Il terzo occhio

Il cellulare fa crescere le corna?

Il cellulare potrebbe farvi spuntare le corna! Corna vere, attenti, non stiamo parlando di escrescenze metaforiche. Questo, almeno, è quanto sostiene una ricerca che ha avuto parecchia diffusione negli ultimi giorni, ma che ha fatto alzare più di un sopracciglio tra gli addetti ai lavori.

Così la racconta l’agenzia Ansa nella sua sezione Salute&Benessere, ripresa al volo da diversi quotidiani online:

A dirlo è una ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, che spiega come si stiano sviluppando alcuni picchi a forma di cono nella parte posteriore del cranio. Questi, spiegano i ricercatori, sarebbero causati dall’inclinazione in avanti della testa perché il peso della colonna vertebrale verrebbe spostato proprio nella parte posteriore del capo, causando così la crescita ossea.[…] Questo spostamento di peso è stato paragonato allo stesso effetto della pelle quando si addensa in un callo come risposta alla pressione o all’abrasione. La ricerca ha coinvolto 218 persone tra i 18 e i 30 anni e ha notato come il 41% sia arrivato a sviluppare questa protuberanza lunga tra i 10 e i 30 millimetri.

Trenta millimetri, ovvero tre centimetri: roba da far venire i brividi a qualsiasi genitore preoccupato per lo sviluppo dei suoi figliuoli. È l’Ansa stessa, però, a segnalare alcune voci critiche sul paper, come quella di Valter Santilli, docente di Medicina fisica e riabilitativa alla Sapienza di Roma:

Sono un po’ perplesso sul fatto che questo osteofita, che accentua la parte posteriore del cranio, cioè l’osso occipite, si formi in una percentuale importante di persone per l’uso del cellulare. Mi sembra una forzatura questo legame, rispetto alle 2 o 3 ore al giorno che i ragazzi vivono a capo chino per studiare o a tutti gli impiegati che lavorano per anni alla scrivania.

Quello che l’Ansa non riporta, invece, sono alcuni dettagli riguardo allo studio, che non fanno altro se non accentuare i dubbi sull’idea che i cellulari portino allo sviluppo di “corna” (o almeno, a qualcosa di molto simile).

Primo dettaglio: l’articolo non è stato pubblicato recentemente. È uscito nel 2018 sulla rivista Scientific Reports (che fa appunto parte del gruppo Nature, anche se è meno prestigiosa) a firma di David Shahar e Mark G. L. Sayers (Prominent exostosis projecting from the occipital squama more substantial and prevalent in young adult than older age groups) , ed è l’espansione di uno studio pubblicato nel 2016 sul Journal of Anatomy dagli stessi autori (A morphological adaptation? The prevalence of enlarged external occipital protuberance in young adults).

Va notato che il paper più recente si fonda su un campione di 1200 persone, mentre quello precedente su uno di 218: sembra quindi che l’articolo dell’Ansa si sia basato sui risultati della prima ricerca, più ristretta, e non sulla seconda. Le conclusioni dei due articoli, poi, sono tornate di attualità quando alcuni giorni fa la BBC ha pubblicato un approfondimento su come la vita moderna stia cambiando il nostro scheletro.

Questo di per sé non dice nulla sulla veridicità dell’ipotesi, ma ci interessa far notare il meccanismo giornalistico per il quale studi pubblicati anni fa venoano ripescati e ributtati in pasto al pubblico. Almeno, vista la non attualità della notizia, i giornalisti che ne hanno parlato avrebbero potuto dare un’occhiata ai  commenti critici di altri ricercatori pubblicati in coda al paper di Scientific Reports.

Riguardo al contenuto dell’articolo vero e proprio, va invece rilevato un secondo dettaglio, molto più importante: mai, nel corso dello studio, sono stati misurati o anche solo stimati i tempi di utilizzo dei cellulari da parte dei soggetti. In pratica, gli autori dello studio hanno rilevato la presenza di queste escrescenze osse sulla parte posteriore della testa, e ne hanno misurato la lunghezza tramite radiografie. Hanno quindi scoperto che i “corni” erano più frequenti tra i giovani rispetto alla media.

Conclusione dei ricercatori, riassunta sull’articolo della BBC:

Abbiamo ipotizzato che l’uso delle moderne tecnologie e dei dispositivi palmari possa essere la principale responsabile per questi problemi posturali e per il seguente sviluppo di robusti adattamenti nelle caratteristiche dei crani. Una domanda fondamentale è quale futuro attende i giovani della nostra ricerca, se lo sviluppo di processi degenerativi è evidente già in fasi così precoci della loro vita?

Il problema è che, senza un raffronto tra lo sviluppo delle escrescenze e l’uso dei cellulari, lo studio ci dice ben poco. Non sappiamo, insomma, se sia davvero tutta colpa dei telefonini: magari potrebbe essere legato a una maggior attività sportiva rispetto agli adulti, magari alle attività legate alla scuola, forse all’uso di cuscini non appropriati. E così via: i fattori in gioco potrebbero essere i più disparati.

