Colpo di scena sui supervecchietti
Articolo di Lisa Maccari
L’hanno chiamata “la Signora del Tempo”, “la Nonna del Mondo”; sulla sua tomba ad Arles, in Provenza, spicca in lettere scintillanti la commovente definizione di “Decana dell’Umanità”. L’eccezionale longevità della francese Jeanne Louise Calment, spentasi nel 1997, all’età di 122 anni e 164 giorni, ha sempre meravigliato medici, demografi e giornalisti, oltre a una vasta platea di persone comuni che le hanno tributato affetto incondizionato, degno di una tifoseria sportiva.
A questo apprezzamento corale, certo contribuì l’innegabile simpatia della signora. Jeanne rimase infatti lucida e arguta fin quasi alla fine; fu sempre bendisposta a raccontare episodi affascinanti della sua lontana gioventù, compreso un incontro personale con Vincent van Gogh (descritto peraltro come un uomo molto sgradevole, trascurato e abbrutito dall’alcol); e ostentò quel tocco che basta di civetteria politicamente scorretta, non avendo mai nascosto di essere stata una fumatrice, una cacciatrice e un’appassionata di sport tipicamente maschili, e lasciando intendere che proprio quelle intemperanze potessero aver contribuito alla sua forte fibra.
Oggi, tuttavia, il suo primato è messo in dubbio: arriva dalla Russia, a seguito della collaborazione di due ricercatori, un medico gerontologo e un matematico specializzato in statistica, una possibile spiegazione molto più cruda e banale del presunto “segreto di lunga vita” di Jeanne: che sia relativamente facile vantare 122 anni, quando in realtà se ne hanno 99, che pure è un’età notevole.
Il presunto record, in definitiva, si spiegherebbe con una semplice falsificazione volontaria che, secondo gli autori, sarebbe stata sotto gli occhi di tutti per diversi decenni, ma che nessuno aveva saputo o voluto vedere.
Secondo questa tesi, la vera e incolpevole Jeanne Calment, moglie di un commerciante agiato ma non ricchissimo, sarebbe defunta nel lontano 1934, a soli 59 anni; la donna sepolta con quel nome nel 1997 sarebbe stata in realtà sua figlia Yvonne, che dopo la scomparsa improvvisa della madre aveva assunto la sua identità, facendo dichiarare falsamente la propria stessa morte, e reggendo la parte con discrezione per più di mezzo secolo.
La motivazione? Nessun complotto globale e misterioso, né alcuna aspirazione a record di longevità imprevedibili. Secondo i critici, il pasticcio fu improvvisato con l’obiettivo di evitare le pesanti tasse di successione, che già pochi anni prima, alla morte del padre e della suocera di Jeanne, avevano falcidiato la famiglia,. Né la figlia (che allora aveva 36 anni ed era madre di un bambino di 6) né gli altri familiari, evidentemente complici della messinscena, potevano immaginare che lei sarebbe arrivata a sfiorare i 100 anni, vincolata per tutta la vita a dichiararne oltre 20 di più, diventando un caso accademico e mediatico mondiale.
Questo sospetto – che è bene precisare, attualmente è solo un sospetto, senza conferme – non solo getta un’ombra spiacevole sull’immagine del personaggio, ma solleva anche un’inedita riflessione sul piano metodologico, che potrebbe toccare da vicino chi si occupa di indagini scettiche.
Ed è proprio di questo che ci interessa parlare.
L’età della signora, per quanto decisamente spiazzante, non era stata mai contestata da un punto di vista scientifico, a partire dal giorno della sua convalida ufficiale.
Proprio in base al sano principio critico secondo cui “affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie”, questa verifica aveva richiesto un eccezionale investimento di impegno, durato molti anni: la tenace nonnina, scoperta all’età di 110 anni (quando si decise, controvoglia, a trasferirsi in una casa di riposo), ricevette una certificazione ufficiale della sua età solo 10 anni dopo, ancora in vita.
Se il protocollo base per l’autenticazione dell’età di un supercentenario prevede almeno tre documenti indipendenti, tutti risalenti all’epoca originale di stesura, nel caso di Jeanne Calment ne furono individuati almeno 21 (14 citazioni nei censimenti nazionali e 7 dichiarazioni anagrafiche di nascita, di matrimonio o di morte all’interno del suo nucleo familiare), più ulteriori voci provenienti da registri parrocchiali, scolastici, contratti commerciali e assicurativi. Tutti coerenti.
