La strage di via Isonzo a Torino: quando Satana (non) ci mette la coda
Giandujotto scettico n° 34 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (28/03/2019)
La storia terribile che qui ricostruiamo ebbe per teatro, quasi trentun anni fa, una delle maggiori città italiane, Torino. Esplose, non a caso, in uno dei periodi di picco del cosiddetto panico satanico, quando il mondo occidentale vide dilagare il timore di abusi, rapimenti, violenze e uccisioni compiute da singoli o da gruppi di satanisti.
Nella notte di martedì 15 novembre 1988, in un piccolo appartamento di via Isonzo, nel quartiere San Paolo a Torino, si consumò un duplice delitto. Due fratelli, che chiameremo G1 e G2, infierirono con estrema brutalità su una donna, F, che morì per i calci e le botte subite. Pochi minuti dopo morì anche G2, amante di F, – probabilmente come conseguenza di un vizio cardiaco di cui soffriva. Sembra si fosse sentito male durante una violenta lite in cui G1 lo aveva addirittura afferrato per i testicoli. Ma prima di soccombere G2 aveva fatto in tempo a ferire G1, staccandogli un pezzo di lingua con un morso.
Chiamati sul posto, stando alle cronache de La Stampa e soprattutto del più popolare Stampa Sera, poliziotti e Carabinieri arrivarono nel pieno della colluttazione, riuscendo a rendere innocui con difficoltà i due mentre ancora infierivano sul corpo della ragazza e prima che i due si avvinghiassero lottando fra loro.
Stando alle prime cronache (La Stampa del 16 novembre), uno dei due uomini, all’arrivo dei Carabinieri, teneva in mano “un crocefisso”, con il quale li minacciò prima di richiudere brevemente la porta dell’alloggio. Sosteneva di avere “il diavolo dentro”, che suo fratello era Dio, che in F era entrato Satana e che aveva provato a scacciarlo picchiandola. Nell’aria, diceva il giornale, “un forte odore di incenso”, quasi una sorta di terrificante rito esorcistico.
Furono sequestrati 30 grammi di eroina (ma ne saranno trovati altri), sostanze da taglio, bilancini di precisione. Il quadro dell’uso di droghe e dell’ambiente equivoco in cui si muovevano i protagonisti fu evidente fin dalle prime ore; tutti avevano precedenti penali.
Eppure il delitto venne etichettato immediatamente come “omicidio satanico”, a causa di una serie di fallacie logiche da manuale. Questo è l’aspetto che ci interessa sottolineare per far capire, nel rispetto dei morti e anche del condannato, come potè prender corpo a Torino una storia da “panico satanico”.
Tanto per cominciare nell’appartamento i Carabinieri trovarono (e sequestrarono) l’ultimo numero del mensile di astrologia “Astrella”, con allegata un’audiocassetta che conteneva dieci minuti di presunte voci dall’aldilà, registrate con la tecnica della psicofonia, allora piuttosto in voga. L’audiocassetta era opera di un gruppo di appassionati di Grosseto, diretto da Marcello Bacci (Marco Morocutti, del CICAP, tentò invano di approcciarlo). Ovviamente il particolare colpì i giornalisti, e il titolo di Stampa Sera diventò subito “Tormentati dalle ‘voci’, poi è scoppiata la follia”.
Le vocalità ambigue del nastro si trasformarono all’istante in “voci” interne, oscillanti fra il sintomo psicotico e l’infestazione satanica. Per La Stampa del 16 novembre era quella la “colonna sonora dell’orrore” – quasi si trattasse di un qualcosa effettivamente in grado di condurre in un’altra dimensione. Scriverà Stampa Sera poche ore dopo quel primo pezzo:
Il “nastrino”… recherebbe incise alcune voci dei trapassati… La cassetta fa parte del dossier “Le nuove frontiere dello spiritismo”… L’inchiesta precede di poche pagine un servizio dedicato al recente convegno di Torino sul diavolo. Particolare inquietante: a sostegno del pezzo c’è un’incisione seicentesca del diavolo Astarotte, tesoriere dell’inferno e ispiratore di lascivia: nella mano destra stringe un serpente. Un semplice caso?… Può darsi. Ma se si tiene conto per un attimo di quanto può aver detto G1, che ha ucciso il fratello e l’amante… un nesso lo si trova di certo. C’è infatti la circostanza rivelata dal sopravvissuto alla notte di follia: “tra noi è comparso un serpente… Quello era il diavolo, lo spirito del male: occorreva scacciarlo”… Anche il morso alla lingua, dato da G2 a G1, doveva servire ad afferrare e uccidere il Maligno… I due fratelli e la ragazza stavano ascoltando la cassetta, hanno provato a loro volta qualche “contatto”?
