Giandujotto scettico

Il mostro di Borgone Susa

Giandujotto scettico n° 42 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (18/07/2019)

Era il 1947, e l’Italia si stava riprendendo lentamente dalla guerra, che aveva portato anche in Piemonte morte e desolazione. Ma nel giugno di quell’anno una paura forse altrettanto viva scosse per alcuni giorni il paese di Borgone Susa, nel Torinese. Correva infatti voce che in una vigna della regione Rocco, dominante il paese, fosse stato visto un “mostro”.

Secondo La Stampa, che il 26 giugno pubblicò un primo articolo sul caso, tutto era iniziato due giorni prima, il 24 giugno 1947. Per inciso, lo stesso giorno in cui l’avvistamento di Kenneth Arnold, avvenuto negli Stati Uniti al di sopra delle Cascade Mountains, determinò la nascita del fenomeno dei dischi volanti. Ma il mostro di Borgone non ebbe la stessa fortuna del grande mito del XX secolo.

La creatura era stata vista dapprima da un contadino, che da quel momento era finito a letto con quella che il quotidiano definiva “un’alta febbre di spavento”. L’uomo stava dando il verderame alle piante della sua vigna, in un podere sparso di rocce e arbusti, quando aveva sentito un fischio lacerante. Si era voltato, e a pochi passi di distanza aveva visto il mostro:

Uno strano animale, rettile colla testa di gatto e le zampe di ramarro e una gigantesca cresta di gallo, che per alcuni istanti lo affascinò coi suoi grandi occhi di bue. Cilindrico, lungo un metro, con un bel paio di mustacchi, aveva la testa grossa come quella di un bambino di otto mesi, e quattro viscide zampe, lunghe venti centimetri, gli ornavano i fianchi.

All’uomo era stato necessario un tremendo sforzo di volontà per distogliere lo sguardo dalla bestia, quasi fosse stato ipnotizzato – un motivo caratteristico nella mitologia criptozoologica. Ma ce l’aveva fatta ed era scappato urlando in paese… Il giornale affermava che il malcapitato aveva recuperato la parola solo due ore dopo. Al suo racconto, alcuni coraggiosi avevano improvvisato una battuta di caccia per stanare il mostro. Lo avvistarono su una roccia, poco al di sopra della vigna del contadino, e gli spararono, ma senza colpirlo. Una seconda battuta di caccia, invece, non trovò tracce dell’animale. Il giornale segnalava che se ne stava preparando una terza, ma intanto la presenza del mostro incombeva “come un incubo” sul paese. I borgonesi evitavano di uscire soli per le campagne e la sera preferivano tapparsi in casa.

Un’atmosfera simile emerge dal maggior concorrente de La Stampa, La Gazzetta del Popolo, che il 27 giugno dedicò anch’esso un articolo al caso titolando “Tutti credono nel mostro – Sanno perfino quanto pesa”. La descrizione era simile a quella de La Stampa, ma c’erano particolari in più:

Dicono che è incombustibile, lungo circa un metro, largo trenta centimetri, di forma cilindrica, con testa di gatto, dalle orecchie aguzze e dai lunghi baffi. Sul dorso ha una bella cresta. C’è perfino chi sa precisarne il peso: dodici chili tondi tondi.

Il quotidiano comunicava pure che nel frattempo il contadino si era ripreso, non aveva più la febbre, ma per il momento preferiva non tornare nella vigna. L’esperienza gli era bastata, aveva ancora nelle orecchie il fischio della bestia. E pazienza per il verderame, l’uva ne avrebbe fatto a meno.

Intanto però le battute alla ricerca del mostro continuavano: un gruppo di “cacciatori di vipere” era partito alle ore 17 del 26 giugno, con tutti gli arnesi del mestiere (La Stampa specificherà: forcelle, reti e recipienti pieni di latte). Ma il cronista non poteva ancora riferirne l’esito. Intanto in paese continuavano a moltiplicarsi le voci: qualcuno ricordava che un animale simile era già apparso quindici anni prima (il padre del mostro avvistato nel 1947, si chiedeva l’articolista?), e un altro ancora sedici anni prima (il nonno della bestia?).

Gli unici a non farsi prendere dall’entusiasmo generale sembravano i Carabinieri, che avevano dichiarato di non volersi occupare della faccenda: loro dovevano pensare a cose ben più serie, e per i mostri non avevano tempo.

Il 27 giugno, La Stampa pubblicò finalmente il nome della bestia che ormai era sulla bocca di tutti. Quello avvistato nella vigna del Fiacetto, in regione Rocco di Borgone, era uno dei leggendari basilischi! Almeno, questa è l’interpretazione che ne davano l’uomo e gli abitanti del paese. Un’identificazione, ahinoi, non condivisa da non meglio precisati “studiosi di scienza naturale”, che si dicevano tristemente scettici sull’esistenza di quelle creature, patrimonio della cultura popolare delle Alpi da secoli.

Fu proprio questo clima di scetticismo, probabilmente, a spingere verso una decisa razionalizzazione del fenomeno. Nell’edizione del 27-28 giugno 1947, Stampa Sera annunciava infatti:

Il “mostro” di Borgone, uscito dal favoloso regno in cui lo avevano cacciato le accese fantasie dei valligiani, si è andato man mano riducendo a proporzioni accettabili dal buon senso. Col passar dei giorni – poiché infestava la montagna da circa una settimana – ha perduto uno alla volta quegli attributi per cui appariva una bestiaccia infernale. Cadutagli la testa, grossa quanto quella di un bambino, e cadutigli, per conseguenza, anche i baffi – per essere precisi, i baffi li aveva perduti prima della testa – ritirate le gambe dentro il cilindro del corpo, è diventato un viperone. Un viperone con la cresta perché, il contadino che l’ha veduto, rinunciando a malincuore a diversi pezzi anatomici, arrivato alla cresta si è impuntato esclamando “O la cresta o niente!”. E non c’è stato verso di smuoverlo.

Già, la cresta. A quella non si poteva rinunciare, perché il mostro era in realtà una “mostra”, pronta ad ergerla quando, una volta all’anno, andava in cerca di un compagno. Questo, almeno, è quanto si raccontava sui basilischi. “Bestie che – specificava il cronista – non abbiamo mai veduto e che perciò non ci arrischiamo a descrivere”. Ma che secondo gli anziani del paese esistevano eccome, e dal 1915 erano già stati avvistati tre volte, e in altre occasioni ancora sarebbero state viste a Chiomonte, nella parte più alta della Val Susa.

Il tono dell’articolo era abbastanza ironico, e l’intento razionalizzante. Il mostro era stato “smascherato”, inutile parlarne ancora. Da parte nostra possiamo solo dire che, a distanza di tempo, è ben difficile ricostruire cosa potesse aver visto l’uomo: se una vipera, un lucertolone, o forse qualcosa di più insolito. O che davvero avesse visto qualcosa, e non fosse solo un’allucinazione data dalla febbre. Sicuramente l’aveva interpretata in base al folklore locale, che da tempo parlava di basilischi e altri rettili mitici in zona. Animali caratterizzati da baffi e creste, che emettono sibili, ipnotizzano i malcapitati con lo sguardo, si presentano con testa da gatto e lunghi baffi. In un certo senso, il mostro di Borgone Susa era probabilmente un parente stretto di un altro rettile mostruoso, quello avvistato in val Stura nel 1954. Anche quello, mai davvero identificato.

L’articolo de La Stampa si concludeva con un laconico:

Questa mattina si organizza la terza battuta di caccia, poi del mostro non se ne parlerà più fino alla prossima apparizione.

Nelle cronache non si trova altro. Può darsi che il mostro non sia stato più avvistato, basilisco, viperone – o creatura leggendaria che fosse.

Foto di Julia Schwab da Pixabay