La ricerca, tuttavia, non si limitò al suo personale arco di vita: le origini della sua famiglia furono tracciate con accuratissima continuità, ricostruendo una catena ininterrotta di antenati fino alla nona generazione. La predisposizione genetica alla longevità, evidentemente, era ricorrente in famiglia. Oltre ai dati facilmente accessibili nel Novecento, che mostravano come il padre di Jeanne fosse vissuto fino a 93 anni, la madre fino a 86 e il fratello a 97, dalle ricerche di archivio emerse una lunga scia di ascendenti più distanti che avevano superato gli 80, in tempi in cui quell’età si poteva considerare un traguardo notevole.
A dissipare gli ultimi dubbi, si aggiunge che Jeanne apparteneva alla borghesia benestante di una città di provincia, con una certa visibilità sociale; che, per tutta la sua lunga vita, fu sempre residente nello stesso comune, con soli due o tre cambi di domicilio facilmente individuabili; e che, avendo sposato un cugino di secondo grado da parte paterna, abbia sempre portato lo stesso cognome, sia da ragazza che da sposata, dettaglio che riduce significativamente la possibilità di confusione nei documenti. La verifica dei dati di archivio è stata oggetto di pubblicazioni accademiche e rispetta sicuramente i migliori criteri di scientificità. Le prove straordinarie per la straordinaria rivendicazione, sembrano esserci tutte.
Cosa rimarrebbe, dunque, da contestare?
Prima di entrare nel vivo della controversia, aggiungiamo qualche numero: il primato di Jeanne Calment, non solo è il massimo assoluto, ma rappresenta anche un valore anomalo, nettamente distante dal resto di tutti gli altri. La decana francese stacca infatti di ben tre anni la seconda dell’elenco (la statunitense Sarah Knauss, morta a 119 anni nel 1999), e distanzia di almeno cinque anni tutte le successive 10, attestate attorno ai 117. Tra i 116 e i 117, in effetti, si situa in media l’età delle persone più anziane al mondo ancora in vita: negli ultimi 20 anni, nessuno si è mai più avvicinato, non solo a contendere, ma nemmeno a sfiorare il record di Jeanne.
A questo punto, un giovane statistico russo, Nikolai Zak, ha voluto vederci più chiaro. Egli avrebbe elaborato un modello matematico per l’andamento atteso della probabilità di sopravvivenza, da un anno all’altro, degli ultracentenari delle fasce estreme, e avrebbe concluso che no, proprio no, quel dato non è plausibile. Troppo marcata la sua distanza dalla complessiva regolarità di tutti gli altri, troppo sospetta la sua unicità assoluta, in molti decenni di ricerche.
Convintosi quindi che l’età fosse sovrastimata, e che l’unica spiegazione possibile fosse quella di un errore o una falsificazione nei dati anagrafici, Zak si è rivolto a un gruppo di esperti di gerontologia di Mosca, guidato dal dottor Valery Novoselov. Questo, esperto di dati biometrici negli anziani, si era già occupato di rivalutazioni di dati storici (compresa la scrematura del controverso campionario di ultracentenari, vantato da numerose repubbliche dell’ex Unione Sovietica fino a pochi anni fa).
L’opinione di Novoselov è stata ferma: le condizioni fisiche e mentali di Jeanne Calment, nei suoi ultimi anni di vita (dei quali abbiamo vasta documentazione fotografica, video e audio, tuttora liberamente consultabile in rete) sarebbero tipiche di una donna molto anziana, sì, ma non supercentenaria. I due indagatori, insieme, hanno ripercorso la documentazione delle descrizioni del suo aspetto, a partire da quando dichiarava 110 anni, e sono rimasti colpiti dalle opinioni ricorrenti, sia di medici che di cronisti, del fatto che “ne dimostrasse almeno 20 di meno”
E se 20 anni di meno li avesse avuti davvero?
Nessuno sa con precisione quale aspetto dovrebbe avere un’autentica persona di 120 anni, data la mancanza di termini di paragone. Ma abbiamo ormai abbondanza di immagini e filmati di soggetti al di sopra dei 115, quasi tutti significativamente più fragili. La stupefacente capacità di Jeanne di camminare da sola senza stampelle o bastoni a 114 anni, o di tenere la schiena dritta sedendo in poltrona a 118 risulterebbero ancora più straordinarie del suo primato assoluto di longevità in sé.