Così, il sequestro a fini d’indagine di un’audiocassetta da periodico per appassionati new age diventa l’innesco per una deriva interpretativa senza fine: l’hanno ascoltata, là ci sono le voci dei morti – e quelle sono davvero le voci dall’aldilà ! Ma forse si può inferire di più: le voci dall’aldilà provocano o contribuiscono a provocare una follia satanica, allucinazioni che hanno al centro il Serpente…
In questo quadro di riferimento, l’altro cortocircuito logico fu rappresentato dall’immediata chiamata in causa degli “addetti ai lavori” per la gestione del satanico: i religiosi cattolici. Un esorcista della diocesi di Torino, don Giuseppe Ruata, escluse la presenza del Maligno ragionando secondo una logica tutta sua: se c’era di mezzo Satana, ad esempio, perché il sopravvissuto avrebbe brandito un crocifisso presente nella stanza? Per questo, per lui il compito di “spiegare” stava alla scienza.
Altri preti invece interpretarono meglio il ruolo narrativo che ci si aspettava da loro, ingarbugliando ancora di più la questione. Monsignor Corrado Balducci (1923-2008), allora il demonologo più presente sui media (e anche convinto della realtà aliena degli UFO, e della pericolosità del “rock satanico”), intervenne il 19 novembre su Stampa Sera: personalmente non se la sentiva di attribuire in modo diretto a Satana i delitti via Isonzo, ma comunque li riconduceva al “fanatismo che si sta formando proprio per false concezioni sul diavolo e la sua attività ”. In altri termini, per lui i protagonisti dei fatti erano un’imitazione, un riflesso, una conseguenza terribile delle “forse quarantamila persone” che a Torino davvero adoravano Satana, secondo una ben nota leggenda contemporanea.
Solo il 20 novembre su La Stampa comparvero i primi veri dubbi sulla natura satanica del delitto, o meglio sulle circostanze – vere o presunte – che avevano innescato la spirale mediatica dei primi giorni, a cominciare dal crocifisso brandito e le asserite visioni “demoniache” di G1, il superstite.
A non prestare credito alla consistenza di quei particolari “misteriosi” era il sostituto procuratore Andrea Bascheri, che forniva tutta una serie di precisazioni che poco si adattavano all’ipotesi del rituale satanico. Stando alle indagini tossicologiche i tre avevano assunto cocaina (anche se nell’appartamento era stata trovata eroina); il presunto crocifisso descritto nelle prime relazioni, mai ritrovato, in realtà era probabilmente un pezzo di mobile; sul fatto che l’uomo riferisse in buona fede sue allucinazioni più o meno dovute all’assunzione di stupefacenti (i due avvinghiati si urlavano in modo concitato parole in dialetto siciliano) il magistrato era a dir poco prudente.
Si saprà parecchio tempo dopo che il sottufficiale dei Carabinieri che aveva intravisto l’oggetto in mano a G1, prima di esser chiuso per qualche istante fuori dall’appartamento del massacro, aveva semplicemente dichiarato nella sua testimonianza che l’oggetto scorto sembrava un crocifisso (La Stampa del 21 settembre 1990). Risulterà inoltre, secondo le cronache più tarde, che nel colpire la ragazza ancora sotto gli occhi degli agenti i due uomini urlavano “tiralo fuori” – non è chiaro se riferendosi a Satana o, più laicamente, a un pacco contenente stupefacenti (Stampa Sera del 20 settembre 1990).
Fin dall’inizio, comunque, fu evidente il ruolo del quotidiano Stampa Sera nel suscitare reazioni emotive. Fu quel giornale ad assumere il ruolo di leader nella fornitura dei dettagli “occulti”. La controparte “seria” di tante emozioni fu – almeno in parte – rappresentata, quasi per una curiosa nemesi, dalla testata madre del giornale torinese del pomeriggio, cioè da La Stampa. E’ là che apparvero le valutazioni “razionali” della Torino intellettuale. Così in prima pagina, il 24 novembre, il filosofo Gianni Vattimo affermava di non credere a sette e rituali, attribuendo la responsabilità dell’ipotesi satanica non ai giornalisti ma ai Carabinieri che avevano scambiato “un coltello” per un crocifisso e riferito le parole dell’assassino come se su di esse non vi fosse da dubitare (allucinazioni o altro che fossero).
