Giandujotto scettico

Lo spirito incendiario di Villanova d’Asti

Giandujotto scettico n° 35 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (11/04/2019)

È un episodio insolito per la sua intensità, quello che accadde a San Michele, pochi chilometri a sud di Villanova, nel Monferrato astigiano, nel luglio del 1890. Un caso che, per certi versi, ricorda i più recenti fatti di Canneto di Caronia, con una successione di incendi all’apparenza misteriosi. Ma se nel paesino siciliano la colpa fu data agli Ufo o a non ben precisati esperimenti militari, nel Piemonte di fine Ottocento si preferì imputare la cosa allo spirito inquieto di un musicista morto.

Ma andiamo con ordine.

I fatti furono riferiti per la prima volta il 20 luglio 1890 dalla Gazzetta Piemontese (che quattro anni dopo avrebbe cambiato nome diventando La Stampa) e poi ripresi dal Corriere della Sera il giorno seguente. Un inviato del quotidiano piemontese aveva raggiunto San Michele, paesino rurale che all’epoca contava appena 526 abitanti, con case assai rade e dove tutti si conoscevano. Qui, da almeno quindici giorni, una serie di incendi stava interessando pagliai e covoni, e nessuno ne riusciva a comprenderne le cause.

Intorno al fatto erano sorte voci che si rincorrevano per il circondario: si diceva che gli abitanti della zona di San Michele, esasperati, non lasciassero entrare nessun forestiero, e che picchiassero quelli che provavano ad accedervi. Al contrario, il cronista raccontò di aver trovato una popolazione cortesissima e ben disposta, di quelle persone che “salutano il forestiero con tanto di scappellata”. Ma fondamento reale, invece, avevano le voci sui continui incendi che da giorni funestavano il paese.

La Gazzetta Piemontese ne tracciava una cronistoria precisa: Il primo focolaio si era scatenato il 2 luglio, riducendo in cenere un pagliaio in prossimità della strada principale. Il giorno seguente era toccato a quello di un vicino, e quello dopo ancora ad un altro. Fino a quel punto, comunque, la cosa non aveva destato troppe preoccupazioni, anche perché il danno era limitato. Ma il 7 luglio, quando andarono in fiamme due pagliai nello stesso giorno, il caso esplose: nessuno riusciva a capire che cosa stesse succedendo, e se per i primi casi si poteva forse pensare a una vendetta personale, il susseguirsi dei roghi sembrava suggerire che qualcosa di più inquietante era in atto.

Commentava così la Gazzetta Piemontese:

La popolazione a questo punto cominciò a essere spaventata; e siccome di alcuno di questi incendi fu potuta scoprire la causa, cominciò a lasciarsi andare ai voli della propria rustica, sì, ma fervida fantasia, almanaccando cani mostruosi, spettri, anime di morti ed altre simili fanfaluche, non prestandosi l’innata buonafede di quegli abitanti a credere che questi incendi fossero opera di uomo, tanto sarebbe stato per essi enorme.

Nei giorni successivi gli incendi continuarono: il 10 luglio bruciò un covone accatastato sull’aia della prima vittima dei fuochi di San Michele, e il giorno seguente toccò al suo vicino – lo stesso che era già stato interessato dall’incendio del 3 luglio. Il 14 luglio, poi, si verificarono addirittura sei incendi di covoni, uno di seguito all’altro. Il 15 da Asti arrivò al paese un delegato di pubblica sicurezza. Quella volta non si verificò alcun incendio. Il giorno dopo, invece , due altri roghi interessarono il circondario, e fu una fortuna che da Villanova fosse stata appena mandata una pompa, anche perché uno dei covoni andati a fuoco era addossato al muro di una casa, e ci mancò poco che venisse distrutta tutta la magione.

Il 17 luglio, poi, oltre a un pagliaio prese fuoco anche una stanza di un’abitazione in cui era stata portata della paglia. In totale, quando il cronista della Gazzetta giunse sul posto, si erano verificati circa venti incendi in diciotto giorni, e, cosa che lasciava sconcertati, il fuoco sembrava scaturire spontaneamente dalla paglia, anche di fronte allo sguardo dei contadini.

Il cronista, però, credeva poco all’ipotesi “spiritica”. Anzi, ci teneva a riferire un particolare sospetto che aveva notato recandosi sui posti:

È però degna di nota la circostanza che tutti questi incendi, meno quelli avvenuti nelle stanze del signor […], ebbero principio dal lato fronteggiante le siepi che intercedono fra un sentiero o la strada ed i cumuli di paglia o di covoni.

