvistamenti, due dall’area di Londra e uno dalla contea del Warwickshire, più a nord, più o meno dalle 17 ora inglese (dunque in coincidenza con i nostri casi), tutte nei pressi della stella Altair, nella costellazione dell’Aquila: la natura del fenomeno in più di un caso era stata compresa già dagli stessi osservatori.

A quanto pare anche un gruppo di giovani astrofili di Belgrado, verso le 18.50 locali di quel giorno (un’ora in meno, per noi italiani), vide il corpo per la durata di almeno un quarto d’ora, in direzione sud-est. La fonte di cui si dispone (il libro dell’ufologo rumeno Ion Hobana UFOs from Behind the Iron Curtain, uscito in inglese a Londra nel 1975 ma scritto con il giornalista olandese Julien L. Weverbergh e pubblicato una prima volta nei Paesi Bassi nel ‘73) non esita a definirlo “un Ufo”, ma la cosa che non stupisce: Hobana era convintissimo dell’origine extraterrestre delle “cose nel cielo”.

In realtà, gli effetti dei gas dello stadio S-IVB dell’Apollo e dell’idrogeno ed ossigeno liquidi furono visibili in mezzo mondo. Astronomi ed astrofili di parecchi luoghi li riconobbero all’istante.

Se vi piace la storia dell’astronautica e dell’ingegneria aerospaziale, potete leggere direttamente alla pagina 5-2 del Mission Report della NASA, redatto nel febbraio 1969, i dettagli relativi alla fase del volo che generò l’Ufo.

In generale, c’è una bella ricostruzione sul sito dello Smithsonian Museum del grande significato che il volo dell’Apollo 8 ebbe per gli Stati Uniti e per il mondo. Al termine di un anno di enormi cambiamenti culturali, il successo di una missione difficile portata a termine con successo con il missile Saturno V, che era andato nello spazio solo due volte, diede il segnale che ormai il nostro sbarco su un altro corpo celeste era questione di mesi.

Alle pagine 43-46 di questo documento, il giornalista aerospaziale e scettico americano Jim Oberg documenta riprese fotografiche fatte alle Hawaii e ulteriori avvistamenti inglesi, ma è probabile che cercando in rete emergerebbe parecchio da altre parti del globo.

A ben vedere, alcuni studiosi italiani del cielo almeno per un po’ di tempo rimasero confusi sulla natura del fenomeno.  Uno di questi fu Salvatore Furia, che ebbe una parte considerevole nel risalto dato dai giornali grazie alla sua descrizione, al suo entusiasmo di osservatore e alla foto riprodotta dal Corriere della Sera e che in seguito sarà sempre ben disposto verso i presunti misteri del cielo. Ad esempio, dichiarerà di aver visto in pieno giorno, il 6 gennaio 1987, sempre presso l’Osservatorio, un corpo volante luminoso levarsi dalle acque del lago di Varese e di averlo osservato anche al telescopio (La Prealpina, Varese, 24 marzo 1989).   

A parte questa spigolatura, a suo tempo il fenomeno fu legato dal Corriere della Sera al lancio dell’Apollo, ma soltanto perché venne in mente che forse poteva trattarsi di qualche “satellite-staffetta” (?) espulso dal missile in partenza.

Che l’Ufo e l’Apollo 8, in pratica, fossero la stessa cosa (e tutti in quel momento erano presi dagli sviluppi della missione) almeno in una prima fase, come visto, parve difficile da accettare persino ad alcuni osservatori non alle prime armi.  

Aggiungiamo, per la sua bellezza e perché anche in questo caso l’associazione con il lancio della missione Apollo non venne in mente, soltanto un’altra testimonianza del tempo.

Nel 1968 Walter Ferreri, che poi lavorerà a lungo all’Osservatorio Astrofisico di Pino Torinese, era un astrofilo ventenne.

