Miti e leggende sulla bambola Barbie
Barbara Millicent Roberts, meglio nota come Barbie, è nata ufficialmente il 9 marzo 1959, quando fu presentata alla American Toy Fair a New York. Oltre a darle un nome e un cognome, Mattel rese note altre sue generalità. Nativa del Wisconsin, ha frequentato il liceo della sua città, Willows, che non troverete sulla mappa. Il successo fu immediato e planetario, e Mattel ora celebra il sessantesimo compleanno della bambola accompagnata dal monotono coro “non li dimostra”. Non si sa di preciso quante bambole Barbie siano state vendute, secondo le stime pubblicate si può tranquillamente affermare che superano il miliardo di esemplari. Mattel dal canto suo dichiara di venderne 100 al minuto, 58 milioni l’anno. Con questi numeri un giocattolo diventa qualcosa di più, e una delle parole più usate è icona. La familiarità che abbiamo con questo oggetto fa anche sì che si sviluppino delle storie intorno a esso. Non tutte però sono vere, o non lo sono del tutto.
La nascita di Barbie
Ruth Handler, co-fondatrice della Mattel, è considerata l’inventrice di Barbie. Racconterà di essere stata ispirata dalla figlia, che con le amiche giocava con bambole di carta, a figura adulta, che potevano vestire come volevano. Pensò quindi che servisse una bambola tridimensionale, che riproducesse una donna adulta, non un bimbo o una bimba. E nacque Barbie, dal nome della figlia Barbara (e non da un criminale nazista). Questa storia zuccherosa, ottima per le vendite, è come minimo incompleta.
La bambola Barbie non esisterebbe senza Lilli, il personaggio di un fumetto pubblicato dal tabloid tedesco Bild a partire dal 1952.
Lilli era una provocante seduttrice creata per solleticare le fantasie dei lettori del tabloid, e la striscia diventò così popolare che Bild nel 1955 fece fabbricare la sua bambola, anche questa destinata a un pubblico adulto. Col tempo però cominciarono a giocarci anche i bambini: del resto aveva tutto, ma proprio tutto, quello avrebbe avuto Barbie, compresi gli accessori. Barbie è entrata in produzione 3 anni dopo che Ruth Handler aveva visto e acquistato una Bild Lilli in Svizzera, e nel 1964, dopo un’aspra battaglia legale Mattel comprò tutti i diritti del personaggio e tutti gli (innovativi) brevetti della bambola, seppellendola per sempre. Non possiamo sapere se la storia della figlia che giocava sia vera o un’abile mossa di marketing, ma come scrive la professoressa di diritto Orly Lobel nel suo libro You Don’t Own Me: The Court Battles That Exposed Barbie’s Dark Side (2017) Handler voleva passare alla storia come l’unica inventrice di Barbie, e con Mattel fece di tutto perché l’imbarazzante Lilli fosse dimenticata. Sul sito dell’azienda dedicato alla bambola, continua a non essere nemmeno nominata.
Da tempo però Lilli non è più un segreto, e Hendler stessa negli anni rielaborò la narrazione incorporando il suo fortuito viaggio in Svizzera, naturalmente successivo al lampo di genio avuto osservando la figlia con le sue bambole di carta. A complicare le cose, c’è anche Jack Ryan, l’ingegnere bellico passato ai giocattoli che si occupò di americanizzare Lilli per Mattel. Anche Ryan voleva la sua parte di gloria, e cercò di attribuirsi l’invenzione di Barbie. I brevetti erano infatti a suo nome, e l’accordo con Mattel prevedeva addirittura una percentuale sulle vendite. Il nome stesso di Barbie sarebbe un omaggio a una delle sue mogli, Barbara. Ma come sottolinea Orly, né Ryan né Hendler, o altri della Mattel esitarono a copiare un altro prodotto. Parafrasando, non vendi un miliardo di bambole senza farti qualche nemico.
Ken cross-dresser
La forza di questo giocattolo, fin dall’inizio, è che era possibile personalizzarlo con accessori ufficiali o meno. Il limite è la fantasia. Allo stesso tempo l’uscita di un nuovo esemplare della famiglia Barbie, o di un nuovo accessorio, è un evento per bambini e collezionisti. Facile quindi, con un po’ di olio di gomito, inventarsi una Barbie non prevista da Mattel. In questi anni abbiamo visto per esempio il panico per una Barbie col burqa (in realtà opera di un’artista) o per la Barbie abortista (in realtà un modo per colpire la politica Wendy Davis, che così è stata simpaticamente soprannominata dai Repubblicani). Ma nel 1990 è stato Ken a creare un caso nazionale, come ci ricorda Museum of Hoaxes.