La svolta nell’indagine si ebbe nel luglio del 1989. Uno dei giudici istruttori del Tribunale di Torino spiccò mandati di cattura contro quattro componenti di una banda di trafficanti di droga che operava in città e in altre regioni. G1 era legato a costoro e l’accusa contro di lui, dopo il rapporto della Compagnia Carabinieri della stazione San Carlo, diventò quella di omicidio volontario. Partite di droga, proventi da spartire, accuse contro la ragazza di aver fatto sparire soldi o stupefacenti, e per questo picchiata a morte in quella notte tragica: era questo il quadro accusatorio.
G1, in carcere, continuò a lungo a raccontare che “quella notte c’era il diavolo”, anche se una perizia psichiatrica escluse condizioni psicopatologiche gravi (La Stampa del 28 luglio): “Poco diavolo e tanta cocaina”, diventò uno dei titoli dei giornali. Per altro, già nell’intervista del 20 novembre il procuratore Bascheri aveva ipotizzato che G1 cercasse di sminuire le sue responsabilità in un comportamento così estremo attribuendo la colpa a Satana, cosa peraltro avvenuta in altri casi del genere, sia italiani sia stranieri.
Il 4 aprile 1990, nell’annunciare “Prosciolto il diavolo”, La Stampa riferì che ad un certo punto degli interrogatori G1 aveva addirittura preferito cambiare versione: non aveva visto uscire un serpente dal corpo del fratello, ma aveva assunto stupefacenti e non ricordava nulla di quella notte.
Si giunse alla fase decisiva. L’ipotesi di credenze “sataniche” di G1 scomparve dall’orizzonte giudiziario. Il 6 dicembre 1989 La Stampa annunciò: “Uccisa per droga, non per Satana”. Arrivarono ulteriori arresti che misero fuori gioco la banda e confermarono la dinamica. L’ipotesi era che G2, compagno di F, fosse stato brutalizzato dal fratello, G1, perché cercava di difendere F, che ormai stava per soccombere. In tutto ciò, rimaneva però aperto il problema del movente esatto delle azioni delittuose.
Il 16 ottobre 1990 il pubblico ministero Francesco Saluzzo domandò 113 anni complessivi di condanne per i componenti il gruppo cui G1 aveva aderito (La Stampa del 17 ottobre). Poche settimane prima, chiedendo il rito abbreviato, G1 si sottraeva al rischio che gli fosse comminato l’ergastolo per omicidio (La Stampa del 21 settembre). Sarà giudicato a parte nei giorni successivi.
Nella valutazione dei giudici, tuttavia, in parte rimase un dubbio: quali fossero le reali condizioni di G1 al momento dei delitti. Niente fu trovato che potesse far pensare ad un gruppo di satanisti o a motivazioni “occulte” delle azioni, ma neppure fu accettata in pieno dal Tribunale l’idea che G1 simulasse i “sintomi” deliranti constatati dai primi inquirenti. Non era dato sapere se G1 credesse a ciò che urlava in quelle ore. Il movente preciso del crimine rimaneva incerto.
Il 29 ottobre 1990, in Corte d’assise, l’uomo fu condannato a 24 anni complessivi di carcere – compresi quelli per spaccio di droga – ma non fu accertato se avesse ucciso la donna, insieme all’altro, per farsi dire dov’era nascosta la droga. Quali che fossero le dinamiche psichiche dell’individuo, comunque, la tragedia ebbe come sfondo acclarato dalla magistratura lo spaccio, la gestione del denaro, la sorte tragica di una tossicodipendente – non altro.
Mai, per l’omicida o per i componenti la banda, emersero elementi che facessero pensare a reali interessi, frequentazioni o convinzioni “occulte” di G1 o di altri, se non che, in termini di credenze tradizionali, i due credevano nel “malocchio” e ne temevano la forza (Stampa Sera del 3 aprile 1990). Emerge però un’altra possibilità: quella di un’influenza reciproca fra le vittime, che avrebbe rafforzato un circolo vizioso di sospetti e furia. G2 e F, i deceduti, avrebbero avuto da mesi la convinzione che causa dei loro guai fosse stata una fattura operata dalla madre di lui. Da qui l’acquisto di alcuni libri, riviste e anche della famigerata, “decisiva” per i primi articoli di giornale, “Astrella” con in allegato le “voci dei trapassati” (Stampa Sera del 17 e 18 novembre 1990). E così il cerchio dei cortocircuiti logici, invece che chiudersi, si socchiudeva di nuovo…