Raccontò in dettaglio cosa vide quella sera soltanto molti anni dopo, sul numero di maggio-giugno 1986  della rivista astronomica che aveva contribuito a fondare, Orione (oggi Nuovo Orione). Da un paio d’anni Ferreri teneva un registro manoscritto delle sue osservazioni della volta celeste e, semplicemente, schizzava a matita e con grande abilità ciò che di notevole scorgeva. Altri tempi.

Quel giorno stava uscendo da un negozio, a Torino, quando alle 17.50 scorse anche lui una “stella” bianco-azzurra immersa in un alone. Da casa ne distinse meglio le parti grazie a un binocolo. Alle 18.03 fotografò il fenomeno. Nell’immagine il nostro “Ufo” è una vistosa luminosità biancastra, in basso appena sopra i tetti di Torino.

Poi il nucleo s’ingigantì diventando simile a una nebulosa. Al binocolo apparve composto da più parti. Si spostò lentamente verso Altair, sbiadendo. Alle 18.30 scomparve.

Nei suoi appunti, sul momento, anche Ferreri non seppe che dire circa l’origine dell’oggetto. Solo “alcuni mesi dopo”, scrisse nel 1986 su “Orione”, venne anche lui a conoscenza che si trattava dei gas dell’Apollo 8.

Intanto, però, il nostro “Ufo” aveva adempiuto al suo compito in maniera eccellente. Tre giorni fa è caduto il cinquantennale di un fatto storico: per la prima volta, a bordo dell’Apollo 8, tre uomini, Frank Borman, James Lovell e William Anders, circumnavigarono la Luna compiendo dieci orbite intorno ad essa, avvicinandosi così fino a poco più di centodieci chilometri dal suolo di un corpo celeste diverso dal nostro.

Un compito decisivo: l’Apollo 9 volerà non distante dalla Terra, l’Apollo 10 perfezionerà la circumnavigazione lunare compiuta sei mesi prima dal nostro “Ufo” simulando l’allunaggio di “Snoopy”, il Modulo Lunare che il 20 luglio 1969 porterà l’essere umano su un altro mondo grazie all’Apollo 11.

Quando regalò al mondo lo spettacolo gratuito che stupì tanta gente, magari anche abituata a fenomeni del cielo non banali, lo fece perché stava effettuando manovre legate alla cosiddetta TLI, o Trans-Lunar Injection. Questa fase del volo dell’Apollo 8, che era iniziata alle 16.47 ora italiana, cioè un’oretta prima che il fenomeno comparisse anche alle nostre latitudini, servì per piazzare il velivolo spaziale sulla rotta giusta per andare verso la Luna.

Ci è parso davvero ironico che meno di due anni dopo l’impresa dell’Apollo 8 e la “sera dell’Ufo”, il nostro velivolo spaziale sarà protagonista del quarto episodio del telefilm di fantascienza “UFO”, che in italiano si chiamava “Bonifica spaziale” e nell’originale inglese “Conflict”. In uno degli stadi del Saturno V usato per il lancio dell’Apollo 8, gli alieni hanno nascosto una sorta di Ufo-mina magnetica, che dunque costituisce una minaccia da eliminare.  

Non esiste la benché minima evidenza che gli sceneggiatori del telefilm avessero presenti i guai combinati quella sera del caldo 1968 dall’Apollo 8. Ma, in fondo, un Ufo ingannatore come quello dell’episodio tv anche la nave di Borman, Lovell e Anders lo celava.

E, per l’ennesima volta, i gas dell’Apollo 8, lasciando stucco gli addetti ai lavori nell’osservazione del cielo, mostrarono che non esiste categoria di testimoni davvero al sicuro dall’errore. Sotto molti profili, tutti sono eguali nelle limitazioni, nel ricordo, nella rievocazione, nei sistemi neurocerebrali.

Immagine di copertina: l’equipaggio dell’Apollo 8. Da sinistra, e Frank Borman, William Anders e James Lovell. Poco più di tre ore dopo il loro lancio da Cape Canaveral in Italia del nord ci furono le prime osservazioni di un “UFO”… [foto di pubblico dominio]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *