Il paralitico guarito dal treno: una leggenda metropolitana?
Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Il 24 luglio del 1922 nell’edizione del pomeriggio del Corriere della Sera, nella pagina che a quei tempi si chiamava “Recentissime” perché conteneva le ultime notizie che si potevano mettere in macchina, uscì un breve articolo datato al mattino dello stesso giorno. Sotto il titolo “Paralitico guarito per la paura d’essere investito da un treno” raccontava una strana storia trasmessa da Parigi:
Non è la prima volta che una forte emozione ha guarito una grave malattia, ma il caso accaduto ieri alla stazione di Digione è veramente singolare. Aveva fatto sosta in quella stazione un treno di pellegrini diretto a Lourdes, dal quale erano scesi per recarsi al buffet parecchi pellegrini. Avvicinatosi il momento della partenza, un paralitico appoggiato alle stampelle si avvicinava stentatamente al treno e si trovava ancora in mezzo alle rotaie quando sopraggiunse un direttissimo. Un grido di orrore sfuggì a tutti i presenti. Quel grido lo salvò. La scossa nervosa subita lo fece guarire. Gettate via le stampelle, si diede a correre a gambe levate e si mise in salvo. Da quel momento era completamente guarito.
I toni della notizia erano abbastanza asettici. Non c’era un’esplicita presa in giro della devozione per la fama delle guarigioni impossibili a Lourdes, ma il senso della storia era difficile a negarsi: un evento inatteso rivelava la natura psicogena di ciò che si credeva accadesse solo per volontà divina, ossia l’improvvisa guarigione da una paralisi, senza che fosse necessario un intervento trascendente.
Questa storia si doveva rapidamente rivelare una leggenda, una diceria che in realtà a quel tempo circolava in Francia in forme diverse da almeno da trent’anni e che la stampa di quel Paese e, si direbbe, quella italiana, avevano ripreso senza verifiche.
La stampa cattolica reagì indignata a servizi come quello del Corriere della Sera. Malgrado quelle reazioni fossero segnate dall’appartenenza confessionale, tutto indica che quella del “paralitico guarito dal treno” era sul serio una leggenda metropolitana.
Due mesi dopo il Corriere, il 23 settembre 1922 L’Alfiere, un settimanale locale di Chieri, nel torinese, pubblicò in prima pagina un pezzo ben argomentato che mostrava la natura improbabile della storia circolata in luglio. Certo, c’era anche la consueta apologia religiosa, ma quello che ci interessa è l’evidenza portata circa la storia del paralitico. Insieme ad un articoletto uscito il 7 ottobre dello stesso anno sul periodico diocesano Corriere di Saluzzo, l’intervento de L’Alfiere fornisce parecchie informazioni preziose.
Il giornale di Chieri spiegava che in realtà la stampa francese aveva collocato l’episodio alla stazione di Mâcon, non a quella di Digione, anche se protagonista sarebbe stato un paralitico di quella città. Plausibile si trattasse di un equivoco con la collocazione dalla quale, sulla stampa francese, nei giorni 23 e 24 luglio, era stata trasmessa la notizia. Partiva da Mâcon, datata 22, ma era riferita a un presunto episodio avvenuto a Digione (esempi: L’Homme Libre, Le Rappel, Le Populaire de Paris – Journal socialiste du matin del 23 luglio, Le Midi socialiste e Le Petit Marsellais del 24, L’Echo Nogentais del 26, ecc. In Francia anche le riprese della stampa cattolica alla storia erano cominciate quello stesso giorno. Uno per tutti: Le Populaire de Paris).
A parte questo, scriveva L’Alfiere di Chieri il 23 settembre, non solo quei pellegrini non sapevano nulla del presunto “miracolo”, ma – soprattutto – il racconto girava da parecchio.
La fonte più antica menzionata era il settimanale L’intransigeant Illustré nel suo numero del 15 settembre 1892 (forse addirittura la storia era stata usata per la copertina: non ne disponiamo). Poi, nel 1901, ne aveva parlato un volume del biologo e filosofo delle scienze Félix Le Dantec (1869-1917), e nel 1908 lo avevano fatto alcuni “giornali anticlericali” che lo narravano come un fatto accaduto tempo prima alla stazione di Nancy. In effetti, lo fecero in parecchi, a partire almeno da La Petite République parigina del 27 agosto, che scriveva anzi trattarsi di un fatto avvenuto proprio quella mattina. Ne seguiranno altri, e noi ricordiamo soltanto il più importante quotidiano cattolico francese del tempo (e anche di oggi), La Croix, che il 5 agosto lo definiva un canard (diremmo una bufala, oggi), spiegando tra l’altro che la salita dei pellegrini a Nancy avveniva su una banchina separata, distante 25 metri dai binari di transito.
La stampa, mal disposta verso i cattolici – per tornare a L’Alfiere – non si era premurata di verificare niente di quanto apparso Oltralpe a partire da fine luglio 1922.
Ci fu un uomo di buona volontà, che volle andare alla fonte del fatto e ne scrisse al Capo stazione, il quale, indignatissimo, gli mandò in risposta un telegramma di smentita assoluta. Questa smentita fu pubblicata dai giornali cattolici, ma sugli altri nemmeno una parola!
Si direbbe senz’altro che periodici come quello chierese riprendessero il cattolico La Croix, che già il 27 agosto del ’22, in prima pagina, per mano del sacerdote Eugène Duplessy aveva menzionato tutte le fonti di cui parlava L’Alfiere, e qui, nel riassumerle, il periodico di Chieri, faceva erroneamente intendere che la verifica del capostazione si riferisse al luglio precedente e non al 1908.
Quando a Le Dantec, fu un polemista deciso e uno dei padri del determinismo biologico. La nostra storia è effettivamente presentata nel suo volume della primavera 1901 Le Conflit, entretiens philosophiques (Armand Colin, Parigi, pp. 208-209), in cui immagina un confronto-scontro fra due francesi di provincia, vecchi amici di gioventù, uno diventato un matematico prestato alle scienze della vita, l’altro un prete cattolico.
Discutendo di miracoli, quest’ultimo, l’abate Jozon, spiega che per vedere i miracoli bisogna che il biologo, Fabrice Tacaud, vada a constatarli a Lourdes. E gli consiglia la lettura di un libro sul santuario e sulle presunte guarigioni allora appena uscito e destinato a grande circolazione, Les grands guérisons de Lourdes, opera del capo della commissione medica del posto, il dottor Prosper Gustave Boissarie.
Ecco cosa replicava al prete il personaggio semi-immaginario di Le Dantec:
Lo raccomandate, rispose Fabrice con aria di sfida, ma si tratta dell’opera di un credente, di uno spirito prevenuto e in grado di convincere se stesso più di quanto a me potrebbe succedere. Il solo miracolo al quale ho prestato fede mi è stato raccontato da un miscredente come me che era partito per Lourdes circa dieci anni fa con il treno dei pellegrini. Questo treno speciale era instradato nelle stazioni ogni volta che doveva esser superato da un rapido. Non so dove sia stato, ma i pellegrini, affamati, scesero per recarsi al buffet, però lo fecero sul lato sbagliato. Due di costoro portavano un paralitico su una barella. Temendo un terribile incidente, i ferrovieri gli urlarono bruscamente: “attenzione, arriva il rapido!” Il treno arrivava a tutto vapore. I due barellieri, presi dal panico, poggiarono il paralitico sulle rotaie e saltarono sul marciapiede. Ed ecco il miracolo: vedendo il treno che si avvicinava il paralitico si alzò dalla sua pericolosa postura e corse al buffet prima che la locomotiva facesse a pezzi la barella appena abbandonata. Questo prova che, se si ha fede, non c’è bisogno di andare sino a Lourdes per guarire. Basta partire con l’intenzione di ottenere lo scopo. Ecco ciò che oggi pensa il mio amico: rientrò senza andare sino a destinazione del viaggio perché aveva visto un miracolo, e anche perché il treno dei pellegrini era privo di qualsiasi confort.
Miracolo senza Madonna, dunque, del quale è testimone “un miscredente”. Il miracolato – per eccesso satirico del racconto – corre sino alla tavola calda…
Le Dantec, maestro di razionalità, per non aver dato retta sino in fondo alla razionalità c’era cascato. Ventuno anni dopo l’uscita del suo libro, il Corriere di Saluzzo, emanazione diretta del clero locale, poteva commentare agevolmente che la storia era “un bel serpente di mare”, come in quei decenni si definivano le leggende metropolitane e, più in generale, le notizie false date dalla stampa.