Il sospetto che la miracolosa vecchietta che aveva incantato la Francia, cullando milioni di affezionati in un favoloso sogno di quasi-immortalità, potesse essere in realtà una normale novantenne, come tutti noi ne abbiamo conosciute, ha preso forma esplicita dopo la pubblicazione del primo resoconto dell’indagine. Ma come si concilierebbe questa ipotesi con la validazione della sua età, effettuata con il rigorosissimo protocollo già descritto, e di cui nessuno aveva mai dubitato?
I contestatori sono chiari su questo punto: un’ipotetica frode deliberata avrebbe potuto essere condotta anche senza alcuna ripercussione sui certificati ufficiali, in un’epoca in cui non esistevano registri nazionali incrociati e in cui non si faceva quasi mai uso di documenti scritti nella vita quotidiana. Non si avanza quindi alcuna accusa di errore sul piano tecnico, verso i ricercatori che a suo tempo completarono la certificazione della longevità di Jeanne Calment; i documenti da loro controllati erano effettivamente tutti autentici e tutti legali.
Semplicemente, si solleva il problema, mai posto prima, che questi abbiano trascurato di prendere in considerazione la possibilità della falsificazione volontaria; non che l’abbiano ipotizzata ma poi scartata, bensì che l’abbiano completamente ignorata, e che questo abbia condizionato le conclusioni tanto da renderle del tutto insignificanti.
La loro conclusione non è dimostrata, ma dobbiamo ammettere che l’obiezione di principio è valida: se l’ipotesi della sostituzione di persona fosse vera, e se la falsificazione fosse davvero riuscita a passare indenne attraverso le maglie della burocrazia dell’epoca, allora la puntigliosa ricostruzione documentale della vita di Jeanne Calment non avrebbe alcun valore, e dovrebbe essere ricontrollata da zero.
In effetti,, in diversi altri tentativi di validazione di età estreme, la possibilità di una sostituzione di persona o di un errore di identificazione è stata sempre prospettata al primo posto: l’unico altro caso al mondo di rivendicazione oltre i 120 anni, quello del giapponese Shigechiyo Izumi, fu smentito proprio per la stessa ragione, ossia l’evidenza che l’uomo avesse 15 anni di meno di quanto dichiarato, avendo assunto l’identità di un fratello maggiore morto adolescente.
L’ipotesi sociologica che, nel caso di Jeanne Calment, l’eventualità sia stata rifiutata a priori solo perché il personaggio ispirava tanta simpatia da rendere inaccettabile il “pensarne male”, è provocatoria, ma può avere un fondo di verità.
Mentre gli autori della nuova ipotesi l’hanno resa visibile soltanto su un sito web di ricerca libera, ma non ancora pubblicata con i filtri della peer review scientifica, e i ricercatori che hanno validato il caso a suo tempo, la bollano come offensiva, complottistica o diffamatoria, la polemica infuria.
A sostegno dell’una o dell’altra tesi si portano anche dettagli irrilevanti o pretestuosi, che non aiutano il confronto (ad esempio, qualche lapsus nelle interviste alla vecchia Jeanne, che occasionalmente confonde nomi e date di famiglia, come quasi tutti gli anziani del mondo); qualcuno comincia a invocare la riapertura delle sepolture delle due donne e l’analisi dei loro resti biologici, altri la respingono come una sorta di profanazione.
E soprattutto, particolare più curioso, ognuna delle due fazioni sostiene che l’onere della prova spetti all’altra.
Da un punto di vista razionale, dobbiamo ammettere che l’obiezione è seria.
Potrebbe rivelarsi sbagliata, ma in principio è seria e merita di essere esaminata a fondo. Liquidarla a priori come pura pseudoscienza o provocazione non è un atteggiamento razionale.
Dal punto di vista che interessa a noi, cioè quello dell’indagatore scettico di misteri curiosi, quale è l’affermazione più straordinaria, che richiede le prove più straordinarie?
Che una persona possa essere riuscita a impersonarne un’altra passando inosservata per più di sessant’anni in tutta la sua comunità sociale, o che abbia realmente vissuto per 122 anni e mezzo?
Aspettiamo aggiornamenti!