Una bimba trovò in un Toys ‘R’ Us un Ken vestito interamente di rosa, con gonna e borsetta. La famiglia acquistò l’oggetto, e gli esterrefatti impiegati constatarono che la confezione era sigillata. In breve Ken cross-dresser era diventato l’argomento del momento in tv e una manna per i comici. Si trattava forse di una bambola sperimentale finita per errore in vendita? Nel frattempo i collezionisti cercavano di accaparrarsi la bambola offrendo migliaia di dollari.
Alla fine, ovviamente, un impiegato di nome Ron Zero confessò di essere stato lui a creare quel Ken, avendo l’accortezza di sigillare nuovamente la confezione. Ai giornali disse che in negozio avevano sempre fatto cose del genere “Impiccavamo le bambole nelle corsie o mettevamo Ken e Barbie nella sua casa con Barbie che sculacciava Ken”. Poco dopo Ron fu licenziato. Non tutti gli eroi indossano un mantello.
Una Barbie preistorica
Se siamo davvero nell’era geologica Antropocene, magari un giorno in questo strato sarà riconoscibile il contributo di tutte le Barbie che hanno terminato la loro esistenza in discarica. Ma secondo una leggenda metropolitana di metà degli anni ’90 un archeologo amatoriale, tanto entusiasta quanto ingenuo, avrebbe mandato allo Smithsonian quello che credeva il reperto di un ominide, sentendosi rispondere che si trattava della testa di una Malibu Barbie.
La leggenda consiste nella lettera che lo Smithsonian avrebbe scritto all’uomo in risposta. Firmata Harvey Rowe, demolisce con molta cortesia ma in modo devastante le deliranti teorie del novello Yves Coppens. Un capolavoro di letteratura umoristica inoltrato via e-mail, ma che qualcuno ha preso per vero. Harvey Rowe esiste davvero, ed è effettivamente l’autore della lettera, ma non è mai stato impiegato allo Smithsonian. Era invece un medico poi passato all’informatica, ma aveva abbastanza conoscenze di archeologia e paleontologia da costruire una risposta da esperto a un immaginario scienziato fai-da-te.
Il grande colpo della Barbie Liberation Organization
Ron Zero aveva vestito Ken a suo modo per divertirsi, ma c’è chi ha usato strategie simili con uno scopo politico. A Natale del 1993 un gruppo di attivisti chiamato Barbie Liberation Organization dichiarò di aver invertito le voci di due giocattoli: Teen Talk Barbie e Talking Duke G. I. Joe. Ora Barbie diceva frasi come “gli uomini morti non dicono bugie” e G. I. Joe “Amo lo shopping”. Centinaia di giocattoli contro gli stereotipi di genere stavano per invadere l’America. L’operazione sui giocattoli era senza dubbio tecnicamente possibile, e la Blo fornì anche dettagliate istruzioni su come fare. Ma gli attivisti-artisti diedero anche una lezione ai media. Non è chiaro quante di queste bambole siano realmente state realizzate, e quante siano state effettivamente comprate. Sicuramente non ci fu la paventata invasione, ma dal momento che era la stessa Blo a indirizzare i giornalisti dove un bambino aveva trovato una bambola modificata, e a confezionare video e articoli per giornali e televisioni, la copertura mediatica è stata garantita. Mattel e Hasbro (produttore di G. I. Joe) affermano invece di non aver mai ricevuto reclami, e il sabotaggio non ebbe conseguenze legali. Per Blo una vittoria su tutta la linea.
Una Barbie in un santuario
A volte una leggenda può sconfinare nella teologia, e così è successo anche a Barbie. Nell’isola di Pulau Ubin, Singapore, c’è un santuario eretto a ricordo di una ragazza tedesca. Non si sa chi fosse, la storia che si tramanda è che abitasse sull’isola coi suoi genitori, che possedevano una piantagione di caffè, e che sia morta durante la Grande guerra. Fu eretto un piccolo santuario, dove sono poi stati trasportati i resti, che è ancora oggi visitato. Tra tutti gli oggetti che ospita spicca una bambola Barbie. Apparentemente si trova lì almeno dal 2007, e l’avrebbe portata un uomo dopo che, in sogno, la ragazza tedesca gli avrebbe detto di farlo. L’uomo avrebbe fatto lo stesso sogno per tre notti, per poi trovare in un negozio proprio quella bambola. Anche in questo caso, non sappiamo come sia andata davvero (il sogno che si ripete per tre volte è un classico del folklore): sappiamo solo che ora c’è una Barbie in bella evidenza ad accogliere i pellegrini e le loro preghiere. Forse, date le origini teutoniche della bambola, non potrebbe esserci una collocazione più appropriata del santuario della ragazza tedesca.
Immagine da Flickr, CC BY-NC-SA