Anzi, come fa notare la bioarcheologa Kristina Killgrove su Forbes – che sottolinea anche la presenza, nel paper, di un grafico sicuramente errato e di altri problemi generali della ricerca – entrambi gli studi di Shahr trovano un risultato curioso, se letti nell’ottica di un legame telefonino-escrescenze craniche: la presenza delle protuberanze sembra essere fortemente legata al sesso. Detto in parole povere, i maschi avrebbero una probabilità 5,48 volte maggiore di sviluppare le escrescenze ossee rispetto alle femmine. Siamo sicuri che i nostri ragazzi usino il cellulare così tanto più a lungo rispetto alle loro coetanee?

Commenta Killgrove:

I risultati di Shahr e Sayers hanno perfettamente senso per bioarcheologi e paleontologi, scienziati che lavorano con le ossa antiche, dal momento che una più spessa e ruvida area sul retro dei crani è da secoli associata al sesso maschile rispetto a quello femminile, a causa delle differenze nello sviluppo muscolare medio. Un teschio con una parte posteriore spessa e appuntita è infatti uno dei cinque metodi principali che gli esperti forensi, gli antropologi e gli archeologi usano per stimare il sesso di un cranio sconosciuto con un ragionevole grado di certezza.

Le conclusioni di Shahr sono state contestate da paleoantropologi come John Hawks, dell’Università del Wisconsin Madison – che ha fatto notare come, appunto, lo studio non tenga conto delle ricerche su caratteristiche ossee simili diffuse nel passato e tra diversi tipi di popolazione – e dall’antropologa forense Nivien Speith, dell’Università di Derby (Inghilterra) – che racconta di aver trovato le stesse particolarità in molti teschi medievali, periodo in cui i cellulari dovevano essere pochini, scommettiamo. Sara K. Becker, dell’University of California Riverside ha anche fatto notare quanto sia scorretto parlare di “processi degenerativi” e di “speroni ossei”:

In questo caso, si sta parlando di sviluppi ossei che possono essere associati alla crescita della muscolatura e a un maggior movimento, non a una “degenerazione” del tessuto.

Terzo piccolo “dettaglio mancante” del puzzle: l’autore dello studio, David Shahr, è un chiropratico – un sostenitore, cioè, di quella pseudoscienza che riconduce le più disparate malattie a problemi posturali e ossei. Questo di per sé non inficia i risultati della ricerca (anche se Quartz fa notare che il sito di Shahr, Dr.Posture, vende prodotti come cuscini progettati per il riallineamento della colonna vertebrale al prezzo di 195 dollari l’uno e video con esercizi da seguire – un possibile conflitto di interessi non dichiarato, secondo il sito statunitense). Diventa un problema però quando i soggetti al centro della ricerca sono – come sembra – clienti del suo studio clinico privato. Ai chiropratici si rivolgono, di norma, persone che hanno dolori alla schiena o al collo, o che sono affetti da problemi simili. Non è un campione statistico della popolazione generale, dal quale estrarre informazioni sulla salute globale della popolazione.

Detto questo, è evidente che lo studio che sta avendo così tanto risalto in queste ore fa suonare parecchi campanelli d’allarme alle orecchie di uno scettico. Eppure, sembra aver avuto un certo successo tra i genitori preoccupati per l’uso dei cellulari da parte dei propri figli. L’articolo della BBC – e dei suoi epigoni italiani – va a intercettare un’apprensione già diffusa, per la quale computer e telefonini sarebbero la causa di tutti i problemi nello sviluppo sociale, fisico, mentale dei giovani.

Non sta a noi dire quale impatto abbia davvero questa tecnologia sui minori: è un tema complesso che la scienza sta studiando e per cui non esistono, al momento, risposte univoche – che vanno però cercate tramite studi solidi, e non basati su semplici ipotesi.

Ai genitori preoccupati, forse può giovare uno sguardo al Pessimists Archive: un sito (e podcast, ma di cui vi consigliamo anche la pagina twitter) che traccia la storia, giornali alla mano, di tutte quelle volte in cui una nuova tecnologia è stata considerata un orrendo pericolo dalle nefaste conseguenze.

Qualche esempio? Quando le biciclette cominciarono ad avere successo, nel 1890, si scatenò un vivace dibattito medico. Il nuovo mezzo veniva accusato di incurvare spine dorsali, di danneggiare occhi e piedi, spaventare i cavalli, rendere le donne più mascoline e indurre nelle giovani pensieri sconvenienti. Nel 1894 i giornali mettevano in guardia contro il “mal d’ascensore”, che poteva causare febbri cerebrali e disordini al sistema nervoso. I romanzi avrebbero presto impedito ai giovani di socializzare fra loro – così come, in tempi più recenti, lo avrebbero fatto, secondo le accuse, radio, televisioni, videogiochi e giochi di ruolo. La fotografia avrebbe ben presto portato alla scomparsa della pittura, gli ascensori all’aumento della criminalità e i fumetti avrebbero finito per far impazzire i bambini, portandoli a non saper più distinguere tra realtà e finzione. Eppure siamo sopravvissuti ai “pericoli” dei romanzi d’avventura e delle biciclette, della radio e delle macchine fotografiche. Di fronte a studi come quello sui “corni” da cellulare viene da chiedersi se ci sia davvero un problema medico o se non sia piuttosto la nostra naturale paura delle novità – e del loro possibile abuso – a farci vedere le cose più preoccupanti di quanto non siano.

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

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