Insomma qualcuno, nascosto dalle siepi, poteva aver manomesso in qualche modo i pagliai, magari con l’ausilio della chimica:

Per tutti questi fatti si è naturalmente indotti a credere che uno (e non possono essere molti i malvagi in un paesetto nel quale tutti si conoscono intus et in cute) vada versando nei cumuli, forse col mezzo di qualche siringhetta, un liquido come fosse fosforo diluito nell’alcool, liquido il quale, dopo un po’ di tempo o con una certa temperatura, può determinare l’incendio.

A corroborare questa ipotesi, si diceva che un ragazzo aveva annusato un covone e che vi aveva sentito l’odore del fosforo… Ad onor del vero, però, il cronista aggiungeva che le altre persone che avevano annusato il covone, Carabinieri compresi, non avevano sentito alcun odore sospetto.

Le indagini intanto andavano avanti: nelle stanze dove era avvenuto uno degli incendi furono cercate tracce di un eventuale piromane, ma non si scoprì nulla di interessante. Fu perfino misurata la temperatura delle camere, ma risultò inferiore ai 25 gradi, escludendo la teoria di un’improbabile autocombustione. Infine, furono interrogati uno per uno tutti gli abitanti della zona di San Michele; ma né il procuratore del Regno, né il giudice istruttore, né il pretore di Villanova, né il sottoprefetto di Asti, né il maggiore dei Carabinieri – tutti accorsi al paese per far fronte all’emergenza – riuscirono a trovare il bandolo della matassa.

Tra il popolo correvano le voci più disparate. Dapprima si pensò a una vendetta politica: le vittime appartenevano tutte allo stesso partito, e a fine luglio ci sarebbero state le elezioni amministrative. Poi però gli incendi coinvolsero anche i membri del partito opposto, e l’idea perse di forza. Si passò allora a ipotesi più fantasiose. Il racconto più ripetuto, e per noi interessante, era questo:

Tempo fa a San Michele c’era un Corpo di musica (dovevano essere tutti musicanti) il quale era istruito dal maestro Miletti. Causa i partiti… politici, il Corpo di musica si divise in due gruppi, ciascuno dei quali faceva da sé. Un bel giorno… anzi un brutto giorno il maestro Miletti, che era un uomo alto, magro, allampanato, pensò bene di morire. Questa morte commosse le due bande musicali; i partiti le avevano divise, e la tomba del maestro le riunì. Le lagrime… musicali fecero il miracolo della conciliazione. Il fatto sembrò tanto strano che si credette che, pentito il maestro d’essersene andato all’altro mondo, ora passeggi in ispirito per le vie di san Michele.

Alcuni raccontavano anche di aver avvistato lo spettro, ma, avvicinandosi, questo si era trasformato in un cane bianco con una macchia nera sulla schiena. Accostandosi ancora un po’, la forma era mutata in cagnolino, e poi in un gatto che era fuggito sui cumuli di grano. Qui, facendo i suoi bisognini sulla paglia, aveva prodotto l’incendio.

Nella concitazione si rischiò anche una vittima: si trattava di un giovane forestiero innamorato di una ragazza del paese, che tutte le notti raggiungeva la sua bella attraverso i campi e le siepi. La sua ombra fu avvistata da un gruppo di vigilanti che aveva cominciato a sorvegliare il paese, e fu suonato l’allarme con le campane. Al giovane non restò che fuggire a perdifiato, “e fu grazia del sommo S.Michele se, raccomandandosi alle gambe, si potè salvare”. Il sindaco, messo al corrente dei fatti, andò a parlare con l’innamorata e le suggerì di rimandare i suoi “teneri idilli” a tempi un po’ più tranquilli.

Unica vittima reale fu, invece, un povero cagnolino: fu visto passare per il paese, e si pensò che “era lo spirito di chissà chi”. Accorse il popolo in armi, e l’animale fuggì attraverso i campi.

Ma un cane si doveva immolare sull’altare della superstizione e, trovato quello di un mugnaio, i contadini lo uccisero a fucilate.

Questa rimase, per fortuna, l’unica vittima dei fuochi di San Michele. La reazione delle autorità era stata imponente: due Carabinieri sorvegliavano “con mirabile zelo” il paesino di giorno e altri quattro lo fecero di notte, mentre sei nuovi pompieri attrezzati di pompa si erano aggiunti da Asti ai loro colleghi di Villanova. Un deterrente che dovette spaventare lo “spirito” piromane, al punto da fargli decidere di smettere il suo gioco – cosa che nelle nostre indagini documentarie sulla mania delle infestazioni spiritiche di quei decenni abbiamo constatato più volte.

Se preferite, invece, lo spirito inquieto del maestro, vedendo tutto questo pandemonio pensò che tutto sommato aveva fatto bene a passare a miglior vita. E, con il dispiegamento di forze in ogni angolo del paese, si decise, una volta per tutte, a lasciare in pace San Michele di Villanova Monferrato.

Immagine: Un acquerello realizzato nel 1899 pittore americano Peter Shead Hersey Newell (1862-1924).