Pare del tutto probabile che molto altro su questa storia sia comparso sulla stampa italiana dell’estate 1922. La leggenda del paralitico guarito dal treno attirò quasi certamente l’attenzione di parecchi, perché era una bella storia che per il suo tono anti-religioso finiva per promuovere a verità l’idea antica che la guarigione di malattie anche gravi si potesse indurre con lo spavento o attraverso traumi psichici più o meno involontari.
Si tratta di una convinzione dalla storia lunghissima che ci farebbe risalire all’antichità classica, se non a prima. Di questa storia vi diamo soltanto due esempi che ci sembrano chiari a sufficienza. Il primo proviene dalla cultura greca, il secondo da quella cristiana di epoca ed area bizantina.
Quello classico si trova in una stele scoperta a Epidauro, nel Peloponneso greco, regione in cui sorgeva uno dei più celebri santuari e luoghi di guarigione del mondo classico, quello centrale del culto di Asclepio. Questa stele reca molte iscrizioni ed è stata datata al 350-300 a.C. Se siete in grado di capire il greco antico potete leggerla qui, al capoverso XVI, se no fate come noi e andate subito alla traduzione inglese:
Nicanore, uno zoppo. Mentre sedeva perfettamente sveglio, un ragazzo gli sottrasse la stampella e corse via. Ma Nicanore si levò, lo inseguì, e così fu guarito.
Questa versione ha toni satirici più marcati di quella del 1922 del paralitico di Lourdes. Lì è la paura di un’orribile morte imminente a guarire, a Epidauro basta la sfuriata per il dispetto di un ragazzo a eliminare il dio come causa necessaria per la scomparsa istantanea dell’infermità.
L’esempio cristiano, invece, giunge da un’antologia bizantina di storie di miracoli raccolte in varie epoche, ma probabilmente redatte fra il VI ed il VII secolo della nostra era. Si tratta dei Miracula SS. Cosmae et Damiani. Alle pp. 162-164 dell’edizione del testo curata e pubblicata nel 1907 in Germania dal filologo Ludwig Deubner compare la nostra vicenda, che ha per protagonisti un paralitico e una donna muta che dormivano di notte sul pavimento di una certa chiesa dei santi Cosma e Damiano, medici invocati nel Vicino Oriente come potenti taumaturghi sin dal loro martirio, avvenuto ai primi del IV secolo. In sogno all’uomo apparvero i due santi, e gli dissero che se voleva guarire doveva giacere con la muta che riposava non lungi da lui. Solo dopo che il sogno si ripeté tre volte l’uomo avrebbe acconsentito a quel genere di richiesta. Nel cuore della notte si trascinò sulla donna, ma appena la toccò con la mano, quella si svegliò e, malgrado il mutismo, si mise a gridare chiedendo a tutti di uccidere l’uomo. Di fronte a questa reazione, pure il paralitico sarebbe scattato in piedi, guarito anche lui, e sarebbe fuggito per il timore di essere linciato.
Il racconto, la cui natura non agiografica è al limite della satira, si chiude non solo con un happy ending (muta e paralitico, risanati, si sposano), ma con questa bella chiosa:
Il paralitico insegnò alla donna muta a parlare con chiarezza e la donna non in grado di parlare insegnò al paralitico a correre senza gambe.
Oggi il tema del “malato immaginario guarito all’istante” è sfruttato in chiave comica persino nelle barzellette. Un esempio che vede per protagonisti, come “guaritore, un “giovane medico cinese” e un “avvocato furbo” potete leggerlo qui.
La nostra leggenda ottocentesca del paralitico diretto a Lourdes indica che nessuno – nessun ambiente, nessun gruppo, nessun movimento o corrente, tanto meno chi si richiama alla razionalità – è immune dalla possibilità di aderire a leggende, voci, dicerie, storie incontrollabili.
Forse è inevitabile che accada, ma pensiamo sia anche un salutare campanello per noi scettici, che pure cerchiamo sempre di vegliare sulla fondatezza di ciò che raccontiamo.
Immagine in evidenza: Uno zoppo e un cieco in pellegrinaggio verso il santuario di Mont Saint Michel (dal Salterio di Luttrell – 1320-1340 ca., British Library, Add. Ms 42130, foglio 104, verso). Si ringraziano Davide Ermacora per i suggerimenti e Roberto Labanti per le copiose fonti fornite.